Lettere dal carcere: appelli di familiari e detenuti.

di Carmelo Musumeci. Ho deciso di diffondere alcuni scritti che mi stanno arrivando da parenti di detenuti e uno direttamente dal carcere. Io credo che la galera, così com’è, sia un’istituzione totale e criminogena, perchè oltre a farti perdere la libertà, la gestione della tua vita e spesso anche dei tuoi pensieri, ti spoglia della tua dignità e in questo momento anche della salute.

– Buonasera signor Musumeci, sono una ragazza di 38 anni che vive a Roma, ho il mio papà (mi è rimasto solo lui in quanto la mia mamma è morta 4 anni fa per un cancro) recluso nella casa circondariale di Rebibbia dal 21 ottobre 2019, nel centro clinico secondo piano G14,  ancora in attesa di giudizio e gravemente malato, è cardiopatico e portatore di defibrillatore la cui autonomia è al di sotto del 30%, dovrebbe fare controllo e successivo cambio batteria, ma per via delle restrizioni mi è stato detto dal medico della sezione che è stato deciso di non far uscire i detenuti per visite, è diabetico e soffre di neuropatia, cammina solo ed esclusivamente con l’aiuto di stampelle, per piccoli tratti e sedia a rotelle, ha la BCO, bronchite cronica ostruttiva, anche qui visita rimandata, iperteso, ha seri  problemi cognitivi, tutto documentato, ma il giudice non gli ha ancora accettato i domiciliari, aveva fissato per il 18 marzo una visita con il medico legale, ma vista la situazione e le restrizioni il medico non è potuto entrare nel carcere, abbiamo fatto di nuovo istanza, la risposta è stata che ha chiesto la relazione interna sullo stato  di salute di mio padre, (credeva forse che siamo falsari di cartelle cliniche?). La struttura ha provveduto nell’immediato ad inviare la documentazione, ma ad oggi, 2 aprile ancora non si ha risposta….  non chiedo che non paghi per i suoi errori, chiedo solo che, viste le sue condizioni possa tornare a casa, chiedo solo che venga curato come si deve, non posso e non voglio perdere mio padre per colpa del sistema sbagliato che abbiamo, anche i detenuti sono persone, devono avere anche loro la possibilità di vivere!!!  Sono carne da macello.
Grazie per dare voce a queste persone dimenticate dallo Stato!!!

