Renzi teme il voto dei cittadini come la peste.

di Gerardo Lisco. Siamo alla stretta e, come era facile supporre, chi in Italia arriva alla massima carica di Governo perché cooptato teme il voto dei cittadini come la peste. Qualche mese fa, su proposta del Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata Piero Lacorazza, dieci regioni hanno fatto richiesta di sottoporre a Referendum popolare, per chiederne l’abrogazione,
l’art.35 del “decreto sviluppo” e l’art.38 dello “Sblocca Italia”. Nel Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016, il Governo ha fissato la data per il voto referendario al prossimo 17 aprile, non accogliendo così la richiesta avanzata dalle Associazioni e dai Comitati ambientalisti, dalle Regioni e dai Parlamentari di accorpare il referendum alle prossime elezioni amministrative. La cosa che fa rabbrividire è che nello stesso Consiglio dei Ministri si sia deciso di sprecare 360 milioni di euro per evitare di far votare nello stesso giorno per referendum ed elezioni amministrative e che, contestualmente, sia stata rinviata l’approvazione di un provvedimento di 200 milioni finalizzato ad indennizzare i risparmiatori truffati da Banca Etruria. Il 17 aprile si voterà solo per uno dei sei quesiti referendari proposti, quello che riguarda l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del Codice dell’Ambiente per la parte che regolamenta la durata delle trivellazioni. L’abrogazione della norma limiterebbe la durata delle concessioni alla loro scadenza naturale, chiudendo in questo modo la possibilità di eventuali proroghe. Per due dei cinque quesiti che la Cassazione ha dichiarato “decaduti” dopo gli interventi del governo nella legge di stabilità, sei regioni ( Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) hanno deciso di presentare ricorso per conflitto di attribuzione davanti la Corte Costituzionale. I quesiti referendari oggetto di ricorso, riguardano il “Piano delle Aree” e le proroghe dei titoli concessori. Per cui se venisse accertato il conflitto di attribuzione a favore delle Regioni a quel punto si dovrà indire un nuovo referendum. Magari aspettando le votazioni amministrative si farebbe eventualmente in tempo ad aggiungere anche questi quesiti. Anche in questo caso, come sempre accade, dietro le questioni tecniche si nascondono questioni politiche. Vista la particolare congiuntura economica che vede il prezzo del petrolio scendere da 100 dollari al barile a meno di 30, con l’Iran che si appresta ad inondare di altri tre milioni di barili di petrolio al giorno il mercato con conseguenze facilmente prevedibili, la posizione di coloro che sostengono che la vittoria del Referendum metterebbe sul lastrico diverse migliaia di lavoratori e manderebbe in tilt il nostro sistema industriale legato allo sfruttamento del petrolio, appare a dir poco pretestuosa. L’industria petrolchimica nazionale andrà in crisi per il crollo del prezzo petrolio e non certamente per il mancato sfruttamento delle irrisorie risorse petrolifere nazionali. La produzione nazionale di petrolio a pieno regime non vale più di 4 milioni di tonnellate l’anno a fronte delle centinaia di milioni di tonnellate prodotte da Arabia Saudita, Iran, Venezuela, Russia, ecc.ecc. Il Governo italiano, invece di blaterare, farebbe bene a non lasciarsi sfuggire l’ennesima occasione data, appunto, dal prezzo del petrolio ai minimi storici: utilizzare una parte delle risorse finanziarie risparmiate per mettere in campo una seria politica energetica sfruttando fonti alternative a quelle di provenienza fossile. Il Presidente del Consiglio, invece di sparate demagogiche, dovrebbe presentarsi in UE con un preciso piano di investimenti nel settore energetico da finanziare, quello sì in deficit, per il rilancio del nostro sistema produttivo. Come si evince il vero nodo della questione è invece tutto politico e riguarda la volontà di Renzi di ridurre ulteriormente gli spazi di partecipazione democratica. Renzi vuole semplicemente utilizzare la questione per dare una ulteriore spallata alle istituzioni Democratiche del nostro Paese, in linea con le indicazioni di Goldman Sachs che sostiene, appunto, che le Costituzioni nate all’indomani del crollo dei regimi nazi fascisti si caratterizzano per essere fortemente Democratiche ed attente al sociale. Siamo in presenza di un passaggio che vede la trasformazione del nostro sistema politico in una Democratura. Questo referendum è in primo luogo battaglia politica a difesa della Costituzione.

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