Tazze, piatti e fioriere di cacca bovina: la nuova frontiera del riciclo.

di Stefania Elena Carnemolla. Fioriera di merda, tempo fa una cosa così sarebbe suonata offensiva, ma i tempi cambiano e con la cacca, con un’operazione, in piena epoca ipertecnologica, di ritorno al primordiale, si possono fare cose meravigliose, tipo una bella fioriera country style con cui abbellire la propria casa. La cacca, sdoganata, è ormai
un’icona di stile. Negli anni Sessanta Piero Manzoni inscatolò la sua, la famosa merda d’artista, mentre star di oggi sono le mucche di un’impresa agricola di Gragnano Trebbiese, nel piacentino, dove si produce il latte per il Grana Padano. L’azienda è la Castelbosco di Gianantonio e Tina Locatelli, con un ricco patrimonio zootecnico di bovini di razza selezionata che ogni giorno producono 50.000 kg di latte e 150.000 di sterco, in poche parole, cacca. Chili e chili di cacca, un patrimonio che l’azienda agricola ha pensato di valorizzare, sottraendolo all’idea di semplice residuo di un processo produttivo. Primo passo, la produzione di energia elettrica, con edifici ed uffici contestualmente riscaldati dalla temperatura sviluppata dai biodigestori, centrali per lo smaltimento dell’organico, durante la trasformazione del letame. Dallo sterco bovino l’azienda ha quindi ricavato concime per i campi e materiale grezzo per l’edilizia, fino a quando, fra quintali di cacca, non s’è fatta largo l’arte, con David Tremlett che ha dipinto i biodigestori nonché, con un’operazione di scardinamento di preconcetti e norme culturali, l’idea di creare un Museo della Merda, inno alla cacca nei secoli e al suo potenziale di riciclo. Il Museo della Merda, frutto dell’incontro tra Gianantonio Locatelli, l’architetto Luca Cipelletti, l’artista Gaspare Luigi Marcone e il collezionista d’arte Massimo Valsecchi, è stato realizzato lungo un percorso di dieci camere al primo piano del castello medievale dove vive la famiglia Locatelli. Un museo curioso – che ha attirato la curiosità di giornali e magazine anche internazionali, come il New York Times – con manufatti, video, installazioni di bioluce, opere d’arte, in particolare su uso e riuso di scarti e rifiuti, che racconta la storia della cacca dallo scarabeo stercorario dell’Antico Egitto, non a caso scelto come simbolo del Museo, all’utilizzo dello sterco nell’architettura, dalle antiche civiltà italiche all’Africa, passando per opere storico-letterarie fino alle ricerche scientifiche di oggi. Un luogo non solo come fucina di idee, ma anche per la produzione di oggetti d’uso quotidiano volutamente realizzati inseguendo forme “semplici, pulite, rurali”. Nel suo primo anno di vita, il Museo ha, infatti, inventato la Merdacotta®, materiale che ben sintetizza i principi di “sostenibilità e trasmutazione” che lo ispirano. Merdacotta® è un composto con miscela, variabile, di merda secca, paglia, scarti aziendali e argilla. “La merda secca elemento principale della Merdacotta® è il risultato di un processo che libera le deiezioni delle mucche di Castelbosco dal metano, che produce energia e riscaldamento per il Museo, e dall’urea, rendendole inodore. È uno scarto che viene riutilizzato e trasformato nell’unione con argilla toscana di elevatissima qualità”, così, il Museo. Fra gli oggetti per la casa c’è, ad esempio, il Giga Mattone, impermeabile e antimacchia, che può essere utilizzato come panca, tavolo basso, scultura. O, ancora, il Cubo, che può diventare uno sgabello, un comodino, un tavolino, un espositore, un oggetto, quindi, i vasi, anche con sottopiatto, più leggeri e resistenti al freddo rispetto a quelli in terracotta, e i portafiori e portapiante, sia a pianta quadrata che tonda, con quelli più piccoli che possono trasformarsi in contenitori per penne, matite e cancelleria varia. Ci sono anche i prodotti per la tavola, come piatti, ciotole, insalatiere, tazze, brocche, tutti realizzati con un procedimento ad hoc: “La Merdacaotta® viene cristallizzata e per realizzare oggetti che possono entrare in contatto con cibi e bevande, come ogni oggetto in terracotta o porcellana, viene realizzata una smaltatura trasparente a-piombica con cottura a 1.000 gradi. Il design è quello classico, del contadino, con bordi spessi e volumi capienti”, spiega il Museo. Tocco di eleganza, le mattonelle, “rivisitazione contemporanea della classica mattonella toscana in cotto”, sempre più prodotto industriale, pensate per rivestire pavimenti, muri – sia interni che esterni -, pareti o, singolarmente, come oggetti allegorici, fermacarte, fermaporta o, più semplicemente, per adagiarvi pentole, bicchieri e caffettiere.

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