Quel “Ristorante” che fino ieri incassava a rotta di collo e che oggi piange miseria!

di Lucianina Rm. Non conosco la realtà delle imprese, che pur tuttavia, in questo momento di grave crisi sanitaria ed economica, sono “aiutate” dalla cassa integrazione per pagare i loro dipendenti e da altri sussidi di Stato, ma conosco molto bene il “Ristorante” qui sotto casa che in tempi di pace, quando non eravamo ancora in guerra contro il Coronavirus, era sempre pieno zeppo di gente e se volevi andarci a mangiare qualcosa dovevi prenotare minimo una settimana prima, logicamente – il più delle volte – senza ricevuta fiscale quando si trattava di pagare il conto, oltretutto pure “salato”!

E adesso “lui”, il “Ristorante” e chi come lui, sta lì a piangersi addosso per il “Chiudi Italia”!

Ma quando tutto sarà finito, quando Covid19 sarà solo un brutto ricordo, questi signori – che riprenderanno ad incassare centinaia di migliaia di euro – sapranno essere solidali con chi campa a fatica di stipendio e di pensione a prescindere dal Coronavirus?

E poi, non penso che questi signori stiano morendo di fame, considerati i lauti incassi del periodo ante-coronavirus, e come costoro tanti altri, non solo i ristoranti, ma anche commercialisti, avvocati, liberi professionisti con un conto in banca che io – che campo di stipendio (1.100 euro al mese, al netto di straordinari e buoni pasto tagliati dalla pandemia) – neppure mi sogno!

Ciò nonostante, stanno tutti lì ad elemosinare l’aiutino di Stato, quando poi le code davanti a supermercati, pescherie, alimentari e macellerie arrivano da qui fino a New York!

Siamo italiani, non c’è niente da fare: siamo i soliti “furbetti”!

Del resto, avete mai sentito di un nostro connazionale che è “morto di fame”?

You may also like...

13 Responses

  1. Antonello Laiso ha detto:

    Resto fermo,su quanto scritto,anche alla luce dei fatti attuali,
    Ora si possono portare le pizze a casa leggo dai giornali che tante pizzerie blasinate (diverse che avevano tuonato fulmini e saette)non hanno deciso per tale servizio(se volete cito le testate giornalistiche),non mi sembra corretto anche fare i nomi delle pIzzerie Regine che in ogni caso non accuso e non criminalizzo poiché avranno costi di gestione molto alti .
    Troppa grazia S . Antonio,purtroppo non per tutti….

  2. Antonello Laiso ha detto:

    Da sempre estimatore della pizza napoletana come napoletano verace,punto il dito su qualche pizzeria.

    Con l’entrata in vigore per le pizzerie di apertura solo come asporto dalle ore 16 alle 22 di sicuro noi napoletani ne saremo ben felici,di sicuro tante pizzerie pure lo saranno e dovranno faticare non poco con forni accesi a tutta velocita’.Si sa a Napoli la pizza è un culto molto venerato.

    Credo non sia poco ,di sicuro tante pizzerie di cui in particolare le piu’ popolari ne saranno felici non dico completamente ma almeno in parte, a recupero di un periodo di chiusura che ha coinvolto pure l’indotto tra cui tanti ryders porta pizze oggi piu che mai indispensabili.

    Sembra invece da cio’ che su pagine l di quotidiani della città si legge sul tema, ovvero che alcune pizzerie non riapriranno per motivi di non convenienza.

    Tra queste pizzerie ci sono guarda un po’ le piu’ blasonate,le piu’ fortunate magari quelle cui i titolari hanno sedi in tutta italia ed all estero,troppa grazia S. Antonio direbbe qualcuno.

    il commercio della pizza cibo per antonomasia nato popolare e’ diventato per qualcuno multinazionale, industria a livello competitor delle migliori industrie di altri generi presenti sul mercato.

