La Storia dell’uomo, dalle origini ad oggi.

di Alberto Sigona.  Da oggi, in esclusiva assoluta su Freeskipper Italia, debutta una straordinaria serie a puntate dedicata alla storia dell’uomo dalle origini al Terzo Millennio. Una piccola grande “opera” senza eguali nel mondo del web, che si propone di riassumere gli eventi che hanno segnato il percorso dell’umanità, passando per guerre, conquiste, scoperte, rivoluzioni ecc…, al fine di aiutare i lettori a riordinare le idee sulla storia dell’umanità, fissandone i concetti e gli episodi più significativi, dai quali non si può prescindere. Una “summa” che farà appassionare anche coloro che in genere non hanno amato tale disciplina.

“La cultura non si può ottenere se non si conosce la propria storia.” [Dario Fo].

PRIMA PUNTATA.

LA PREISTORIA. La Preistoria è convenzionalmente indicata come il periodo della storia umana che precede l’invenzione della scrittura. Si divide in due grandi ere: Paleolitico e Neolitico. La prima era, chiamata anche età della pietra antica, dura dalla comparsa dell’uomo fino a 10.000 anni fa. La seconda era, età della pietra nuova, inizia in linea di massima 10.000 anni fa, quando l’uomo comincia a coltivare piante ed allevare animali; si conclude con l’invenzione della scrittura, ovvero con la nascita della storia propriamente detta. I tempi di sviluppo però variano da zona a zona, con scarti anche di diversi secoli.

L’EVOLUZIONE DELL’UOMO. Alla fine  del Mesozoico (l’era dei dinosauri) una specie simile alle attuali tupaie si distaccò dal ceppo degli altri mammiferi primitivi, per dare inizio alla comparsa dei “primati”, comprendente una miriade di forme animali, fra cui le scimmie antropomorfe (comparse 65 milioni di anni fa), dal cui gruppo, circa 4 milioni di anni fa, sarebbe poi nato l’antenato dell’uomo: si trattava dell’ominide Australopithecus (comparso in Africa, la cui origine ci è nota dal 1925), che nel tempo era stata in grado di assumere la posizione bipeda, per una peculiarità che l’avvantaggiò notevolmente rispetto agli altri primati, facendole compiere un balzo in avanti nell’evoluzione. Ma un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della specie lo giocherà in primis lo sviluppo del cervello: l’Australopithecus, infatti, non vantava la stessa forza degli animali e per sopravvivere doveva di conseguenza fare un grande uso della ragione, ad esempio costruendo armi da difesa ed offesa. Fu così che nacque 3 milioni  di anni fa il primo genere di uomo (i primi rappresentanti del genere Homo ci sono noti dal ’64), l’Homo Abilis, in coincidenza con l’età della pietra.
Poi 2 milione di anni fa sarà la volta dell’Homo Erectus che aveva sviluppato ulteriormente le capacità intellettive, imparando fra l’altro ad accendere il fuoco ed a conservarlo (circa 400.000 anni fa), utilizzandolo per cuocere carne, illuminare, riscaldare e tenere lontane le belve feroci. L’Homo Erectus cominciò anche a vivere in gruppo, ad elaborare primitive forme di linguaggio per comunicare, e a diffondersi non solo in Africa ma anche in zone dell’Asia e dell’Europa.
Gli ominidi cominciarono ad assomigliare di più all’uomo di oggi circa 300.000 anni fa, con l’Homo Sapiens . Egli aveva un cervello sviluppato come il nostro, cacciava, raccoglieva vegetali, costruiva capanne e utensili, confezionava abiti con le pelli degli animali uccisi. L’Homo Sapiens si estinse 40.000 anni fa, soppiantato dall’’Homo Sapiens Sapiens (Uomo di Cro Magnon), diretto progenitore dell’essere umano moderno, con abilità linguistiche ed intellettuali superiori al suo predecessore. Egli imparò pian piano non solo ad adattarsi all’ambiente ma anche a modificarlo secondo le sue esigenze. 20000 anni fa si registrò l’invenzione dell’Arco, che rispetto alla Lancia permetteva di cacciare meglio.

