L’Italia renziana: un uomo solo al comando.

di Gerardo Lisco. Se non fosse ancora chiaro il trionfo del capitalismo finanziario passa attraverso l’instaurazione di regimi autoritari o quanto meno attraverso il ridimensionamento degli istituti democratici. Quanto sta succedendo in Italia con la riforma del sistema elettorale, il potenziamento dell’esecutivo e lo svilimento del Parlamento rientra a pieno titolo in un processo di svuotamento della democrazia e di
costruzione di un sistema politico autoritario. A partire dal colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973 con la fine della democrazia e con la trasformazione del Cile in una sorta di laboratorio del nuovo corso politico guidato dalla destra reazionaria assistiamo via via a tutta una serie eventi che hanno come fine lo svuotamento della Democrazia se non la sua eliminazione. In Cile il capitalismo finanziario ha dimostrato che esso vive e prospera meglio nei regimi autoritari che in sistemi politici democratici. Se non fosse sufficiente il Cile a dimostrarlo c’è l’esempio della Cina, della stessa Russia per parlare di regimi dittatoriali e autoritari o di sistemi politici solo formalmente Democratici. Le riforme che Renzi sta imponendo al Paese rientrano a pieno titolo nel percorso di restaurazione oligarchica iniziata in quel lontano 1973 con l’assalto al Palazzo della Moneda a Santiago del Cile. Se in Italia l’azione restauratrice non si ha con un golpe è solo perché il contesto è diverso e si preferisce usare strumenti più sofisticati quali il controllo della finanza e dei media per raggiungere gli stessi obiettivi. La tragedia è che il processo restauratore e antidemocratico avviene in presenza di una coscienza civile narcotizzata, di una ragione addormentata, di una opinione pubblica traumatizzata e scioccata dalla crisi sociale ed economica che la sta progressivamente impoverendo. Il fatto che Renzi stia costruendo un nuovo regime autoritario viene vissuto in modo liberatorio. Ogni atto che Renzi pone in essere è funzionale a un solo principio guida e cioè la semplificazione del processo decisionale e l’eliminazione di qualsiasi forma di controllo da parte degli altri organismi che formano lo Stato. L’unico controllo che resta è quello del Corpo Elettorale. Con le elezioni i cittadini sottoscrivono un contratto di mandato assoluto con il quale delegano il leader vincente a compiere tutti gli atti necessari per raggiungere determinati obiettivi svincolato da qualsiasi forma di controllo e verifica in itinere. L’idea dominante è quella di un uomo solo al comando. Non si comprende quanto questo principio sia funzionale alla trasformazione della Democrazia in senso autoritario. Per far passare tale idea nell’opinione pubblica l’argomento più comune è che concentrando il potere decisionale nelle mani di una sola persona svincolata da qualsiasi forma di controllo il sistema possa diventare più efficiente e meno costoso per la Società. L’unico controllo ammesso è quello riservato alla Società il quale apprezzerà o meno il suo operato rispetto agli obiettivi raggiunti quando una parte di essa avrà la possibilità di esprimersi come Corpo Elettorale. Il metro di giudizio per valutare il risultato raggiunto diventa il mercato che nelle intenzioni deve coincidere con la Società e con quella parte di essa che forma il Corpo elettorale. L’idea di valutare un atto politico secondo la logica del mercato equivale di fatto a svilire la Democrazia e a considerare il Governo dello Stato alla stregua di un Consiglio di Amministrazione. Secondo questa logica siamo in presenza dell’equiparazione della classe politica alla classe dirigente delle aziende. Il politico non può e non deve essere l’equivalente di un manager. I sistemi di riferimento Stato e Azienda sono totalmente diversi e perseguono scopi e fini diversi. Il manager di un’azienda non viene eletto democraticamente, cioè da tutti coloro che godono del diritto di cittadinanza politica secondo la regola una testa un voto, ma dagli azionisti che detengono le percentuali delle quote azionarie. Il manager persegue il massimo profitto da distribuire ai soci secondo le azioni possedute, il politico deve perseguire l’interesse generale pur nella visione della costruzione di un determinato modello sociale, che interessa tutti gli associati per il solo fatto di essere cittadini dello Stato e a volte per il solo fatto di risiedere nell’ambito del territorio sul quale lo Stato esercita la sovranità. L’accettazione supina delle logiche sopra descritte equivale ad accettare l’instaurazione di un regime autoritario e il trionfo del totalitarismo culturale rappresentato dal pensiero economico liberale. In conclusione siamo di fronte alla morte della Democrazia, della Società e dello Stato.

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