Nemesi, una premonizione di quanto sta accadendo in questi nostri giorni di epidemia. di Clemente Luciano

di Clemente Luciano. “Nemesi” è stato l’ultimo libro di Philip Roth, il grande scrittore americano,più volte candidato al Nobel per la letteratura,mai ottenuto. Non è stato certo un capolavoro come invece lo fu l’altra suo libro “Pastorale americana”. Eppure in  questo funesto 2020,quando siamo assediati da un male invisibile, “Nemesi”  appare come un libro profetico.

Al centro di “Nemesi” c’è Bucky Cantor, un animatore di campo giochi vigoroso e solerte, che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi. Bucky vive con frustrazione la mancata partenza per la guerra,essendo stato esonerato dal servizio militare a causa di un problema alla vista.Suo malgrado si ritroverà a combattere un altro genere di guerra,assistendo impotente allo sterminio dei suoi ragazzi,falciati uno dopo l’altro da una malattia incurabile,la poliomielite,che li costringe all’immobilità in un polmone d’acciaio e,nella maggior parte dei casi, alla morte. Roth racconta tutte i sentimenti di una simile pestilenza:paura,panico,sofferenza e dolore. Se non ha potuto partecipare alla guerra,adesso Bucky,da uomo di sani principi qual’è,comincia a combattere la sua guerra privata contro l’epidemia.”Nemesi” è ambientato da Roth,nella sua Newark (come “Pastorale americana”) la propria città natale. Così una semi-sconosciuta cittadina del New Jersey diventa il teatro di una lotta senza pari, quella tra l’uomo e il suo destino. In altri tempi la malattia poteva apparire come metafora, un espediente letterario per approfondire il rapporto tra l’uomo e la morte.

Oggi invece la parola “epidemia” ci balza all’occhio con un significato diverso e allarmante, dissolvendo ogni distanza tra verità e finzione. Difatti è impossibile non affiancare la narrazione al nostro presente. Tante espressioni, tante frasi del romanzo sono come le parole ascoltate in questi giorni: “Nel quartiere si sparse la voce che la malattia era stata portata dagli italiani”;
“Erano gli spaventosi numeri che certificavano l’avanzata di un’orribile malattia”;
“Il bollettino della polio, che veniva trasmesso quotidianamente dalla stazione radiofonica locale”;
“La città tremava per l’epidemia e risuonava delle sirene delle ambulanze”.

Gli scenari che Roth tratteggia ricostruendo la quotidianità americana in una lontana estate del ’44, sembrano una premonizione di quanto sta accadendo in questi nostri giorni, nel mondo travolto dalla pandemia di Covid-19.

C’è dapprima lo sconcerto nei confronti di quanto sta accadendo,poi la diffidenza, la tensione, l’insorgere della paura dinnanzi ai primi morti innocenti. In Nemesi non c’è la costruzione fantascientifica di uno scenario apocalittico e distopico, quanto piuttosto una commovente descrizione del cuore umano.

Le domande che Bucky Cantor si pone sono le domande di ognuno di noi in questo difficile momento. Ci accorgiamo, infatti, di pensare i pensieri di Bucky. Come lui viviamo smarriti, inebetiti, colti di sorpresa, sospesi tra il desiderio di dominare gli eventi e l’inevitabile tendenza ad esserne sopraffatti. Bucky è un giovane forte e intelligente, in pieno vigore fisico, eppure si sente debole e incapace difronte a quel nemico invisibile che continua a mietere vittime innocenti. Ed è qui il nodo della storia, la lotta impari, la cosiddetta “Nemesi”, la distribuzione del fato, che dà il titolo al romanzo.

Secondo gli antichi greci la Nemesi era la giustizia distributrice, che spargeva bene e male a suo piacimento. In questo senso l’epidemia si fa diretta rappresentazione del caso, della contingenza. E non mancano gli appelli a un Dio superiore in queste pagine, perchè la domanda è sempre quella che si son poste filosofia e teologia: “Si Deus est, unde malum?” (Se Dio esiste, da dove nasce il male?).

Bucky interroga incessantemente una divinità che resta muta e contemporaneamente esamina la propria coscienza,ponendo anche a se stesso mille perchè. Colonna sonora del racconto sembra essere il suono lugubre delle ambulanze,al quale si contrappone la melodia nostalgica “I’ll be seeing you” (“Io ti vedrò”) di Billie Holiday, quel ritornello cantato da un’intera generazione di ragazze e ragazzi divisi dalla guerra e che anche Bucky canta alla fidanzata Marcia.

E’ incredibile pensare, alla luce dei fatti di questi giorni nostri, a come siano cambiati i rapporti umani ed interpersonali. Nel romanzo le persone iniziano a guardarsi con diffidenza, a evitare le strette di mano e a chiedersi con sospetto a chi si fossero avvicinate solo una settimana prima.
Iniziano le restrizioni, vengono chiusi i luoghi pubblici, i campi giochi; la gente è spaventata, atterrita da qualunque cosa. Si intuisce che quanto ci viene raccontato in Nemesi è una lotta destinata al fallimento, ma non è compito della letteratura edulcorare la realtà del mondo, né tantomeno fornirci palliativi.

Ma forse il libro di Roth vuole “solo” mostrarci l’umanità nei suoi aspetti più drammatici e resilienti. Ma nel leggere il libro, pure si cerca una speranza, soprattutto alla luce dei fatti di questi giorni.

In tutta la sua problematicità esistenziale Bucky combatte per quei “suoi” ragazzi, così come tanti hanno combattuto in Italia, a partire da medici e infermieri, a volte rimettendoci anche la vita. In quella e in queste battaglie si vuole trovare una volontà prima di resistere ,poi di risorgere, con un “umano” essere con tutta la sua straordinaria forza di reazione.

Bucky rappresenta l’uomo che non si arrende, in attesa del giorno in cui il vaccino anti-polio viene scoperto e col quale molti bambini furono salvati e la gente col trascorrere degli anni ri-cominciò a vivere.

Anche noi, anche oggi stiamo aspettando un vaccino contro il covid.Nel frattempo possiamo, dobbiamo pensare a quello che siamo stati fino ad oggi, a come abbiamo vissuto finora i nostri rapporti con gli altri, a come ci siamo comportati verso la Natura.

Pensare a questo per vivere un’altra vita.

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