Le superstizioni degli italiani: malocchio e iettatura.

di Francesca Marra. Avete mai sentito parlare del potere attribuito all’occhio, dal quale può promanare un influsso distruttivo e maleaugurante, che “getta” il male? Per malocchio si intende un’influenza negativa esercitata da uomini, da cose, da animali e da speciali situazioni su altri uomini intenzionalmente o involontariamente Nelle culture popolari italiane lo iettatore non opera soltanto attraverso lo sguardo, il cosiddetto “occhio secco” dei dialetti meridionali, ma sembra operare attraverso l’insieme di molte caratteristiche che formano un vero e proprio stereotipo: vestire di nero, portare occhiali neri, apparire magro e secco, parlare con voce querula, mostrare cerimoniosamente preoccupazioni per la salute o per i mali altrui, ecc… Il malocchio sembra essere originariamente collegato a un potere magico attribuito allo sguardo desideroso o invidioso dei beni altrui. Di qui, uno dei nomi con i quali gli antichi lo designarono è invidia, che significa guardare male o guardare contro (in = contro, video = guardare). Anche i Romani avevano fede ferma nella iettatura che derivava dalla parola magica e in alcuni casi dall’occhio. Parte integrante della cultura campana, esso va ad aggiungersi ad imprestiti della cultura nazionale: nella città partenopea sorge una sorta di ansia che ruota attorno a persone, oggetti, animali, situazioni, le quali si pensa portano disgrazia, e il ricorso conseguente ad amuleti e gesti difensivi. La credenza può determinare una suggestione così intensa da ingenerare, in chi vi crede, quasi una predisposizione a cercare occasioni negative e a farsi vittima di disgrazie. La fede nella iettatura rende iettato, perché essa determina un indebolimento delle proprie capacità di presenza e di autocontrollo. Al capostipite degli amuleti, le corna degli animali, si attribuiva fin dall’epoca greca e romana un potere difensivo contro gli spiriti malefici e la capacità di generare benessere e fecondità. La presunta efficacia delle corna deriva dal loro essere oggetti appuntiti, dove la punta agisce difensivamente e offensivamente. Da questo modello nascono i piccoli corni o cornetti in metallo spesso pregiato, in corallo, in legno, accompagnati anche dall’immagine del gobbo o del numero tredici, amuleti che generalmente devono essere ricevuti in dono e non comprati. La funzione amuletica di questi oggetti viene a spostarsi, fin dall’antichità, su ben note gestualità della mano, principalmente della mano-corna, con l’indice e il mignolo tesi in alto o contro l’oggetto pericoloso. Occasionalmente questo gesto è sostituito o integrato dalla mano-fica che consiste nello stringere la mano a pugno con il pollice sporgente tra l’indice e l’anulare. L’origine del ricorso a questi gesti è l’ideologia che attribuisce alla sessualità maschile un potere energetico. Le corna rappresenterebbero così un sostituto simbolico del fascinum dei Latini, che è il fallo o l’organo eretto. Ciò spiega anche perché, quando ci si sente aggrediti da una forza disgregante, per esempio, un prete o un carro mortuario vuoto, ci si difende toccandosi i testicoli. Molto oscura è la storia che dà origine alla negatività del 17, un numero considerato nefasto attualmente soltanto in Italia. L’unica ipotesi esplicativa possibile è che esso richiami nella memoria popolare la data di un’epidemia, di un terremoto, di una carestia o di un’eclissi. I latini, peraltro, ritenevano fortunati i numeri dispari, infausti quelli pari, secondo una superstizione numerologica forse di origine pitagorica, registrata in Virgilio: “il 3 e i suoi multipli sono quelli usati più correntemente nella magia popolare e appaiono in tutte le prescrizioni mediche antiche, per garantire l’efficacia del medicamento”. In Sicilia si dice che “ogni trino è malandrino”, cioè vivace e furbo. Ogni tema superstizioso ha un’origine lontana e rievoca visioni del mondo o immagine seppellite. Ci sarebbe da chiedersi quali siano il loro significato e la loro funzione all’interno di un’epoca culturale che, apparentemente, le respinge e tuttavia ricorre quotidianamente ad esse.
Una risposta a tale quesito deriva dalla psicologia sociale e dall’antropologia: le superstizioni appaiono come meccanismi efficaci di difesa e di rassicurazione, attraverso i quali tutti immaginano giustificazioni dei loro fallimenti e delle loro incertezze. Se le superstizioni non esistessero, bisognerebbe inventarle per la loro utilità, necessaria nelle crisi esistenziali.

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