LA RIVOLUZIONE NEOLITICA. Circa 10.000 anni fa vi fu l’importantissima transizione da un’economia di sussistenza, basata su caccia e raccolta, all’addomesticazione di animali e alla coltivazione di piante, per quella che viene ricordata dagli storici come “rivoluzione neolitica”. Ciò permise agli uomini di non basare la propria sopravvivenza esclusivamente sul nomadismo, ponendo le basi per una primitiva urbanizzazione, che avrebbe portato un giorno alla nascita delle prime civiltà.
Nell’ultima fase dell’età neolitica (dalla quale partirà più o meno la nostra narrazione di STORIA ANTICA), in Oriente venne inventata la metallurgia. L’uomo, infatti, si accorse che il rame, che si trovava allo stato puro in natura, si fondeva con il calore del fuoco ed assumeva ogni forma che gli veniva data. La diffusione della tecnica di lavorazione di questo metallo segnò l’inizio dell’età del rame.
Più tardi si scoprì che mescolando il rame e lo stagno si poteva ottenere il bronzo, lega molto più resistente e dura, adatta per fabbricare armi, e iniziò così l’età del bronzo. Secoli dopo si diffuse la lavorazione di un metallo molto raro allo stato puro e difficile da fondere, il ferro che provocò il declino dell’industria della pietra e l’affermarsi della metallurgia, dando luogo all’età del ferro (verso il 1200 a.C.). Naturalmente non sapremo mai con certezza in che luogo e quando esattamente iniziarono le varie età metallurgiche, tantomeno le loro forme di diffusione nel globo; perciò il tutto è il frutto di ipotesi più o meno attendibili che molte volte non mettono d’accordo tutti gli storici, specie quando si tratta di ricostruire epoche lontanissime che non ci hanno lasciato tracce sufficienti per ricomporre un puzzle dai tantissimi pezzi mancanti.

 

SECONDA PUNTATA.

STORIA ANTICA. La storia antica è lo studio del periodo storico, successivo alla preistoria, che va dall’introduzione di forme primitive di scrittura (ideogrammi databili tra il V ed il III millennio a.C.) alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476).

