Per un premierato ragionato ed equilibrato.

di Paolo Becchi, Giuseppe Palma.
Si può ovviamente continuare a discutere su presidenzialismo e semipresidenzialismo ma sarebbe, allo stato delle cose, infruttuoso. Crediamo che per l’Italia meglio si addica la soluzione del premierato, soprattutto per due motivi: 1) il premierato non comporta una revisione radicale della forma di governo, infatti è una variante – seppur significativa – della forma di governo parlamentare; 2) con le leggi elettorali che si sono avute negli ultimi trent’anni (Mattarellum, Porcellum e Rosatellum), a seguito di ben sei elezioni politiche su otto (1994, 1996, 2001, 2006, 2008 e 2022) il nome della persona che il Capo dello Stato avrebbe incaricato di formare il nuovo governo era chiaro già dopo poche ore dalla chiusura delle urne, situazione che ha introdotto un premierato di fatto senza regolamentazione costituzionale. Il Paese è dunque pronto per il premierato, nei fatti già esistente da tre decenni, ma non lo è – principalmente per radicata tradizione parlamentare – per presidenzialismo e semipresidenzialismo.
Occorre tuttavia introdurre un premierato equilibrato e ragionato che non mortifichi il Parlamento, ma ne rimetta al centro il ruolo e la funzione.

Qui di seguito alcune nostre proposte, con adeguati contrappesi, che offriamo alla discussione:

a) Sull’elezione del Primo Ministro: diretta o indiretta? L’elezione diretta consiste nel fatto che risulta eletto Primo Ministro il candidato che ottiene più voti degli altri candidati in uno o due turni elettorali. Il nome del candidato è, per legge, espressamente indicato sulla scheda elettorale. Una simile soluzione, adottata già per Sindaci e Presidenti di regione, comporta la necessità di aumentare i poteri del Primo Ministro a scapito del Parlamento (esattamente come avvenne con la legge 25 marzo 1993, n. 81, in relazione ai maggiori poteri attribuiti al Sindaco a scapito del Consiglio comunale). In una situazione in cui il Governo, già da diversi decenni, legifera in luogo delle Camere attraverso un abuso dei decreti-legge e un uso sistematico dei decreti legislativi, l’elezione diretta del Primo Ministro sarebbe una via da evitare, prediligendo l’elezione indiretta attraverso il meccanismo della designazione. Riteniamo, pertanto, che la Costituzione debba prevedere una norma che comporti l’obbligo per il Presidente della Repubblica di nominare Primo Ministro la persona indicata ufficialmente come tale nel programma elettorale della lista, o coalizione di liste, che ottiene più voti alle elezioni politiche. Perché ciò sia possibile occorre evitare leggi elettorali che presentino meccanismi proporzionali “puri”, cioè senza premi di maggioranza. Soluzione auspicabile, per l’elezione di entrambe le Camere, sarebbe a nostro avviso quella di riesumare il sistema dei collegi uninominali a turno unico e scorporo totale previsti dal Mattarellum per l’elezione del Senato. Per l’elezione indiretta, la legge non può ovviamente vietare alle liste, o coalizioni di liste, di indicare il nome del candidato Primo Ministro all’interno dei propri simboli di partito presenti sulla scheda elettorale, ma è cosa ben diversa dall’indicazione espressa – e per legge – dei nominativi sulla scheda elettorale quali candidati Primo Ministro. I simboli appartengono ai partiti, la scheda elettorale alla legge.
A tal proposito, la nuova formulazione del secondo e terzo comma dell’art. 92 della Costituzione dovrebbe così recitare:

Il Presidente della Repubblica nomina Primo Ministro la persona indicata a ricoprire tale carica, prima del voto, dalla lista o coalizione di liste che ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni per il rinnovo delle Camere. La legge disciplina il sistema elettorale favorendo la formazione di una maggioranza parlamentare.
Il Primo Ministro nomina e revoca i Ministri.

b) Sul voto di fiducia e sulla sfiducia costruttiva. Seppur attraverso il meccanismo della designazione indiretta, un Primo Ministro espressione della volontà popolare non necessita – né lui né il suo Governo – del voto di fiducia iniziale da parte delle Camere. Ottenuta dal Capo dello Stato la nomina di Primo Ministro secondo i meccanismi che si sono visti al punto che precede, entro dieci giorni il Primo Ministro si dovrà presentare alle Camere per illustrare il discorso programmatico del governo. Le Camere discuteranno il programma di Governo senza però esprimere voto di fiducia. Successivamente, in ogni momento della legislatura, un quinto dei componenti anche di una sola camera potrà presentare mozione di sfiducia nei confronti del Primo Ministro, indicando espressamente nella mozione medesima il nome di un nuovo Primo Ministro. Se entrambe le Camere approveranno la mozione di sfiducia a maggioranza dei presenti, il Presidente della Repubblica provvederà a nominare Primo Ministro la persona indicata nella medesima mozione. Se anche una sola delle Camere dovesse respingere la mozione di sfiducia, resterebbe in carica il Primo Ministro nei confronti del quale è la mozione è presentata.
Qui di seguito come andrebbe modificato l’art. 94 della Costituzione:

