Entro il 2023 un italiano su tre si ritroverà senza medico di famiglia.

La crisi non riesce a conoscere la parola fine. Siamo da anni dentro il tunnel della recessione e del disagio economico e sociale più nero, ma non c’è verso di uscirne fuori! E allora, in un Paese ridotto allo stremo, dove gli italiani risucchiati sempre di più verso la povertà e l’indigenza, neanche si curano più, si taglia! Si taglia su tutto anche sulla salute. Ma il fatto grave è che a questi tagli ‘strettamente personali’, si aggiungono anche quelli più pesanti del governo che si accanisce sempre nella direzione sbagliata, tagliando lavoro, pensioni, welfare e sanità. Sì, proprio la Sanità, quella pubblica, ovviamente, quella senza neppure le barelle dove mettere i pazienti,
quella a corto di siringhe e di personale sanitario, quella dove le infrastrutture cadono a pezzi. Ebbene proprio su quella sanità si abbatte la scure del governo, che è come sparare sulla croce Rossa! Cosicchè, non bastano le liste d’attesa lunghe un’infinità per un’ecografia o una lastra, adesso viene messa a rischio anche la presenza rassicurante e “familiare” del “medico di famiglia” che rischia di diventare un pallido ricordo, un doloroso rimpianto, nel nome del risparmio e della razionalizzazione della spesa pubblica! Sul destino del nostro sistema sanitario nazionale emerge in tutta la sua drammaticità la previsione di una sanità dove il medico di famiglia diventa una specie in via d’estinzione. Tra medici anziani propensi ad assicurarsi una pensione al più presto e giovani impossibilitati ad aprirsi uno studio di medicina generale, entro il 2023 verranno a mancare 21.700 i medici di famiglia! Bisogna considerare inoltre che se prima lasciavano la professione verso i 70 anni, ora si ritirano intorno ai 67, o anche prima se hanno maturato i 35 anni di contributi. Calcolando che mediamente ognuno di loro segue oggi 1200 pazienti, vuol dire che un assistito su tre rimarrà senza! Va aggiunto, inoltre, che la formazione dei giovani ‘medici specialisti’ la fa l’Università, che riceve abbondanti finanziamenti e nonostante il numero chiuso ha interesse a mantenere più cattedre possibili, mentre la formazione dei ‘medici di famiglia’ è a carico delle Regioni. Queste sono vincolate dalle tendenze al risparmio indotte dalla spending review – sulla scia di certe scelte a livello governativo – con medici, infermieri e tecnici impiegati come struttura di primo intervento, con alle spalle delle équipe mediche da chiamare solo alla bisogna, nel graduale tentativo di convertire il modello assistenziale da pubblico a privato! Insomma, i primi ad essere sacrificati sull’altare sempre più magnificato del taglio delle spese saranno i vecchi, cari, medici di famiglia. I dettagli di questo pericolo incombente sono stati diffusi dall’Enpam, ente previdenziale dei camici bianchi, e dalla Federazione dei medici di famiglia, preoccupati dei problemi che la fuga da questa professione potrebbe creare nel prossimo futuro! Il fenomeno è diffuso in tutta Italia, anche se i numeri sono più allarmanti a nord. In Piemonte, ad esempio, nei prossimi sette anni lasceranno lo studio 1173 medici di famiglia, in Lombardia 2776, in Veneto 1600, in Liguria 527. Considerando la popolazione, sono dati preoccupanti. E il problema è che per ogni quattro dottori che lasciano, ce n’è solo uno pronto a subentrare se le regioni continueranno, come fanno oggi, a elargire con il contagocce le borse di studio per accedere alla professione: 900 borsisti l’anno, mentre le uscite marciano al ritmo più che triplo. E non è che poi i giovani vengano tanto incentivati a intraprendere la formazione in medicina generale, visto che i potenziali medici di famiglia, scelgono la specialistica, come chirurgia od ortopedia, perchè possono contare su una retribuzione mensile di 1700 euro. I borsisti che aspirano a diventare medici di famiglia a malapena raggiungono gli 800 euro.

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