GLI ALBORI DELLA STORIA.
Le prime civiltà nascono in Mesopotamia. Le prime civiltà di cui ci è pervenuta notizia sono quelle sorte attorno al V millennio a.C. in Mesopotamia (in greco vuol dire “terra tra i due fiumi”), pressappoco nell’odierna Iraq, fra i fiumi Tigri ed Eufrate. Proprio la presenza dei fiumi fu fondamentale per l’urbanizzazione di diversi popoli (per questo le civiltà che vi nacquero presero il nome di fluviali), poiché permetteva di praticare meglio l’agricoltura (grazie alle irrigazioni provocate dalle piene) e di spostarsi fra un territorio e l’altro, sia alla ricerca di nuovi paesi da colonizzare sia per gli scambi commerciali. Erano società già molto avanzate e complesse rispetto ai canoni dell’epoca, le cui popolazioni erano in grado non solo di dedicarsi all’agricoltura ed all’allevamento, ma anche alla costruzione di palazzi, nonché di dighe e canali per controllare e convogliare le piene dei fiumi, ecc… Ci fu di conseguenza anche uno sviluppo demografico che portò alla trasformazione dei grandi villaggi in centri urbani; in questi avveniva il controllo e l’organizzazione dell’attività produttiva dei territori circostanti, in grado ormai di soddisfare, specie dopo l’invenzione dell’aratro (trainato da buoi), le necessità alimentari di un numero più elevato di persone.
Ebbe inizio altresì lo sviluppo progressivo di scienze come matematica, geometria ed ingegneria. Possiamo quindi affermare come ai tempi la società (intesa come organizzazione intelligente della collettività) abbia fatto sentire i primi vagiti.
La prima popolazione legata da una cultura comune di cui ci è giunta notizia fu quella dei Sumeri, anche se su di loro possediamo conoscenze molto frammentarie e basate su deduzioni ed ipotesi più o meno attendibili. Quasi certamente furono loro ad inventare le prime forme rudimentali di scrittura ed a dividere la società in classi, determinate probabilmente in base alle ricchezze: si andava dai re agli schiavi, passando per i funzionari, i sacerdoti, i guerrieri, gli artigiani, ecc… per delle divisioni sociali che avrebbero caratterizzato le successive civiltà.
Ben presto in Mesopotamia saliranno in cattedra (spesso alternandosi o sovrapponendosi nel dominio della Mezzaluna Fertile) altre civiltà (come quella dell’Impero di Akkad – il primo della storia – fondato da Sargon nel 2340 a.C. e dissoltosi nel 2159 a.C.) ed alla fine del 1700 a.C. si affermeranno i Babilonesi di Hammurabi, uno dei più grandi sovrani dell’era antica, che, sulla falsariga di quanto compiuto da Sargon, unificherà il paese in un nuovo grande Impero (che durerà sino al 1595 a.C., prima di rinascere nel 626 a.C. e morire definitivamente nel 539 a.C.) ed elaborerà il primo elaborato codice di leggi scritte.  Fra gli imperi che dominarono l’Oriente in quelle epoche remote si segnalarono anche quello neo-Assiro (1365 a.C.-609 a.C.), noto per il terrore che incuteva nei nemici, e quello Hittita (1430 a.C.-1178 a.C.), i cui popoli probabilmente furono i primi a utilizzare armi in ferro, materiale che ben presto avrebbe soppiantato l’età del bronzo.
Verso la fine del 1300 a.C. i persiani avrebbero iniziato la colonizzazione della Mesopotamia e nel giro di alcuni secoli (attorno al 500 a.C.) avrebbero impresso il loro nome nella storia e nella leggenda, unificando i regni mesopotamici in un unico Impero (fondato da Ciro il Grande), fra i più vasti di sempre (si sarebbe esteso sino all’India). I persiani, a differenza degli altri imperi sanguinari dell’epoca, non miravano però a distruggere le città conquistate e a ridurre agli stenti la popolazione, ma semplicemente le integravano nei confini imperiali, rispettando le tradizioni locali e conservando le identità dei popoli sottomessi. Dopo la morte di Serse I (nel 465 a.C.) seguìrà una serie di re che dovettero districarsi tra complotti politici interni, lotte per il potere, rivolte e l’eterno conflitto con la Grecia, finché l’ultimo di essi, Dario III (336 a.C.-330 a.C.), sarà sconfitto da Alessandro Magno, che si impadronirà dei domini persiani. L’Impero Persiano è conosciuto dagli storici anche come Impero Achemenide, dal nome della dinastia che lo originò.
Parallelamente, attorno al 3000 a.C., nascevano, rispettivamente in Palestina ed in Egitto, la civiltà ebrea (della quale ci occuperemo più in là) e la civiltà egizia, destinata lungo le rive del Nilo a lasciare un segno indelebile nella storia antica.
