L’otto marzo, il giorno dopo…

di Grazia Nonis. Abbiamo al potere delle donne che si preoccupano troppo per la forma e molto poco per la sostanza. Infatti, questione di vita o di morte, sembra indispensabile e fondamentale per Giovanna Martelli (Pari opportunità): “Promuovere il linguaggio del genere per contrastare il fenomeno della violenza sulle donne” mentre per la Presidente della Camera Laura Boldrini: “Le donne rivestono ruoli importanti, quindi bisogna declinare al femminile questi incarichi.” La Presidente, non nuova a questo tipo di iniziativa e autonominatasi
rappresentante di noi donne, pretende di cambiare la nostra grammatica convinta che, modificando il genere, si acquisiscano automaticamente quei diritti che invece son lungi dall’esser tali. Vuol farci intendere che noi donne si “debba essere più traumatizzate” dal nome professionale di un lavoro che non dal fatto di non averlo. Dovrebbe sapere che sono ben altre le battaglie di cui si potrebbe occupare per far valere le nostre ragioni. Che qualcuno le dica di non perdere il suo tempo, ed i nostri soldi, interpellando docenti di linguistica italiana al solo scopo di coniare nomi ridicoli per mestieri che noi donne già svolgiamo. Che essi terminino in A o in O. Pare non le basti nemmeno poter anteporre l’articolo femminile davanti a Capotreno, Capostazione, Fabbro, Arbitro, Architetto o Elettrauto. Dobbiamo passare notti insonni scervellandoci sulla possibilità di cambiarli in Capatreno, Capastazione, Fabbra, Arbitra, Elettrauta o Architetta(?) Forse la Presidente ambisce ad entrare nei libri di storia come la Giovanna d’Arco della lettera A, oppure la pioniera del nuovo dizionario Boldriniano o, addirittura, l’esperta tra gli esperti dell’Accademia della Crusca. Magari col titolo di Laura La Magnifica. Strano non le sia ancora balenata l’idea di coniare un articolo unico per entrambi i generi. Potremmo cancellare la, le, lo, gli, un, una e uno dando via libera alla distruzione delle differenze. Abolendo la A e la O al termine delle parole metteremmo al rogo i tabù che ci ancorano al medioevo: il Suo. Da chi ricopre cariche istituzionali di tale livello, dovremmo pretendere più attenzione verso quelle donne che quotidianamente vengono picchiate, schiavizzate, segregate, umiliate o mummificate da un telo che le imprigiona. Quelle che del “linguaggio del genere” non gliene frega niente. Quelle che continuano a essere sfruttate a casa o sul lavoro anche se la loro qualifica termina in “a” e non in “o”. Basta con le imposizioni e i deliri di un bon ton linguistico che si ferma alla sola apparenza. Noi donne dovremmo pretendere un referendum per poter scegliere chi deve rappresentarci. Basta imposizioni, basta spocchia!

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