    Vorrei rilanciare con una provocazione e da Napoletano non solo, ma da conoscitore di tutte le pizzerie della Regione tra cui le piu’ picccole e le piu’ blasonate (che non sono sempre le migliori),mi chiedo allora se due margherite portate a casa non possono costare piu di otto euro,le stesse due margherite per due persone sedute in un locale blasonato con due bibite e qualche sciocchezza come piatto di zeppolelle iniziale raggiunge circa i trenta euro.

    certo il guadagno molto ben strutturato a tavolino non puo’ essere paragonato a quello di asporto.La motivazione resta sempre guarda un po’ per quella troppa grazia a S. Antonio di alcune non molte pizzerie.Nate come tali,popolari,spesso con foto storiche di cento anni fa popolari e di pizzeria a conduzione famigliare di quello che fu’ un tempo passato a ricordi oggi inesistenti,tali infatti sono diventate imprese che giammai portano pizza a casa.

    E quelle foto storiche popolari appese ai ai muri ?,nostalgia di un passato che non c’è più.

  3. Marcellino Fossa ha detto:

    X Antonello LAISO. Pizze a domicilio in Campania: c’è il via libera del presidente della Regione, Vincenzo De Luca. Dopo richieste e appelli dei più famosi PIZZAIOLI, il governatore, con un’ordinanza appena firmata, ha sbloccato la consegna a domicilio di uno dei piatti più amati in assoluto. Provvedimento che vale anche per prodotti da bar, pasticcerie e ristoranti. Con il documento, arriva l’ok pure per l’apertura di librerie e cartolibrerie: sono infatti stati individuati determinati orari, modalità di prenotazioni online e consegne a domicilio. Le nuove disposizioni scatteranno a partire dal 27 aprile

  4. nanni f. ha detto:

    Antonè, ma che dici. Ma ti pare che i pizzaioli di Napoli non vogliono portarti la Napoletana a casa!?
    Era la Regione Campania che non glielo permetteva!!!

  5. Mariano V. ha detto:

    Coronavirus Campania, pizze a domicilio: via libera di De Luca! Il governatore della Regione, con un’ordinanza appena firmata valida a partire dal 27 aprile, ha inoltre permesso lo stesso tipo di attività anche ai vari servizi di ristorazione e l’apertura mattutina di librerie e cartolibrerie

  6. Flavini-SA ha detto:

    Caro Antonello, ma che dici!!!!??? I pizzaioli più famosi di Napoli che non vogliono portarti la pizza a casa? Ma che non li leggi i giornali. L’asporto in Campania e nella tua Napoli è VIETATOOOOOOO!

  7. EvvivaLaPIZZA ha detto:

    L’ordinanza numero 37 ha stabilito che da lunedì 27 aprile saranno possibili anche in Campania consegne a domicilio di pizze, cibo e prodotti da bar e da pasticceria, consegne che nel resto del Paese erano proseguite ma qui no, impedite da ordinanze più restrittive!

  8. Pizzaioli-NA ha detto:

    La pizza d’asporto in Campania è vietata: l’unica regione d’Italia ad aver preso questo provvedimento sin da subito. Non solo la pizza, chiariamoci. Sono vietati l’asporto ed il delivery di cibi freschi e pronti da parte di alcune categorie commerciali segnalate attraverso gli ormai famosi codici ATECO (le industrie dolciarie, per intenderci, possono vendere dolci confezionati). Nella categoria del “no” rientrano anche le pizzerie e le trattorie.

    Sicuramente, l’asporto con i propri fattorini ed il delivery attraverso piattaforme terze non risolverà la crisi che inevitabilmente investirà il comparto ristorativo. Ma pensiamo, giustamente, che i ristoratori campani debbano potersi mettere in pari ed avere le stesse possibilità dei colleghi di altre regioni.

    Qualunque sia il motivo della decisione della giunta regionale è ora, da parte dei ristoratori e dei pizzaioli, di fare delle proposte concrete, fattibili, per “provare” una riapertura che sia quanto più sicura possibile per tutti: dal primo all’ultimo “ingranaggio” della catena. E noi, dal canto nostro, siamo sicuri che tantissimi professionisti del settore siano assolutamente capaci di soddisfare le richieste di sicurezza date dal periodo Coronavirus. Anzi: forse questa è l’occasione giusta per dimostrare che è possibile avere un delivery ben pagato, sicuro per tutti.

