Un silenzio rumoroso. Quando starsene in disparte equivale ad una richiesta di aiuto.

di Francesca Marra. Oggi decidiamo di dar voce a quante persone faticano, nel quotidiano vivere, a chiedere aiuto. Una richiesta di conforto, di ascolto semplicemente. Ogni giorno, capita di sentirci soli o anche non capiti. Davanti a questa situazione la maggioranza delle persone è solita isolarsi, chiudersi in se stessi e silenziare le proprie emozioni.
Non risulta semplice, infatti, esprimere i propri bisogni in contesti di cui facciamo parte ma non ci sentiamo totalmente integrati. Ogni evento che viviamo può mettere in discussione chi siamo e come ci sentiamo, al di là delle persone che ci attorniano in un determinato momento. La reazione che ne deriva è sicuramente soggettiva; ciò che resta invece uguale per tutti è la decisione di celare le emozioni che spesso influenzano il nostro organismo e reprimerle consequenzialmente.
Distratti dalle mille faccende, diamo priorità spontaneamente ai lavori che bisogna ultimare, alle scadenze imminenti e ai doveri che reclamano la nostra attenzione. Solitamente, incuranti di come alcune emozioni vadano invece ascoltate e risolte, si è soliti calpestare i nostri sentori, le nostre intuizioni. Non parliamo di mostri nel cassetto, quelli li abbiamo tutti e sono volontariamente messi a tacere, a lungo termine se è necessario. Non parliamo infatti di tutti gli ostacoli odierni che rendono complicato l’arrivo ad un obiettivo preciso; si discute invece di quante volte svolgiamo dei lavori forzatamente, mentre il nostro organismo chiederebbe una tregua, anche momentanea.
L’ascolto del proprio corpo è ad oggi, una prerogativa per pochissime persone. Tutti pronti a subire lo stress odierno affinché non si fallisca mai in ambito lavorativo o familiare, tendiamo a prorogare come ci sentiamo davvero, quanta stanchezza o stress portiamo “in grembo”.
Da questo atteggiamento sembra derivare una diretta conseguenza: l’alienazione. Non riuscendo a comunicare il nostro corpo come si sente, subiamo lo scorrere del tempo e inesorabilmente fingiamo che tutto vada perennemente bene. Per la maggioranza delle persone è sempre più ostico comunicare all’esterno quante emozioni contrastanti e turbolenti abitano in noi ogni momento, da questo le frequenti crisi di panico e gli atti di abbattimento che prima o poi gli danno voce.
Cosa fare davanti a questa dinamica? Come comportarsi in caso di “standby”?
Le risposte sono molteplici e riflettono soluzioni diverse da persona a persona. L’unica cosa che possiamo suggerire, oggettivamente, è il senso di riflessione e di accettazione che dobbiamo sviluppare in questi casi.
Cercare di accettare i propri stati d’animo e di parlarne anche con un proprio familiare, affinché si abbia il tempo necessario a rifiorire e rimetterci in marcia. Non bisogna aver paura della vulnerabilità, ma soprattutto non bisogna tenersi nascosti in solitudine.
Non tutte le emozioni saranno poi spiegabili, ma lo sfogo servirà quantomeno ad un’ inizio di rielaborazione, di appagamento e confronto. Scoprire che non siamo soli, che nessuno è in grado di salvarsi da solo e magari che al tuo fianco c’è già qualcuno che aspetta solo che tu ne parla.

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