L’antico Egitto. La civiltà egizia è stata talmente affascinante, significativa e densa di ambiguità da meritare un approfondimento nonostante non faccia parte dell’Europa occidentale, cui è principalmente incentrato il nostro riassunto dell’umanità. La storia dell’Egitto inteso come Stato principiò verso il 3000 a.C., col sovrano Narmer, che diede vita a quello che oggi chiamiamo Antico Regno, unificando il Nord ed il Sud del Paese. Come molte popolazioni dell’epoca anche gli egizi credevano nell’aldilà ed in un mondo governato da moltissimi dei. Fu proprio grazie a queste idee che i Faraoni vollero farsi costruire delle tombe che gli avrebbero garantito un ottimo soggiorno ultraterreno, tombe speciali che attorno al 2686 a.C. (col Faraone Djoser) sarebbero evolute nelle Piramidi, le costruzioni più imponenti ed incredibili mai concepite nella storia dell’umanità, così complesse la cui costruzione, considerando le precarie conoscenze dell’epoca, rimane tuttora un misterioso prodigio dell’architettura,  stuzzicando ancora oggi la fantasia degli amanti dell’occulto, poiché si è persino ricondotta la loro costruzione a degli extraterrestri od a popolazioni di giganti estinti…
Verso il 2200 a.C., per ragioni per lo più ignote, il Regno Antico collassò, dando vita ad una serie di potenti governi locali, e per un secolo e mezzo (Primo Periodo Intermedio) vi saranno due sovrani, uno al Nord ed uno al Sud.
Nel 2055 a.C. Mentuhotep II fonderà il Medio Regno, unendo l’Alto ed il Basso Egitto (ovvero il Sud ed il Nord). Durante il Medio Regno fiorirà la letteratura e verranno conquistati i territori della Nubia. Attorno al 1790 a.C. il Medio Regno collassò sotto i colpi delle popolazioni semite che già da parecchi anni si erano insediate (inizialmente pacificamente) nelle zone meridionali, e si aprì il Secondo Periodo Intermedio, caratterizzato perciò dalla dominazione straniera nella zona del Delta, mentre nel resto del Paese continuavano a governare i faraoni egiziani.
Nel 1530, dopo la cacciata dei sovrani stranieri, sarebbe nata l’era più “felice” dell’antico Egitto, il Nuovo Regno (il primo sovrano fu Ahmose), il cui impero si spingerà, con il regno di Thutmose III, sino all’Eufrate, terminando nel 1080 a.C. con la nascita del Terzo Periodo Intermedio in cui l’Egitto entra in una fase decisa di decadenza, caratterizzata fra l’altro da una lunga dominazione nubiana (o etiopica che dir si voglia), e dalla successiva invasione assira, la nuova grande potenza assoluta in Asia.
Più tardi, verso il 525 a.C., nascerà il Periodo Tardo, contrassegnato in primis dalla dominazione persiana. Nel 332 a.C., incontrando una minima resistenza da parte dei Persiani, il macedone Alessandro Magno conquistò l’Egitto, che inglobò nel proprio vastissimo impero. La fine definitiva dell’Egitto arriverà con i Romani nel 30 a.C.
Concludendo possiamo asserire come la storia dell’Antico Egitto rimarrà per sempre nella leggenda soprattutto per la mentalità avanzata dei popoli che l’abitarono, che non partorirono soltanto delle imponenti costruzioni (quali furono le Piramidi) ma basarono la società su modelli molto progrediti ed elaborati, incentrata sul potere del Faraone (un Dio in terra), sulla magia e sul culto degli dei è vero, ma anche su di una forma di scrittura (caratteri geroglifici) per la prima volta nella storia molto complessa e competenze matematico-scientifiche ed astronomiche inimmaginabili. Una leggenda che, perché no?, si fonda anche sulla durata dello stesso Antico Egitto, per un arco temporale infinito, pari a quello intercorso tra la fondazione di Roma ed il 2000…
L’avanzata degli Indoeuropei (le prime civiltà progredite che abitarono le coste del Mar Mediterraneo). Dal 2400 al 1200 a.C., gli Indoeuropei (provenienti in gran parte dall’Asia) conquistarono a ondate successive le regioni intorno al mar Mediterraneo, imponendo lingue ed usanze nuove. Essi erano, citando i più importanti, i Latini in Italia, gli Elleni (ossia Achei o Micenei, Eoli, Ioni prima ed i Dori poi) nella penisola ellenica – popoli da cui forse sarebbe sorta la civiltà dei greci – i Filistei in Palestina, i Fenici – celeberrimi navigatori nonché inventori dell’alfabeto – nell’attuale Libano (con stanziamenti in Africa, dove fondarono fra l’altro la famosa città Cartagine, oggi sobborgo di Tunisi)…