    Ripetiamo: non è la soluzione del problema, ma una possibilità del “presente” di provare a ripartire e di rimetterci accanto alle altre regioni d’Italia. Per questo è importante parlarne, lasciare agli addetti del settore la possibilità di esprimersi anche con pareri discordanti, perché le proposte concrete vanno avanzate ascoltando l’opinione di tutti.

    Ciro Salvo di 50kalò è stato tra i primi a lanciare un allarme, attraverso un lungo post sulla sua pagina Facebook. Il pizzaiolo chiede, appunto, ai suoi colleghi di “fare gruppo”, per mettere sul tavolo delle proposte concrete. Le adesioni, non sono mancate: a ruota, Gino Sorbillo l’ha seguito con la sua mediaticità, seguito ancora da nomi illustri del mondo pizza campano: Salvatore Santucci, Enzo Coccia ed altri. Massimo di Porzio, patron della trattoria Umberto di Napoli, ha deciso di raccogliere le adesioni insieme a Confcommercio Campania ed il FIPE, in modo tale da strutturare un tavolo di proposte. L’hashtag ricorrente in questi giorni per i social è #iovoglioriaprire.

    Gino Sorbillo, in un’intervista a La7, rende esplicite le modalità che andrebbero ad adoperare: due collaboratori dietro il banco – un pizzaiolo ed un fornaio, quindi le “distanze di sicurezza” sarebbero rispettate (perlomeno, nelle pizzerie già a norma di legge in tempi tranquilli) – due pizze in carta, in modo da evitare quanto più possibili la manipolazione di diversi ingredienti e la consegna effettuata attraverso le piattaforme di delivery, in modo tale da tenere sotto controllo tutti gli “incontri” e gli spostamenti.

    Le opinioni nel mondo pizza riguardo il sì al delivery, no al delivery della pizza, sono molte e non tutte perfettamente concordi. Abbiamo cercato di sentire l’opione sia di imprenditori di pizzerie molto grandi, che di quelli di pizzerie molto più piccole, sia a Napoli città che nelle province campane.

    Alessandro Condurro, patron di Michele In The World e dell’Antica Pizzeria da Michele a Napoli, di certo non è un pizzaiolo, ma un imprenditore molto conosciuto nel mondo pizza: la sua è una opinione decisa. “Di sicuro con il delivery non ci faccio le mie 1200 pizze al giorno, ma il dato psicologico è importante. I miei ragazzi a Roma Flaminio sono felici anche con 200 pizze d’asporto al giorno, il guadagno basta appena per le spese ed a volte nemmeno quelle. Ma bisognerà adattarci a questa nuova realtà ed è meglio partire da subito, anche in Campania e soprattutto per le piccole realtà familiari che vivono d’asporto.”

    Francesco Salvo della Pizzeria Francesco e Salvatore Salvo, invece, si pone in una condizione di neutralità rispetto al sì al delivery, no al delivery: “Per le mie pizzerie, il delivery è un guadagno irrilevante. Il nostro food cost è alto, per non parlare delle trattenute che richiedono le piattaforme per il delivery, che vanno dal 20% al 30%. Resta ben poco in cassa, soprattutto se tutte le pizzerie di Napoli riaprono con il delivery non si riuscirà a fare un numero importante da giustificare l’impresa. Poi, ovviamente, posso sempre sbagliarmi. E, qualora ci verrà permesso l’asporto, sarò di sicuro in pizzeria ad organizzare ed offrire il servizio. La soluzione delivery, al momento, è più interessante per le micro realtà che per una realtà come la nostra.”

