“State a casa”, certo, ma non prendeteci in giro dicendo che da un momento all’altro si possa ripartire come se nulla fosse. di Alessandro Sallusti

di Alessandro Sallusti. Una cosa per favore: non prendeteci in giro, che non siamo ragazzini alle prime armi. Pagherei per essere smentito, ma le scuole non riapriranno ad aprile e neppure a maggio, l’anno scolastico finisce qui. E lo stesso accadrà per le attività commerciali e la libera circolazione.

Ditelo chiaramente, non illudete la gente che da un momento all’altro si possa ripartire a pieno regime come se nulla fosse. Anzi, semmai ci aspetta a breve un nuovo giro di vite. Ma ditelo chiaramente, non con vaghe allusioni nelle quotidiane interviste a giornali e tv.

Quello che ci era stato venduto come uno sprint, si sta rivelando una maratona. Se non tutti i cittadini hanno capito la gravità della situazione, è probabile che tra di loro ci siano alcuni sordi, ma è anche possibile che il messaggio non sia stato chiaro e onesto.

Non basta dire loro «state in casa», se poi li si abbandona in balìa dei loro problemi, grandi o piccoli che siano.

Passano i giorni e le settimane e ancora nessuno ha avuto concretamente un aiuto: non un euro, non un rimborso, non un congedo parentale riconosciuto (l’Inps non sa come farli o, peggio, non è attrezzata a farli), nessuna assicurazione reale sulle scadenze fiscali (che andrebbero sospese, non spostate di cinque giorni), niente mascherine gratuite per tutti, non un’assistenza domiciliare degna di questo nome, ecc. Niente, solo parole e decreti vuoti perché mancano le norme attuative e nessuno sa cosa fare.

«State a casa», certo. Dobbiamo «stare a casa», ma se lasciata sola, senza orizzonti temporali e garanzie economiche, tra un po’ la gente andrà fuori di testa, e allora addio ordine e disciplina.

Vivere in quattro in un bi-trilocale ventiquattro ore al giorno è dura, farlo senza le entrate a fine mese e non sapendo cosa succederà dopo è una tortura che non si merita nessuno.

Molti governatori, da Nord a Sud, stanno chiedendo di mettere in campo l’esercito per contrastare i «sordi» che continuano a comportarsi da untori. Bene, ci può anche stare. Ma, parallelamente, serve un esercito che si occupi di chi ha sentito bene e si è adeguato. Se perseguitiamo, giustamente, il commerciante che tiene aperto il bar e non ci occupiamo di quelli che i bar hanno dovuto chiuderli, non ne usciamo.

Facciamo, faccia il governo, che questa volta non vinca l’Italia dei furbi ma quella degli onesti.

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