Entro dieci giorni dal giuramento il Primo Ministro si presenta alle Camere per illustrare il programma di Governo. Le Camere discutono il discorso programmatico del Primo Ministro senza esprimere voto di fiducia.
Un quinto dei componenti di una Camera può presentare mozione di sfiducia nei confronti del Primo Ministro, indicando espressamente nella mozione il nome di un nuovo Primo Ministro. Se entrambe le Camere approvano la mozione di sfiducia a maggioranza dei presenti, il Presidente della Repubblica nomina Primo Ministro la persona indicata nella mozione medesima. Se anche una sola delle Camere respinge la mozione di sfiducia, resta in carica il Primo Ministro nei confronti del quale è presentata mozione di sfiducia.
Il Primo Ministro nominato ai sensi del secondo comma, entro dieci giorni dal giuramento si presenta alle Camere ai sensi del primo comma.
La mozione di sfiducia non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione e su di essa le Camere si esprimono non oltre il quindicesimo giorno.
Le dimissioni del Primo Ministro comportano le dimissioni dell’intero Consiglio dei ministri.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non comporta obbligo di dimissioni.

c) Sui poteri da attribuire al Primo Ministro. Oltre a poter nominare e revocare liberamente i Ministri del suo Governo, la figura del Primo Ministro non dovrebbe essere più quella di primus inter pares ma di premier. Egli dovrebbe poter non solo dirigere la politica generale del governo ma determinarla, traendo tale potere dalla legittimazione indiretta che promana dalla volontà del corpo elettorale. Il potere di determinare – e non solo di dirigere – la politica generale del Governo influisce anche, dal punto di vista meramente sostanziale e non formale, sull’attività delle Camere, le quali – pur pienamente libere di esercitare senza limitazione o costrizione alcuna la funzione legislativa – riceveranno un impulso politico significativo da parte del governo. L’esecutivo, in una tale cornice costituzionale, godrà nella sostanza di maggiori poteri solo nell’ambito dell’iniziativa legislativa e non della funzione legislativa, prerogativa – quest’ultima – che resterà (formalmente e sostanzialmente) nella sola e piena disponibilità del Parlamento (fatta eccezione per gli strumenti del decreto-legge e del decreto legislativo). In conclusione, i maggiori poteri di impulso politico del Primo Ministro si traducono, nella sostanza, in un maggiore impulso da parte del Governo nell’esercizio dell’iniziativa legislativa (vale a dire nella presentazione dei disegni di legge di iniziativa dell’esecutivo) e non anche della funzione legislativa. Il “potere di fare le leggi” deve restare prerogativa del Parlamento).
Il primo comma dell’art. 95 della Costituzione andrebbe pertanto così modificato:

Il Primo Ministro determina e dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo, coordinando e dirigendo l’attività dei Ministri. Nessun Ministro può svolgere le sue funzioni in contrasto con le linee di politica generale determinate dal Primo Ministro.

d) Sullo scioglimento delle Camere. Per evitare mutamenti di maggioranza in corso di legislatura che contrastino con gli esiti elettorali, crediamo sia opportuno
attribuire il potere di scioglimento delle Camere non più al Presidente della Repubblica ma al Primo Ministro. Tuttavia, per evitare che il Parlamento dipenda dalle volontà del Governo e/o da eventuali ricatti di natura politica del Primo Ministro, crediamo sia altrettanto necessario prevedere adeguati contrappesi. Abbiamo dunque pensato di rendere efficace il decreto di scioglimento delle Camere firmato dal Primo Ministro solo dal sedicesimo giorno successivo alla sua emanazione, periodo in cui (quindici giorni) entrambe le Camere (tutte e due, non una soltanto) avranno il potere di respingerlo, anche solo a maggioranza dei presenti.
L’art. 88 della Costituzione andrebbe pertanto così modificato:

Con decreto motivato il Primo Ministro può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. Il decreto di scioglimento non ha efficacia se entrambe le Camere lo respingono a maggioranza dei presenti. Il voto ha luogo non prima di tre giorni e non oltre il quindicesimo giorno dall’emanazione del decreto di scioglimento.
Se le Camere non provvedono entro il termine di cui al secondo comma, il decreto di scioglimento ha efficacia a partire dal sedicesimo giorno dalla sua emanazione e il Presidente della Repubblica indice nuove elezioni.
In caso di morte del Primo Ministro o di grave e conclamata impossibilità di esercitare le sue funzioni, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere e indice nuove elezioni.

