Vaticano: No a maternità surrogata e suicidio assistito.
La Chiesa cattolica prende posizione contro la pratica della maternità surrogata, “attraverso la quale il bambino, immensamente degno, diventa un mero oggetto”.
Ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Auspico pertanto un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica.
Nel documento del Dicastero per la Dottrina della Fede “Dignitas infinita” vengono affrontati i grandi temi etici, dalla maternità surrogata all’aborto, dall’eutanasia all’omosessualità, per chiarire la dottrina della Chiesa cattolica in merito. Ancora sulla maternità surrogata, la Santa Sede scrive, rifacendosi a quanto detto dal Santo Padre, che quella pratica va ritenuta “deprecabile” e che “lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica”.
Sull’eutanasia, il dicastero per la Dottrina della fede scrive, nella sua Dichiarazione, che esiste un caso particolare di violazione della dignità umana che è più silenzioso ma che sta guadagnando molto terreno. Un caso che presenta la peculiarità di utilizzare un concetto errato di dignità umana per rivolgerlo contro la vita stessa. Tale confusione, molto comune oggi, viene alla luce quando si parla di eutanasia. Ad esempio, le leggi che riconoscono la possibilità dell’eutanasia o del suicidio assistito si designano a volte come “leggi di morte degna”. Molto diffusa l’idea che l’eutanasia o il suicidio assistito siano coerenti con il rispetto della dignità della persona umana.
Certamente, dice il documento, la dignità del malato in condizioni critiche o terminali chiede a tutti sforzi adeguati e necessari per alleviare la sua sofferenza tramite opportune cure palliative ed evitando ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato. Ma un tale sforzo è “del tutto diverso, distinto, anzi contrario alla decisione di eliminare la propria o la vita altrui sotto il peso della sofferenza”.
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