Siamo morti che camminano. Dov’è finito l’orgoglio italiano?

di Giulio Lobina. C’è poco da fare. Non solo si tratta l’immigrazione come una piaga da combattere, ma ci si dimentica anche dell’uso che gli europei hanno fatto per secoli degli africani. Dell’uso, sì, perchè abbiamo usato i “negri” come forza lavoro ovunque avessimo possedimenti. Abbiamo per secoli violentato le loro donne, bruciato i loro villaggi, rubato le loro risorse naturali. Abbiamo per secoli violato i diritti umani con la schiavitù e ora abbiamo anche il coraggio di lamentarci se arrivano naufraghi e “clandestini” nelle nostre coste?
Siamo un popolo che non conosce la storia. Ecco cosa siamo. Siamo un popolo che dovrebbe chiedere scusa a queste persone per tutto quello che abbiamo fatto. Sbagliano a venire qui. Certo, sbagliano. Sbagliano perchè tornano da chi li ha sfruttati per secoli credendo d’esser trattati almeno come persone. E invece, fin da quando siamo piccoli, ci hanno educato alla “paura dell’uomo nero”. Nelle dicerie e nei racconti degli anziani, anche di quelli che, da giovani, neri diventavano nelle miniere di carbone del Belgio e della Germania, per mandare qualche soldo a casa. Ma ci dimentichiamo tutto. E quando dimentichiamo la storia non solo siamo ignoranti, ma poveri e vuoti. Siamo niente. Niente, come i corpi dei bambini africani corrosi dal sale dell’acqua del mare che bevono per non morire. Vuoti come la bocca di una madre africana che non ha più saliva da sputare nella bocca di un bambino di bambù che troverà in mare la sua tomba.
E muoiono così. Muoiono disidratati. Svuotati dentro. Corteccia d’albero cavo. Potessimo comprendere tutte queste cose quando osserviamo un senegalese che cammina sulla spiaggia carico come un mulo o un somaro. Potessimo chiedere scusa per ogni passo che percorre. Per tutte le volte che si brucia i piedi sulla sabbia rovente, per tutte le volte che ci sorride anche quando non compriamo nulla, quando perde 5 minuti del suo tempo in 500, 1000 ombrelloni su una spiaggia, nella speranza di vendere almeno un bracciale. 
Ma in che Italia stiamo vivendo? Un’Italia che trasforma il gesto di un extracomunitario squilibrato in “regola”. E si dimentica che la regola oggi è la violenza sulle donne perpetrata da mariti, amanti, fidanzati, ex, datori di lavoro. Potessimo chiedere scusa ad ogni donna e ad ogni extracomunitario che incontriamo nella nostra vita, forse, quel giorno qualcuno riconoscerà i diritti inviolabili dell’uomo come sacrosanti e non solo come parole scritte in una Dichiarazione Universale.
Se non cambiano i cuori, non cambia neppure la politica. E siamo vuoti dentro, svuotati dall’egoismo e dall’ignoranza della storia che ci accompagna.
Siamo morti che camminano. Senza sangue. Bravi a lanciare banane a un Ministro di colore, dimèntichi che anche quelle, magari sono africane, come i naufraghi che arrivano dal mare, raccolte da africani sottopagati di cui noi non valiamo neppure quanto una goccia del sudore della loro pelle.
Il nostro problema non è l’immigrazione. Il nostro problema è una visione ottusa del mondo diviso in frontiere. Per questo compriamo cacciabombardieri F35 anzichè pensare ad una programmazione per il lavoro e la tutela dell’ambiente, della salute e della cultura. Giochiamo ancora ai soldatini in un’epoca in cui il virus giusto in un PC fa saltare l’intera economia internazionale. E abbiamo le sorti di un governo legate ai processi di un uomo che tiene in scacco il Paese da 20 anni, che marcia contro la Magistratura e che ha svuotato il Parlamento del suo ruolo con una miriade di decreti legge e di leggi ad personam quando governava.
Se siamo finiti così in basso la colpa è solo nostra. Non degli immigrati. Ma ci serve una scusa. Perchè dare la colpa agli altri, anche degli errori propri, ci fa sentire meglio. E’ per questo che siamo più vuoti dei bambini di bambù. Vuoti nell’anima però, non nel corpo. E questo è grave. La caccia alle streghe. L’ennesimo medioevo. E non facciamo più figli… e forse è meglio così, perchè non sappiamo più educare all’ascolto e al rispetto. Alla bellezza e alla cultura, alla storia e alla speranza, alla semplicità e alla natura, ai pastelli colorati e alle partite a pallone in strada.
Siamo lontani anni luce da noi stessi. Arresi. Quando un nuovo Rinascimento? Un umanesimo globale delle menti e dei cuori? Quanto ancora dobbiamo raschiare il fondo per comprendere che siamo esseri di luce e non dell’oscurità? Dov’è l’orgoglio italiano?

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