Dalle cene (e i digiuni) alla politica. L’ultima occasione per il Pd. di Antonio Ferrante

di Antonio Ferrante, Componente Assemblea Nazionale Pd. Nel pieno dell’onda gialloverde, con un Paese che riscopre il suo lato razzista, rabbioso e retrogrado, il Pd si appresta (finalmente) a vivere la stagione congressuale, regionale e provinciale entro l’anno e nazionale prima delle Europee. Ciò che colpisce è la disinvoltura nelle dichiarazioni da parte dei vari protagonisti nazionali, dalle proposte di scioglimento (o superamento, che suona meglio) alle cene stile Yalta strombazzate sui social (e poi annullate in modo altrettanto roboante) fino ai digiuni di protesta, cui si aggiunge l’unica candidatura ad oggi in campo, sicuramente già delineata nel profilo ma non altrettanto nelle proposte. Intanto il tempo passa e il popolo del Pd, così come i tanti elettori delusi che hanno disertato le urne o hanno affidato al movimento cinquestelle il compito di guidare il cambiamento, stanno inesorabilmente passando dalla rassegnazione all’indifferenza, sentimenti puntualmente riscontrabili nei sondaggi impietosi che arrivano ogni giorno. Ma cosa vuol dire cambiare realmente agli occhi degli elettori? A questa domanda ogni “caposensibilità” (capocorrente suona male), ha dato la propria versione, senza ottenere indistintamente, per usare un eufemismo pietoso, gran successo tra i nostri sostenitori. Forse basterebbe semplicemente chiedere all’interno dei circoli (quelli sopravvissuti) o magari anche a cena ma rivolgendo la domanda a chi siede al tavolo accanto, consapevoli di ricevere una prima ondata di critiche e magari, un secondo dopo, anche qualche idea per riacquistare fiducia e consenso. Ma per fortuna (o sfortuna per qualcuno) nel Pd, oltre i capisensibilità, ci sono anche coloro i quali quella domanda l’hanno posta spesso nel corso di questi anni, ottenendo risposte tanto semplici quanto inaccettabili da chi pensa che le sconfitte siano frutto degli errori di elettori, compagni e alieni, ma mai propri e quindi da ignorare sistematicamente. La speranza è che siano questi ultimi protagonisti della sfida congressuale, se solo sapranno trovare il coraggio di metterci la faccia contro tutto e contro tutti. Chi ogni giorno si alza per andare al lavoro (o, purtroppo, per cercarlo) e, tra mille difficoltà, arriva stanco alla sera, si aspetta dal Pd la capacità di proporre soluzioni concrete per rendere migliore la vita di queste persone e quella dei loro cari, possibilmente condividendole, operando anche scelte difficili e affidando ad una classe dirigente davvero rappresentativa il compito di spiegarle con umiltà. Il Pd deve essere in grado di interpretare questi bisogni e così, dalla mera opposizione, porsi come alternativa proponendo soluzioni senza vendere fumo a partire da misure vere contro la povertà, innovazioni nel campo della scuola che riducano i costi per le famiglie e diano maggiore formazione ai giovani, una seria riforma della pubblica amministrazione, piani concreti per ammodernare un Paese ancora troppo indietro nei collegamenti e nelle connessioni. Ecco di cosa (e con quale atteggiamento) la prossima classe dirigente che uscirà dal congresso dovrà parlare, con la credibilità delle facce e delle competenze, con la concretezza delle idee e con un’idea nuova di partito che, attraverso gli straordinari strumenti di comunicazione a disposizione, dia a tutti i suoi iscritti e militanti l’occasione continua di dire e dare ciò che hanno e che possono. In caso contrario, sarà una conta tra “sensibilità” per le ultime poltrone in saldo, e chiunque vincerà si ritroverà capitano di una nave per tre quarti affondata con attorno i pochi che attendono le ultime scialuppe di salvataggio.

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