    Opinione comune, quindi, che l’asporto possa salvare centinaia di micro-realtà. Come ad esempio la bella realtà di Marco Pellone, Pizzeria Ciro Pellone alla Loggetta. “Già dal weekend precedente il decreto di chiusura, avevamo lavorato praticamente solo d’asporto: in sala entrarono sei persone per mangiare la pizza al tavolo, la serata l’abbiamo passata a consegnare pizze. Ed abbiamo lavorato moltissimo. Ma la nostra, essendo una piccola pizzeria di quartiere molto radicata nella sua realtà, lavora principalmente d’asporto, soprattutto nella prima parte della settimana. L’apertura con delivery potrebbe darci una decisa boccata d’ossigeno. Bisognerà ovviamente continuare a rispettare tutti i canoni di sicurezza, che già c’erano da prima a dire il vero. Il ragazzo delle consegne, prima della chiusura, lavorava con tutte le protezioni necessarie ed il disinfettante liquido a portata di mano, la consegna avveniva “senza contatto”. In futuro? Prevedo un calo dello scontrino medio, anche perché la gente avrà paura di stare a contatto ravvicinato come lo era prima, ma soprattutto si penserà molto a come spendere i propri soldi.”

    Marco Pellone, pizzeria Pellone
    In provincia, c’è chi fa un’analisi molto lucida della situazione. Ci spostiamo a Poggiomarino (Napoli) dove c’è Raffaele Boccia della pizzeria-trattoria Nanninella. Raffaele, oltre che pizzaiolo, è imprenditore della sua attività, che è molto conosciuta e radicata sul territorio sia per la proposta di pizza che per la proposta di cucina. “Non sono ottimista riguardo la proposta di aprire per l’asporto, ti faccio degli esempi per aiutarti a capire. Al momento, i miei dipendenti sono tutti in cassa integrazione in deroga. Questo prevede che tutti – indipendentemente dal salario – ricevano l’80% di uno stipendio “normale”. Qualora si potesse riaprire, non sono sicuro che i numeri dell’asporto possano aiutarmi a dar loro uno stipendio completo. Prima del blocco totale, siamo riusciti a fare due giorni di solo asporto: abbiamo lavorato pochissimo, a fronte della gigantesca macchina che ho dovuto attivare per preparare le linee. Io ci penso alla riapertura e, quando ci sarà permesso di riprendere le attività, avrò un sistema di prenotazione con 60 posti a sedere per volta. Il problema dell’asporto poteva essere sicuramente gestito meglio dall’inizio, poco ma sicuro.”

  9. #Iovoglioriaprire ha detto:

