di Attilio Runello. A distanza di quasi una settimana dal terremoto in Turchia e in Siria si continuano ad estrarre persone vive dalle macerie.
Il numero di morti sta arrivando a quarantamila. Migliaia di palazzi sono crollati seppellendone gli abitanti.
Una inchiesta del governo ha fatto emergere che molti costruttori non avevano rispettato le regole antisismiche previste da una legge del 2012. Circa un centinaio di loro sono agli arresti.
Ma tutto lascia pensare che in questi dieci anni ci sia stato lassismo nei controlli. E anche numerosi condoni.
L’industria dell’edilizia ha supportato l’economia, dato posti di lavoro e case in un paese con ottantacinque milioni di abitanti, che ha visto una consistente emigrazione all’estero, che ospita circa tre milioni di siriani. Inoltre registra una elevata inflazione.
Nel 1999 il paese aveva subito un altro terremoto, ma la lezione non è bastata.
Si è preferito non vedere.
La politica di Erdogan ha cercato consenso nel paese con una politica estera da media potenza, nazionalista, senza consultare gli alleati della Nato e creando spesso frizioni con molti di loro. E anche con paesi vicini, come l’Armenia. Anche l’intervento militare in Libia ha creato molti problemi. Oltre che quello in Siria dove occupa una fascia di confine, e osteggia i curdi.
Negli ultimi mesi ha posto il veto all’ingresso della Svezia alla Nato.
Positivo invece il ruolo di mediatore fra Russia e Ucraina, che ha sbloccato l’esportazione del grano.
In primavera ci saranno le elezioni e si vedrà se la popolazione preferisce una politica di potenza o una più sana amministrazione.
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