TERZA PUNTATA

Gli ebrei. Uno dei popoli che hanno scritto pagine indelebili di storia antica furono gli Ebrei. Non tanto per le conquiste o l’estensione dei propri domini, ma per un’altra motivazione, che adesso vedremo.
Gli ebrei erano dei nomadi originari della Mesopotamia e verso il 2.000 a.C. si stabilirono in Palestina guidati da Abramo (primo patriarca ebraico). Verso il 1700 a.C., a causa di una grave carestia fuggirono in Egitto, dove per secoli furono sottoposti a schiavitù. Nel 1400 a.C., guidati dal profeta Mosè, rientrarono in Palestina dopo una fuga che è un misto di leggenda e realtà raccontata nella Bibbia Cristiana. Qui si convertirono alla religione ebraica, la prima religione monoteista, ponendo le basi per una rivoluzione religiosa senza precedenti, che nel volgere di alcuni secoli avrebbe interessato quasi il Mondo intero.
Verso il 1000 a.C. le varie tribù (12) si riunirono sotto una monarchia, guidati dal re Saul, che farà di Gerusalemme la capitale del regno d’Israele, il quale dal 933 a.C. si scinderà in due Regni: al nord quello d’Israele ed al sud quello di Giuda. Nel 722 a.C. il regno d’Israele sarà conquistato dagli Assiri che disperderanno la popolazione ebraica nei territori dell’Impero Assiro. Nel 587 a.C. sarebbe caduto per mano del babilonese Nabucodonosor II anche il Regno di Giuda, con la conseguente deportazione degli ebrei a Babilonia, ponendo fine all’autonomia dello Stato d’Israele.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, buona parte della popolazione ebraica – che dai tempi dell’invasione babilonese era rimasta senza Patria, “dispersa” per il Mondo – iniziò ad immigrare in Palestina, rispondendo all’invito dell’Impero britannico, che si era fatto promotore della costituzione di un “focolare nazionale”, ovvero il “rientro a casa” degli ebrei dopo secoli in cui avevano vissuto da esiliati. Tuttavia, a partire dal 1939 l’amministrazione britannica, a seguito di numerose rivolte arabe (da secoli, infatti, la regione era abitata da popolazioni musulmane), iniziò a porre un freno alla massiccia immigrazione degli israeliti, molti dei quali, durante la Seconda G. Mondiale, sarebbero perciò rimasti vittime della Shoah perpetrata dal Nazismo.
Nel 1947 allora l’ONU, a seguito del genocidio di milioni di ebrei, approvò una Risoluzione che prevedeva la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo (e la fine del mandato britannico). Il piano fu accettato dalla leadership ebraica ma rifiutato dai leader arabi, e perciò la Gran Bretagna si rifiutò di metterlo in atto. Il 14 maggio 1948 l’Agenzia ebraica proclamò “sua sponte” lo Stato di Israele sulla base del piano proposto dalle Nazioni Unite. Ciò avrebbe però dato il là ad una lunga serie di scontri  che sarebbero tristemente passati alla storia come “conflitti arabo-israeliani” (a seguito dei vari conflitti Israele amplierà notevolmente il proprio territorio a scapito delle zone di competenza dei palestinesi), con focolai che persistono sino ad oggi, il che rende la Palestina – comprendente attualmente lo Stato d’Israele e lo Stato di Palestina (indipendente dal 1988, comprendente a sua volta Gerusalemme EST ed i territori palestinesi divisi dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, anche se Israele ne occupa parzialmente i territori, non riconoscendolo come Stato) – una delle terre più martoriate del Medio Oriente.