    “Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto”.
    Con queste parole il dpcm dell’11 Marzo, ha costretto tutte le attività di ristorazione a chiudere, per un periodo di tempo indefinito, allo scopo di contenere il diffondersi del Covid-19.
    Un testo chiaro, lineare e che tutti hanno rispettato. Ma, mentre nelle altre Regioni d’Italia le consegne a domicilio sono consentite, a Napoli – e in generale su tutto il territorio della Regione Campania – il governatore Vincenzo De Luca con un’ulteriore provvedimento procede alla “serrata” e vieta le consegne a domicilio su tutto il territorio.
    Una decisione che mette subito in allarme una delle categorie, che in questo momento, sembra essere una delle più colpite dall’emergenza e cioè quella dei pizzaioli.
    Costretti a ridimensionare il loro lavoro rispettando le norme di sicurezza e di distanza sociale, in un primo momento si sono già visti dimezzati i posti a sedere all’interno dei locali, con quest’ultima stangata, vedono sfumare anche l’unica possibilità di continuare il loro lavoro, consegnando pizze e prodotti da forno a domicilio, in più senza avere una data o un’indicazione sulla possibile riapertura.
    E dopo quasi un mese, questa decisione comincia a far discutere. E’ quello che sta succedendo da alcuni giorni tra i pizzaioli della Campania, che si sono uniti e hanno lanciato sui propri canali sociali un hashtag: #iovoglioriaprire.
    E come succede in queste cose, ben presto parte il tam tam su Facebook, un passaparola che coinvolge tutti e culmina con un appello al presidente della Regione De Luca, firmato da centinaio di pizzaioli che gridano a gran voce la loro voglia di poter ritornare a lavorare, anche solo con il delivery. La richiesta è semplice, riaprire le proprie attività dopo il 13 Aprile, alla scadenza dell’ordinanza, anche solo con le consegne a domicilio, servizio vietato solo in Campania.
    Tra i primi a firmare e a sposare il progetto è stato uno dei più noti pizzaioli del mondo Gino Sorbillo: “Sono d’accordo con la linea dura assunta da De Luca – spiega – ora, però, abbiamo bisogno di una mano, non possiamo mettere in ginocchio le nostre imprese centenarie e soprattutto non possiamo trovarci in una condizione di disparità rispetto alle altre zone di Italia dove si continua a lavorare.
    Ho da poco riaperto le mie pizzerie sia a Roma che a Milano e consegno centinaia di pizze. Chiediamo a De Luca di farci riaprire, ci adegueremo alle norme di sicurezza, con staff e menù ridotti e corrieri specializzati. Infatti, già adesso non lavoro con tutto lo staff al completo ma solo con due persone che mi permettono di coprire tutte le ordinazioni che riceviamo. Lo stesso menù è stato ridotto. Non vediamo in questo momento pizze gourmet ma quelle della nostra tradizioni, quelle tramandate da noi predecessori e che hanno dato lustro alla nostra città nel mondo intero. Così facendo, manteniamo viva la tradizione e manteniamo viva un’itera città”.
    Sorbillo, Antica Pizzeria da Michele, 50 Kalò, Di Matteo, Pepe in grani (Caserta), Poppella, Casa Infante, Antica pizzeria Port’Alba, Carraturo, La Notizia, Mattozzi, Gorizia hanno preso posizione tutti insieme e poi siglato un documento di Confcommercio.
    “Non capisco perché la pizza non possa essere considerata un bene primario,” continua Gino Sorbillo, “anche con una funzione sociale, aiutando così le persone a stare a casa. Abbiamo visto tantissime persone uscire per andare al supermercato e fare la spesa, le consegne a domicilio potrebbero aiutare le istituzioni a mantenere queste persone a casa”.
    Farina e lievito di birra sono sempre più difficili da trovare nei vai alimentari, questo a dimostrazione che le persone non vogliano rinunciare alla tradizionale pizza del sabato sera.
    Continua Gino Sorbillo: “Voglio riaprire anche per aiutare lo Stato e poter così non chiedere niente. Se non lavoro sarò costretto a far pesare su di esso anche i miei circa 270 dipendenti alla quale non potrò più far fronte da solo. Al momento l’unica soluzione possibile è la consegna a domicilio nel pieno rispetto delle norme di sicurezza. Non possiamo subire, oltre che l’emergenza sanitaria, anche un trattamento discriminatorio, su un prodotto inoltre estremamente sicuro in quanto cotto ad elevate temperature.”
    Della consegna a domicilio negata si discute da giorni, anche perché se da un lato le pizzerie sono completamente bloccate, c’è chi si sostituisce a loro. E’ il caso di molti forni e panifici che continuano a produrre, non solo pane, ma anche piccola pasticceria, pizze e focacce potendo loro venderle tranquillamente al pubblico.
    Sicuramente è un tema controverso e che mette alla luce le difficoltà di una categoria che sente di essere discriminata ma che vuole ritornare a splendere e portare in alto il nome della tradizione e l’arte del pizzaiolo, divenuto dal 2017 Patrimonio Unesco.

  10. Anonimo ha detto:

    In tutta Italia è concesso a ristoranti e pizzerie vendere i loro prodotti con l’asporto e che a Napoli e in Campania – la patria della pizza- sia vietato lo trovo a dir poco SCANDALOSO!

  11. Ester-NA ha detto:

    Per quello che ne so io l’asporto è ancora vietato a Napoli, quindi i pizzaioli per far contento te, caro LAISO, dovrebbero disobbedire alla normativa regionale e farsi fare una bella multa o addirittura farsi sospendere la licenza per portarti la pizza direttamente a casa?

  12. Genny'78 ha detto:

    Caro Antonello LAISO, come fai a dire una cosa del genere se è veto come è vero che la vendita dei cibi da asporto è a tutt’oggi vietata in regione Campania?

  13. Anonimo ha detto:

    Purtroppo – furbizia italica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *