Atletica Italiana, ricordi d’oro.

di Alberto Sigona. Da Ugo Frigerio a Sara Simeoni, passando per Pietro Mennea e Livio Berruti, sino a giungere agli eroi di oggi, Marcell Jacobs in testa. L’Italia dell’Atletica Leggera ha sempre sfornato autentici fuoriclasse. Diamogli una “ripassata” veloce.

RICORDI D’ORO

In attesa che si alzi il sipario sulla 19^ edizione dei Campionati del Mondo di Atletica Leggera, andiamo a riscoprire gli italiani che hanno fatto la storia di questa disciplina, da sempre incline a far risplendere il nostro scudo gentilizio. Adottando il criterio cronologico c’imbattiamo istantaneamente in Ugo Frigerio, probabilmente la prima leggenda nostrana in assoluto. A 19 anni era già un campione affermato, e trovò la consecratio in occasione dei primi Giochi Olimpici post bellici di Anversa 1920, conquistando l’Oro sia nella 3km che nella 10 km di Marcia, una gara destinata a divenire nel tempo una miniera dorata a tinte tricolori. Quindi dopo 4 anni si sarebbe ripetuto parzialmente a Parigi, trionfando nella 10 km (l’altra distanza nel frattempo era stata sfrattata dal programma olimpico): con 3 Titoli a cinque cerchi è tuttora, assieme ad altri fuoriclasse dello sport (come lo schermidore Nedo Nadi), l’italiano più vincente di sempre nelle gare individuali. Negli Anni Trenta si sarebbe messo in luce Luigi Beccali, aggiudicandosi, fra l’altro, l’Oro olimpico di Los Angeles ’32 nei 1500 metri: sinora, al di là dei Campionati d’Europa, è l’unico successo di rilievo che possiamo vantare su questa distanza. Nella decade successiva si sarebbe imposto all’attenzione il celebre discobolo Adolfo Consolini, che per diversi anni dominerà la scena con lanci d’eccellenza, vincendo di tutto e di più, compreso il favoloso Titolo olimpico di Londra 1948: anche in questo caso l’Italia dopo di lui non riuscirà più a ripetere exploit in questa specialità, che rimarrà fra le più avare per i nostri colori. Si conferma, di contro, dispensatrice di allori la Marcia, che anche negli Anni 50 ci vede esprimere al meglio tutto il nostro potenziale, come accade ad Helsinki 1952, con Pino Dordoni che in terra finnica sbaraglia la concorrenza sulla massima distanza dei 50 km, conquistando uno Oro olimpico indimenticabile. Se a marciare siamo da sempre i maestri, è nella velocità che notoriamente arranchiamo, settore in cui generalmente lasciamo spazio e gloria agli avversari. Tuttavia ai Giochi di Roma 1960 quello che era diventato un vero tabù sarà finalmente sfatato. A rompere l’incantesimo ci pensa il torinese Livio Berruti, che nei 200 metri diventa il primo atleta non appartenente al Nord America a fregiarsi del massimo riconoscimento olimpico, entrando nel mito dello sport europeo. L’immagine in bianco e nero che lo ritrae “petto in fuori” (e con occhiali da sole non ancora in voga nell’Atletica) nell’atto di tagliare il traguardo davanti all’americano L. Carney è per noi la più iconica di sempre, emblematica del Bel Paese che vince.

