Cassazione: “Non è reato coltivare piante di cannabis in casa per uso personale”!

di Redazione. Sul davanzale della finestra o sul balcone di casa accanto a gerani, ciclamini e basilico, anche un bel vaso con qualche piantina di marijuana. I kit per la coltivazione dei semi di cannabis sul balcone di casa sono ormai assai diffusi (in alcuni casi si vendono anche su internet) ma fino a qualche giorno fa si incorreva in rischi da un punto di vista legale, in quanto a livello giuridico non c’era mai stata un’apertura vera in questa direzione.

Ma dal 19 dicembre di quest’anno tutto è cambiato! Infatti, non sarà più reato coltivare in casa la cannabis, il tutto beninteso se in quantità minima e solo per uso personale: è quanto hanno deciso le sezioni unite penali della Cassazione con una pronuncia che è destinata a non passare inosservata. Secondo gli ‘ermellini’, che hanno preso la decisione il 19 dicembre scorso, “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica”. Se, raccomandano, “lo scarso numero di piante e il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale”.

Su questo tema in passato la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte, stabilendo in linea di principio che la coltivazione della cannabis costituisce sempre un reato, al di là della quantità, dall’uso personale che se ne può fare e dalla presenza dei cosiddetti principi attivi. Su quest’ultimo aspetto la Consulta ha sottolineato infatti il pericolo, sotto il profilo della salute, a cui possono andare incontro gli utilizzatori, nonché la creazione “potenziale di più occasioni di spaccio di droga”. E finora proprio a questo principio si era uniformata la Cassazione.

Ma con la nuova decisione i giudici della cassazione hanno stabilito che “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza” ma devono però “ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

La pronuncia ha preso le mosse dal caso di una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di marijuana, una alta un metro e con 18 rami e l’altra alta 1,15 metri e con 20 rami. La notizia è stata accolta con favore dal senatore M5S Matteo Mantero “la Cassazione ha aperto la strada, ora tocca a noi. Fino a questa storica sentenza comprare Cannabis dallo spacciatore, alimentando la criminalità e mettendo a rischio la propria salute con prodotti dubbi, non costituiva reato penale mentre coltivare alcune piante sul proprio balcone per uso personale poteva costare il carcere“.

Parla di “svolta positiva della Cassazione” anche il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, secondo il quale la decisione degli ermellini sulla liceità della coltivazione domestica della cannabis “è piena di ragionevolezza”. E questo perché “si rompe un tabù. Ora andiamo avanti: con cannabis legale avremmo più sicurezza e miliardi per lo Stato sottratti alla criminalità”.

Soddisfatto anche Riccardo Magi, anch’egli di +Europa, che giudica come “una buona notizia natalizia” la sentenza della Cassazione che “ha fatto valere il buon senso e la logica con l’equiparazione della coltivazione per uso personale al consumo, ora tocca al Parlamento, dove sono depositate diverse proposte che vanno decisamente in questa direzione – tra cui la legge di iniziativa popolare ‘Legalizziamo’ promossa da Radicali italiani e Associazione Coscioni e una proposta di iniziativa parlamentare recentemente depositata con firme di deputati di diversi gruppi – per superare una normativa illogica e sbagliata”.

A pensarla diversamente è il Family day, così “si inventa un diritto a drogarsi che non ha alcun fondamento giuridico e alimenta una cultura dello sballo che oltre a minare l’integrità psicofisica dei giovani, è fra le maggiori cause di incidenti stradali mortali”.

Sulla stessa scia anche il Moige, “seriamente preoccupato per il messaggio devastante ai giovani: con questa legalizzazione si avrà certamente un aumento dei consumi ed un calo di percezione della pericolosità di questa droga”.

Dalla comunità di San Patrignano pronosticano che il verdetto “inciderà negativamente sull’educazione dei minori che cresceranno nella convinzione che l’utilizzo di cannabis sia innocuo e socialmente condiviso”.

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