e) Sul mantenimento del bicameralismo perfetto. Al cospetto di un Primo Ministro con maggiori poteri di impulso politico, occorre senza dubbio ridare centralità al Parlamento. In tre modi: 1) mantenere il sistema del bicameralismo perfetto, per cui una legge dello Stato è tale solo se approvata nel medesimo testo da entrambi i rami del Parlamento. Se il Governo ha maggiori poteri di impulso politico, derivanti sia dalla designazione popolare del Primo Ministro che dal suo potere di determinare la politica generale dell’esecutivo, crediamo necessario che la legge continui ad essere frutto di ponderazione da parte di due Camere e non di una soltanto; 2) aumentare, di poco, il numero dei parlamentari rispetto alla riduzione avvenuta con legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1. Il numero dei deputati è stato infatti ridotto da 630 a 400, mentre quello dei senatori da 315 a 200. Ciò ha causato problemi di sotto-rappresentanza al Senato, tenuto conto che – tolti i quattro senatori eletti nella Circoscrizione Estero e il senatore eletto in Valle d’Aosta – i componenti del Senato eletti in rappresentanza di ben diciannove Regioni sono appena 195. Crediamo pertanto sia necessaria una correzione, aumentando il numero dei deputati da 400 a 440 e quello dei senatori da 200 a 220, in modo tale che – fatta eccezione per Valle d’Aosta e Molise – tutte le altre regioni abbiano un senatore in più rispetto a quelli attuali, mentre i due restanti potrebbero essere attributi alle due città più popolose dell’intero territorio nazionale, Roma e Milano; 3) attribuire al Parlamento il potere di respingere – a
maggioranza dei presenti di entrambe le Camere – il decreto di scioglimento delle Camere firmato dal Primo Ministro, nel termini e attraverso i meccanismi che si
sono visti al punto che precede.
Qui di seguito la modifica dei commi 2 e 4 dell’art. 56, e del primo comma dell’art. 57 della Costituzione:

Il numero dei deputati è di quattrocentoquaranta, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per quattrocentotrentadue e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di duecentoventi, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

f) Sul quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella nostra proposta non siamo intervenuti sul ruolo e sulla figura del Capo dello Stato, ritenendo tuttavia opportuno proporre una modifica al quorum per la sua elezione. Sul punto, allo scopo di avere un Presidente della Repubblica il più possibile terzo e imparziale, crediamo occorra modificare le maggioranze richieste dopo la terza votazione: dei 3/5 dei componenti dalla quarta alla settima, la maggioranza assoluta dall’ottava votazione in avanti.
Qui di seguito la modifica da noi proposta al terzo comma dell’art. 83 della Costituzione:

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è richiesta la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dopo il settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.

g) Sul referendum abrogativo e sull’introduzione di quello consultivo. Ormai da diversi decenni l’istituto del referendum abrogativo ha perso di efficacia, è infatti particolarmente difficile raggiungere il quorum costitutivo della metà più uno degli aventi diritto al voto perché lo stesso risulti valido. Di fronte ad un maggiore potere di impulso politico del Primo Ministro (nei termini che si sono visti fin qui), uno dei contrappesi maggiormente incisivi è proprio lo strumento del referendum abrogativo. Perché esso risulti un contrappeso concreto e non meramente teorico, abbiamo pensato di ridurre il quorum costitutivo per la sua validità (numero di elettori che si recano alle urne), dalla maggioranza degli aventi diritto al voto (50%+1) ad almeno un terzo degli aventi diritto al voto (33,33%+1). Inoltre, quale mero strumento di valenza politica e senza obblighi di natura giuridica per Parlamento e Governo, riteniamo sia opportuna l’introduzione di una nuova tipologia di referendum a livello nazionale, quello consultivo (già presente a livello regionale e comunale), quando ne facessero richiesta un terzo dei componenti di una Camera oppure trecentomila elettori, su qualsiasi materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato e senza quorum costitutivo per la sua validità. Uno strumento che potrebbe avere un efficace impulso politico da contrapporre al maggior impulso politico di cui sarebbe dotato il Primo Ministro, a seguito dei meccanismi ut supra esposti.
Qui di seguito la modifica da noi proposta al terzo comma dell’art. 75 della Costituzione e l’introduzione di un quinto comma al medesimo articolo:

La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione almeno un terzo degli aventi diritto al voto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
È indetto referendum popolare consultivo, su qualsiasi materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato, quando ne facciano richiesta un terzo dei componenti di una Camera o trecentomila elettori. La proposta soggetta a referendum è valida, qualunque sia il numero di elettori che partecipa al voto, se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Le Camere e il Governo non sono obbligati a provvedere come da esito del referendum. La legge regola le modalità di attuazione del referendum.

Non esiste una proposta perfetta, possono esistere proposte su cui ragionare. E la nostra ci pare una di queste.

 

*In questo scritto i due coautori anticipano alcuni degli argomenti proposti nel loro volume Il premierato. Una riforma necessaria, di imminente pubblicazione per i tipi di Historica Giubilei Regnani. Informazioni sul volume disponibili all’indirizzo: https://www.historicaedizioni.com/libri/il-premierato/.
** Paolo Becchi è Professore ordinario di Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Genova. Indirizzo mail: paolo.becchi@unige.it. Giuseppe Palma è avvocato del Foro di Brindisi. Indirizzo mail: giuseppepalma2003@libero.it.

Fonte: https://www.forumcostituzionale.it

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