Negli Anni Sessanta emergerà in tutto il suo splendore la “sirena” di A. Pamich, che alle Olimpiadi di Tokyo 1964, nella Marcia 50 km (che si conferma il nostro terreno di caccia ideale) raccoglie a 31 anni il frutto più prelibato di una carriera sontuosa, che lo aveva visto primeggiare ovunque (peccato, però, che ancora non esistessero i Mondiali…). Per la nostra cara Atletica seguiranno annate di raccolti decisamente modesti, limitandoci a svettare in ambito europeo, in primis con gli ostacolisti S. Morale ed E. Ottoz, anche perchè le opportunità di farsi onore sono a cadenza quadriennale (decisamente poche per uno sport di così alto rango), in quanto i Campionati del Mondo non erano stati ancora ideati (vedranno la luce soltanto nel 1983!). Ma negli Anni 70 lo Stivale dello sport sarà illuminato da una stella, la più luminosa che si sia mai vestita di tricolore, chiamata Pietro Mennea. Questi nel giro di un lustro riscriverà in parte la storia della velocità. Nel 1979 fa registrare sui 200 metri un clamoroso record, fermando il tempo ad un sensazionale 19”72 (cancellando il 19”83 di T. Smith del 1968), un limite che resisterà 17 anni e che tuttora, pensate, a distanza di 44 anni, è ancora primato europeo! La Freccia del Sud si confermerà al top nel 1980, ai Giochi di Mosca. Qui il nostro campione rinverdirà i fasti di Berruti, permettendo all’Italia di rivincere sul mezzo giro di pista come non le accadeva da vent’anni. La sua rimonta pazzesca nella finale che gli varrà la medaglia d’Oro, gli occhi spiritati e felicemente increduli, le braccia alzate, ogni singolo flash di quegli attimi magici rimarrà indelebile nella mente degli appassionati. E nella leggenda dell’Atletica.

Gli anni 80 sono decisamente gli anni di rinascita dell’Atletica di casa nostra. Un’Atletica che ci vede costantemente protagonisti. Basti pensare al marciatore Maurizio Damilano (una volta campione olimpico e due volte iridato), alla saltatrice in alto Sara Simeoni ed alla mezzofondista Gabriella Dorio (per entrambe un Titolo olimpico e molto altro), al siepista F. Panetta (un Oro iridato in primis) o all’immenso Alberto Cova, campione olimpico, mondiale ed europeo, per un tris che nei 10.000 sarebbe riuscito molti anni dopo soltanto ad un certo Mo Farah. Ma la lista dei grandi potrebbe ancora continuare con A. Andrei (Getto del peso), Oro olimpico a Los Angeles 1984 e molti altri, che solo per via di una concorrenza mostruosa (l’Africa iniziava la sua tirannia) non sono riusciti ad andare oltre le gioie continentali (cito su tutti il mezzofondista S. Antibo). A chiudere una decade da incorniciare ci pensò Gelindo Bordin ai Giochi di Seul ’88, diventando il primo italiano a conquistare la maratona olimpica. Da quel momento la splendida parabola dell’Atletica italiana diverrà discendente, e per riascoltare l’Inno di Goffredo Mameli ai Giochi dovremo attendere addirittura Atene 2004, grazie ai roboanti successi del marciatore Ivano Brugnetti e del superlativo maratoneta Stefano Baldini. Nel frattempo però non erano mancate le soddisfazioni…mondiali, con i trionfi iridati di Fiona May (2 Ori nel Salto in lungo), Anna Rita Sidoti e dello stesso Brugnetti (Marcia), di G. Gibilisco (Asta) e soprattutto di Fabrizio Mori, il quale nella rassegna di Siviglia 1999 ci esalta con la sua performance magistrale nei 400 hs: il suo Oro rimane il più emozionante (e forse prestigioso) che l’Italia abbia mai vinto nella storia dei Campionati del Mondo. Nel 2008, alle Olimpiadi di Pechino, vi sarà gloria per A. Schwarzer, prima che la rete del doping lo prendesse, conducendolo ben presto alla damnatio memoriae. Il resto è storia recente, con le affermazioni spaziali di Tokyo 2020, recanti le firme autorevoli di Gianmarco Tamberi (Salto in alto), Antonella Palmisano e Massimo Stano (Marcia) – quest’ultimo si sarebbe ripetuto anche ai Mondiali di Eugene 2022 – e dulcis in fundo di Marcell Jacobs, Oro da strabuzzarsi gli occhi nei 100 metri e nella relativa staffetta, gare da sempre off limits per gli italiani. In attesa che ai prossimi Mondiali di Budapest si possano aggiornare le gloriose pagine di storia dell’Atletica italiana.

 

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