Renzi e il meraviglioso mondo del Sì, dove ogni promessa diventa debito pubblico!

di Primo Laguardia. Fino a un paio di anni fa si chiamava Def (Documento di programmazione economica e finanziaria), ma Renzi è riuscito nel portentoso disegno di trasformarlo senza alcuna vergogna in un Documento Elettoralistico Fanfarone degno di Collodi e del paese dei balocchi. Non erano passati che pochi minuti dall’annuncio che il referendum si terrà il 4 dicembre (almeno del 2016, si spera) che veniva rilanciato dalle agenzie il piano per la quattordicesima ai pensionati
che percepiscono un assegno inferiore ai mille euro. Una sfolgorante coincidenza, stile 80 euro, bonus ai diciottenni e così via. Del resto Renzi è fatto così, considera la spesa pubblica un bancomat infinito e genetico da piegare ai propri voleri, incurante di ciò che Draghi continua a ribadire in ogni dove (“I Paesi con alto debito pubblico pensino alla spending review piuttosto che a chiedere flessibilità”) e di quanto, impietosamente, gli ricordano tutti gli indicatori macroeconomici, statistici e di trend. Prima siamo finiti in recessione, poi in deflazione, ora siamo alla rassegnazione e non è detto che ci si fermi qui. La legge di stabilità sarà dunque un acrobatico giro d’Italia in 80 bonus, con debito pubblico in aumento, nessun taglio di spesa strutturale per non parlare di misure per gli investimenti. Tra cabina di regia a Palazzo Chigi e ministero di via XX Settembre si gioca da tempo un derby velenoso che non serve a nessuno e complica ulteriormente il già fragile disegno programmatico del governo. Ma, per assurdo, le colpe di Padoan sono ancora più gravi perché un economista della sua esperienza non può non vedere che in questo modo si affossa il Paese. Ma niente, eccoli lì tutti, allineati e coperti, difendere ciascuno la propria ridotta ed evitare che i simbolici tagli ai ministeri restino tali e che nessuna sforbiciatina (non certo quelle immaginate da Cottarelli o Perotti) vada a intaccare il tessuto dello status quo. Da oggi al 4 dicembre sarà tutto un “meraviglioso mondo del Sì” da far accarezzare rispetto all’incubo della “terra di mezzo del NO”. Il problema è che l’incubo, quello vero, si chiama crisi economica, un verdetto che non ha purtroppo bisogno di un referendum confermativo.

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