Tagli agli statali: previsti 200mila esodati!

La spesa pubblica cresce a dismisura e con essa il debito pubblico. Allora bisogna pur tagliare da qualche parte, altrimenti c’è il rischio che salti tutto per aria. Ma di tagliare gli sprechi e le ruberie dell’apparato statale, di ridurre lo stipendio, il numero dei parlamentari e i costi della politica, di tagliare il cuneo fiscale, come pure di dare un taglio netto alla scandalosa sperequazione di trattamento economico che attualmente vige all’interno di un’intera categoria, quale quella del pubblico impiego, dove c’è chi guadagna dieci volte tanto il collega con pari grado, titolo di studio e anzianità di servizio, solo per il fatto di essere impiegato vicino al ‘fuoco’ dove ci si scalda (Camera, Senato, Quirinale, ecc, ecc), non se ne parla nemmeno. E allora si taglia laddove fa meno male, dove è più facile tagliare, dove il taglio non scatena particolari rivoluzioni, ma viene subito con sommessa rassegnazione: si tagliano gli statali!
Dopo il blocco ‘sine die’ dei rinnovi contrattuali – che è costato circa duecento euro in meno sulla busta paga di ogni singolo lavoratore, quando il costo della vita viaggia a velocità tripla rispetto alle loro retribuzioni – adesso si passa direttamente al taglio dei dipendenti pubblici: duecentomila gli statali da esodare! Nelle ipotesi allo studio del governo e del ministero dell’economia non è previsto alcun licenziamento, ma solo “esodi non agevolati” per i dipendenti over 57 che attualmente sono costretti a restare al lavoro per gli effetti della riforma previdenziale di Elsa Fornero che allunga i tempi di pensionamento a 67 anni per gli uomini e 65 per le donne. Dipendenti che hanno comunque un costo rilevante per le casse dello Stato. L’operazione sarebbe a costo zero, fanno sapere da Via XX Settembre, in quanto gli esodi dei “lavoratori anziani” avverrebbero su base volontaria in cambio, per loro, di una possibile ricollocazione nel sistema previdenziale pre-Fornero.
Addirittura l’esodo spontaneo permetterebbe di recuperare cospicue risorse da impiegare poi per il finanziamento della contrattazione di secondo livello. In realtà si tratterebbe di appena due miliardi di euro. Questa la cifra che potrebbe essere racimolata attraverso il taglio dei duecentomila dipendenti over 57. Briciole che rischiano di perdersi nel deserto sempre più arido delle retribuzioni da terzo mondo del pubblico impiego. Ma tanto è quello che può pemettersi di fare l’esecutivo delle larghe intese e dei continui rimandi a settembre, ed è possibile che anche il confronto governo-sindacati sul delicatissimo tema scivoli al prossimo autunno, allorché il ministro della Funzione Pubblica incontrerà i vertici dei rappresentanti dei lavoratori per avviare, se non altro, la trattativa almeno sul rinnovo della parte normativa dei contratti.
Il titolare della Funzione Pubblica, pur confermando il blocco degli stipendi, si è impegnato ad individuare un’intesa sulla parte normativa e a cercare, pur tra mille difficoltà, nuove risorse per le retribuzioni congelate ormai da 7 anni. Ma come verranno poi redistribuite queste briciole tra gli oltre tre milioni di dipendenti pubblici che pur sempre rimarrebbero ad affollare la sgangherata macchina dello Stato? Il rischio è quello che, dietro il sano e giusto principio del “più lavori e meglio lavori, e più guadagni”sbandierato dai sindacati, quelle poche risorse vadano a perdersi nei soliti rivoli clientelari che da sempre portano in un’unica direzione: adulatori, lecchini, ruffiani e leccaculo che pullulano copiosi negli uffici pubblici alla stessa stregua di timbri, scartoffie e faldoni. Il problema infatti è sempre il solito: chi sarà a decidere chi è il più bravo e quindi colui che va meglio retribuito?

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