Un ‘contributo a fondo perduto volontario’ dei ricchi per cancellare il nostro debito pubblico!

di Paolo Cirino Pomicino. Siamo in guerra come dicono tutti ed i nostri eroici soldati sono sul pericoloso fronte degli ospedali, medici, infermieri ed operatori sanitari, ma lo sono anche tutti quelli al lavoro per garantire le funzioni essenziali perché lo Stato non muoia.

Ma c’è anche un tempo di pace che, grazie a Dio, arriverà ben presto e non dovremo lasciarci trovare impreparati come è accaduto per il coronavirus. Un tempo di pace nel quale l’ammalato grave sarà il paese con la sua economia in recessione e la conseguente disoccupazione di massa.

I provvedimenti ultimi del governo si muovono nella giusta direzione ma con la tradizionale lentezza burocratica diventata in questi ultimi davvero asfissiante (perché ad esempio non dare in tempo reale alle imprese e su base della sola richiesta come in Svizzera, un acconto pari al 5% o al 10% del fatturato dell’anno precedente sempre con garanzia dello Stato, in attesa poi dei finanziamenti complessivi di cui al decreto ultimo?).

Ma la costruzione dell’Italia del dopo ha bisogno di nuove politiche sul piano fiscale, industriale, della organizzazione del lavoro, del Welfare, della istruzione, della ricerca e innovazione e dell’ambiente. Una rivoluzione insomma, che richiederà lucidità politica e grandi risorse. E parliamo di queste ultime.

Nelle ultime terribili settimane tutti i rigoristi ed i liberisti si sono subito schierati giustamente sul versante dei debiti illimitati dello Stato perché quando si è in guerra bisogna fare tutto ciò che è necessario e farlo subito. Spero però che questa dura esperienza insegni ai liberisti che la storia economica di un paese in un determinato periodo per essere compresa debba essere collegata alla storia politica dello stesso periodo.

Chi oggi sostiene debiti illimitati per l’emergenza del coronavirus sino a ieri negava l’emergenza degli anni settanta e ottanta, una emergenza diversa fatta da inflazione a due cifre, terrorismo e crisi politica. In quegli anni vincemmo quelle crisi con l’aiuto di un debito sostenibile perché il 57% era nelle mani delle famiglie ed imprese italiane (oggi siamo al misero 6%) che alimentava una crescita del 2,5% ogni anno.

In questi 25 ultimi anni il debito si è triplicato in valore assoluto (839mld di euro nel 1991 oggi 2443 mld) mentre il prodotto interno lordo è aumentato in media solo dello 0,2 ogni anno e quindi ci siamo largamente impoveriti, in particolare nel mezzogiorno,  tranne una piccola élite. Non abbiamo certo bisogno di riconoscimenti e se ricordiamo questi numeri è solo per evitare gli errori di questi ultimi 25 anni.

Dunque debito subito per tutto ciò che è necessario ma è tempo che si pensi anche a ricapitalizzare il paese come ha detto un autorevole banchiere Carlo Messina quando ha sollecitato con forza quegli imprenditori con robusti patrimoni a ricapitalizzare le proprie imprese. Di debito si vive e si prospera sempre quando, però, sia sostenuta da una crescita e da un equilibrio tra debito ed equity. Diversamente si muore rovinosamente. Questo vale per le aziende come per gli Stati.

Se dunque oggi avremo tra imprese e Stato un nuovo ed imprescindibile debito, aziende e Stato dovranno ricapitalizzarsi. Per le imprese lo ha sollecitato Messina e per lo Stato chi ci sta pensando? E i grandi economisti non potrebbero darci qualche suggerimento?

Noi siamo cresciuti nel più grande partito della storia unitaria del paese ed in una cultura, quella del popolarismo innervato anche dalla dottrina sociale della chiesa, e negli anni 70/80 sostenemmo con forza l’economia di mercato e l’etica del profitto a garanzia delle libertà personali e collettive.  Per quella scelta pagammo un prezzo altissimo di sangue ma non ci piegammo.

Oggi con la stessa visione e con la stessa determinazione diciamo che gli unici che possono concorrere a ricapitalizzare il paese sono quel 20% degli italiani che posseggono il 72% della ricchezza nazionale forti come sono di una disponibilità finanziaria di 4300 miliardi di euro.

Guai a pensare però ad una patrimoniale perché essa è per sua natura recessiva e in queste condizioni sarebbe devastante.

Noi invece pensiamo ad una grande alleanza democratica tra Stato e ricchezza nazionale sull’onda della grande generosità, vissuta a prezzo della vita, dei medici, degli infermieri, degli operai nelle filiere produttive e commerciali essenziali per la salute e per la sopravvivenza  della popolazione.

Un’alleanza che si deve concretizzare con un invito da parte dello Stato ad un contributo a fondo perduto volontario, ripetiamo volontario, da parte di qualunque contribuente che lo possa e che lo voglia tra un minimo di 30 mila euro ad un massimo di dieci milioni a seconda del proprio reddito e del proprio fatturato, persone fisiche e persone giuridiche, e da versare in due annualità.

A questa fiducia lo Stato dovrebbe rispondere con analoga fiducia con una esenzione di qualunque accertamento fiscale per i prossimi quattro anni a condizione però che redditi e fatturati di quei contribuenti generosi crescano ogni anno dell’1,5% ogni anno.

Un’alleanza dunque basata sulla fiducia reciproca e sulla generosità altrettanto reciproca nell’interesse del paese.

Il gettito stimato sarebbe di almeno 120 miliardi di euro e con l’aggiunta di una vendita ai fondi pensioni di immobili pubblici messi a reddito per 50 miliardi avremmo una ricapitalizzazione tra 170/200 miliardi di risorse fresche extrabilancio capaci di reggere un debito di 400 miliardi per sostenere una crescita di almeno il 2% annuo grazie a quelle politiche di cui abbiamo ricordato in apertura.

In queste settimane abbiamo sentito e letto tanti consigli e suggerimenti per far debito spesso proprio da quelli che suggerivano ieri tagli alla sanità ed alla istruzione o addirittura spiegavano che sei mila euro di pensione erano una pensione d’oro e, infatti, le hanno ridotte.

Non ho, però, ascoltato nulla che potesse richiamare la nostra ricchezza nazionale ad un impegno non diciamo simile a quello degli infermieri e dei medici ma almeno solidale con loro e con l’intero paese. Noi sappiamo che la stragrande maggioranza di quel fortunato ed operoso 20% di italiani sono disponibili ad uno sforzo serio non solo per quel forte senso di italianità ma anche perché convinti che se concorrono a salvare il paese salveranno anche se stessi.

Il sistema politico, invece, appare attonito e impaurito, deferente e subalterno alla ricchezza nazionale. Noi che abbiamo versato sangue e reputazione per mantenere in piedi una economia di mercato svillaneggiata in questi 25 anni da un vorace capitalismo finanziario non abbiamo difficoltà a chiedere a quel 20% di italiani quel che abbiamo chiesto.

Ci dicono che il centro politico non sia più di moda ma la sinistra e la destra dove sono?

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