– Buonasera, con la presente le scrivo per esporre il mio problema come quello di tanti altri, mio marito e mio figlio sono detenuti nel carcere di Opera (Milano). Gli mancano 2 anni e 3 mesi, ci hanno tolto i colloqui e gli hanno dato una chiamata in più di quella settimanale di 10 minuti, capisce la nostra ansia, se una persona li dentro si ammala è un delirio. Come dice lei il personale giustamente entra quindi cosa cambia da noi parenti, che la settimana scorsa ci facevano entrare con la mascherina e un parente per detenuto. Abbiamo bisogno di aiuto e di dare voce a questi detenuti che sono persone, hanno sbagliato è vero però non sono animali in gabbia, giustamente dipende dai reati però potrebbero dare un condono un’amnistia per queste persone, mi rivolgo a lei per dare voce a loro e che purtroppo di loro pochissima gente ne parla. Grazie.
– Salve, vi giro un appello/comunicato che mi è arrivato dai detenuti reclusi e isolati nella palazzina dei semiliberi (dove stavo io fino a due settimane fa). Stanno vivendo una situazione molto difficile spiegata nel loro scritto. Mi chiedono di farlo girare e pubblicare il più possibile fino ad arrivare a mezzi di informazione e addetti ai lavori.
Luca Abbà, semilibero NO TAV in licenza pro tempore:
I DETENUTI RECLUSI E ISOLATI NELLA PALAZZINA DEI SEMILIBERI DEL CARCERE DI TORINO. Questo è il disperato appello e richiesta di aiuto che gli ospiti della palazzina dei semiliberi, oggi occupata da soggetti in articolo 21 per lavoro esterno, lanciano a tutti gli amministratori e tutori della salute e della vita altrui.
Viviamo in un ambiente di circa 100 metri quadrati suddiviso in più camere per un totale di 45 persone, 2 servizi igienici per tutti e al pian terreno di questa struttura ci sono anche delle mamme con dei bambini innocenti che continuano ad essere rinchiusi.
Alle nostre, critiche e disperate, condizioni assistono anche gli operatori della polizia penitenziaria, vittime anch’essi del totale menefreghismo istituzionale onnipresente e oggi ancor più irritante. Siamo da giorni isolati a causa dell’accertamento della contaminazione da virus di un soggetto tra noi. Non veniamo visti da nessuno e nessuno ne parla per voler nascondere la realtà di un lazzaretto che lascerà alle spalle morti preannunciate, e forse volute, nella più totale indifferenza.
Pandemia, terza guerra mondiale, #stateacasa, #celafaremo: giuste considerazioni del momento che attraversiamo, ma fatte solo esclusivamente per tirare acqua al proprio mulino.
Allo stato attuale nella nostra palazzina permangono i semiliberi che si son visti rigettare richiesta di licenza premio come previsto e disposto dal Dpcm (scritto con l’apparente obbiettivo di sfollare le carceri). A testimonianza di una non volontà di assicurare, in un momento così altamente critico e rischioso, la tutela della salute e della vita.
Non privilegiano coscienza, sentimenti umanitari e ragionevolezza, termine quest’ultimo spesso adoperato in sede di formulazione delle sentenze di condanna quando si presentano non poche incertezze e lati oscuri. Poltrona, autorità e potere è ciò che sovrasta ogni cosa compresa la vita. Eppure Cesare Beccaria già nel lontano 1700 lottava contro la pena di morte e contro la tortura che a secoli di distanza trova diversa applicazione nelle condizioni psicofisiche che viviamo: massacranti ed insopportabili.
Pure l’OMS, l’ISS e la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri consigliano, obbligano, sanzionano, per effetto di direttive salvavita paradossalmente escluse e nascoste all’interno delle carceri, bombe ad orologeria che coinvolgono figli, mogli, madri, fratelli angosciati dal cattivo e sempre più incerto futuro che ci aspetta. Ma dove sono finiti i diritti umani riconosciuti e sanciti nelle costituzioni di società e paesi che ancora oggi hanno il coraggio di autodichiararsi civili, industrializzati, sviluppati e anche democratici? Il razionale è fortemente discriminante!
Oggi purtroppo si registra il primo detenuto morto per COVID 19, o forse il primo che hanno avuto il coraggio di rendere pubblico dopo tanti silenziosi casi. La situazione può precipitare in tutto il paese se dal carcere vengono a svilupparsi i cosiddetti contagi di ritorno.
E allora perché non prevenire questa ecatombe attraverso provvedimenti pro tempore? Almeno fino al perdurare dell’emergenza sanitaria, magari attraverso l’ampliamento dell’applicazione dell’articolo 124 del decreto legge 18/2020 nei confronti di coloro che abbiano già dato prova di buona condotta, nei confronti di chi gode di permesso premio, con obbligo di permanere presso il proprio domicilio o altro luogo di assistenza.
Il nemico attuale è invisibile, imprevedibile e silenzioso per tutti ma letale per qualcuno. Chi, potendo farlo, non interviene oggi, sarà suo complice in responsabilità soggettive e oggettive di esiti criminali contro la salute e contro la vita.
Aiuto è ciò che chiediamo, aiuto è ciò che ci dovete. Già è troppo tardi… fate presto!
Domenica 5 aprile

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1 Response

  1. Absur D. ha detto:

    In carcere – a parte gli errori giudiziari – ci finiscono coloro che hanno commesso un crimine e adesso vogliamo rimetterli fuori a commetterne degli altri? Allora aboliamo pure la magistratura e i processi se il carcere non serve a niente e se chi delinque deve avere gli stessi diritti di chi osserva la legge!

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