No, non va tutto bene! di Clemente Luciano

di Clemente Luciano. “Flash mob”, bandiere alle finestre, balli, tarantelle e “tamurriate” sui balconi con strumenti musicali improvvisati, come pentole, trombette, chitarre. Canzoni e Inno nazionale cantati dai balconi dei palazzi. E le radio nazionali che alle 18 in punto trasmettono, tutte insieme contemporaneamente, le canzoni “Volare”, di Domenico Modugno e “Azzurro” di Adriano Celentano.

Così gli italiani stanno affrontando questi giorni di confino e isolamento forzato: tanti modi per non sentire la solitudine e per sentirsi meno soli,ma anche per ritrovare un pò di empatia e staccare dalle notizie drammatiche che ogni giorno ti piovono addosso dalla tv e da internet per il dramma del Coronavirus.

E a quelle finestre e a quei balconi sono anche appesi striscioni e cartelli con la scritta “andrà tutto bene”, colorati spesso di soli sfavillanti e arcobaleni e fiori variopinti;disegnati spesso dalla mano di bambini. E con quella frase del “andrà tutto bene”, diventata subito virale con l’hashtag cliccatissimo che dilaga su tutti i social.

Confesso, però, che davanti a quelle scene provo un grande fastidio, e forse di più, perfino una repulsione e un intimo sentimento di ribrezzo e avversione.

Sì, provo fastidio, un fastidio che nasce da ciò che sento essere inopportuno, fuori luogo e fuori contesto, difronte al dramma che il Paese sta vivendo. Questi riti di riscossa collettiva, di un supposto, comune “sentire” nazionale che la tragedia ha innescato erano, forse, accettabili nei primi giorni, quando ancora non si aveva la consapevolezza della portata e dell’entità della tragedia, quando ancora non ci si rendeva conto dei dati numerici del disastro, umano nell’immediato, economico in prospettiva futura.

Si. Quando vedo quei canti e quei balli, quel ridere e scherzare, su quei balconi festanti, sento addosso un fastidio e un ribrezzo, altro che distrazione.

Ci sono i morti, migliaia di morti, decine di migliaia di contagiati, una cosa tremenda, orribile: come si fa a dire che “andrà tutto bene” difronte a quei numeri?

No. Non è andato tutto bene. Non sta andando affatto bene!

E ciò nonostante l’incredibile attività e l’opera instancabile di medici, infermieri, operatori del 118, volontari e militari, che spesso sono i primi a prendersi il contagio e a rimetterci la vita. L’Italia sta attraversando giorni tragici, drammatici e ancora non si vede nessuna luce in fondo al tunnel. E allora, prima di uscir sul balcone a cantare “Azzurro” o “Volare”, bisognerebbe pensare a luoghi come Bergamo. E lì sì, affacciarsi dai balconi dei palazzi di Bergamo e veder passare quell’interminabile colonna di camion militari che trasportano verso altre province tante, tantissime bare di persone uccise da questo stramaledettissimo virus.

Persone morte in solitudine in un reparto d’ospedale, senza che nessun familiare potesse esser loro vicino. 

I camion trasportano quei morti verso altre province perché nei cimiteri della Bergamasca di posti non ce n’è più.

E allora: si può uscire, nelle altre parti d’Italia, fuori dai balconi e cantarle, quelle canzoni? Si può avere il coraggio di farlo? Bisognerebbe pensare un attimo al volto dei morti. Gente normale, normalissima, che magari fino all’altro giorno giocava a carte con gli amici al bar o andava a lavorare, o che giocava a casa coi propri bambini. Ora vite spezzate, tutto spazzato via.

Si canta “Volare” o “Azzurro”, e intanto altri cadaveri vengono portati via dagli ospedali che scoppiano, avviati verso cimiteri dove saranno cremati.

E le mogli, i mariti, i figli, neppure nell’estremo momento son potuti stare con i loro cari. Difronte a tutto questo si può forse cantare, ballare, fare disegnini? No, non sta andando bene.

E anche dopo, quando tutto sarà finito (presto, speriamo) dovremo per forza dire: “non è andato tutto bene”.

La realtà della morte, individuale e collettiva, impone il dovere della riflessione muta e silenziosa. Silenzio che è dignità, rispetto verso i morti, vera comprensione della tragedia, reale partecipazione con chi adesso è nel pianto. Per avere – questa volta sì – una comune coscienza dei termini della tragedia nazionale. C’è bisogno di un impegno morale. La pandemia è una minaccia da cui tutti noi, dobbiamo difenderci con tutte le forze perché la possibilità di uscirne deriva (anche) dal fortissimo impegno etico, morale e civico con cui la affrontiamo. Anche in vista di quell’altra durissima, terribile prova che aspetta questo popolo: la ricostruzione economica e materiale di un Paese squassato e devastato da questa pandemia. Ecco perché interrogarsi sulla morte, con dignità, in silenzio, è un dovere culturale e morale che questa vicenda ci impone.

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