L’antica Grecia. Dici Grecia e ti vengono in mente pensatori come Socrate, Aristotele, Platone, o statisti come Clistene e Pericle. E poi la filosofia, il teatro, la democrazia, il diritto… Possiamo dire come non ci sia nulla, nell’attuale civiltà occidentale, che non abbia affondato le radici nell’antica Grecia, la cui cultura ha, più di ogni altra, ispirato tutti noi, forgiando le nostre menti in tutto e per tutto. Noi dobbiamo tutto ai greci. Le idee di progresso, di uguaglianza, persino la competizione sportiva, nonché molte invenzioni di cui ci avvaliamo quotidianamente, sono riconducibili più o meno direttamente all’antica Grecia. In epoche in cui la barbaria la faceva da padrone, i greci partorivano idee ed ideali che sinora ci appaiono attuali, quasi fossero nati qualche decennio fa anziché centinaia di anni prima della nascita di Cristo. Ed è per questo che ancora oggi prendiamo gli antichi greci come modello, per un mito che non tramonterà mai.
Le prime colonizzazioni. Intorno all’800 a.C. i popoli greci (la cui origine è piuttosto incerta, anche se la tesi più accreditata è che fossero “figli” dei micenei) diedero vita alle poleis, comunità di cittadini liberi meglio note come città-stato, in cui si evidenziavano le prime basilari forme di democrazia occidentale, che nei secoli successivi, in primis nell’Attica (quindi ad Atene), sarebbero diventate più evidenti, specie alla fine del VI secolo a.C., con le riforme del celebre statista Clistene, destinate a traghettare la Grecia arcaica nell’età classica, caratterizzata, come vedremo nel prossimo paragrafo, da uno splendore culturale che non avrà eguali nelle civiltà antiche.
Frattanto i greci, verso il 700 a.C., spinti forse dalla ricerca di nuove terre coltivabili, si sarebbero spinti al commercio in tutto il Mediterraneo ed alla creazione di colonie indipendenti sulle sue coste. Nacquero così numerose città, fra cui ricordiamo fra l’altro quelle sorte in Sicilia, in primis Lentini, Catania, Messina e Siracusa, che sinora recano testimonianze evidenti della loro presenza, grazie soprattutto alle innumerevoli opere architettoniche preservate dal tempo. Questo fenomeno di colonizzazione capillare prese il nome di Magna Grecia, ed avrebbe contribuito a diffondere l’avanzatissima cultura greca in gran parte d’Europa, le cui tracce si sarebbero viste sino ai giorni nostri.
Si pongono le basi della civiltà moderna. Nel corso del secolo VI a.C., mentre in Grecia si consolidavano le poleis, al di là del mare Egeo, nell’area mesopotamica, si formava un vasto impero multinazionale (che si estendeva dall’Egitto sino all’India, comprendendo gran parte dell’Asia minore) dominato dai Persiani, i quali avrebbero più volte sfidato i Greci in battaglie epiche (fra cui quelle di Maratona e Salamina), senza però riuscire a sconfiggerli. La potenza e la fama di Atene, protagonista principale degli scontri bellici con i Persiani, ne sarebbe risultata rafforzata in maniera clamorosa.
Nel V secolo a.C. essa raggiunse un livello di sviluppo economico e culturale mai più eguagliato, proponendosi come modello culturale, economico e politico per le altre poleis: era l’età di Pericle, il personaggio che allora dominava la scena politica ateniese. Egli amministrò la città per circa tre decenni (sino alla morte avvenuta nel 429 a.C.) e fece compiere sotto molteplici aspetti un balzo in avanti straordinario alla società greca, ponendo le basi della società moderna, specie in ambito culturale, nel senso più ampio del termine. Egli instaurò un regime pienamente democratico, dando la possibilità di partecipare alla guida dello Stato anche ai cittadini poco abbienti. Durante il suo governo ricevettero un forte impulso scienze teoriche di varia natura come la filosofia e scienze applicate come l’architettura, il cui Partenone (il tempio dedicato alla dea Atena, uno dei maggiori capolavori di sempre) è l’esempio più emblematico. Da quel momento la cultura greca sarà tramandata ai posteri come un qualcosa di straordinariamente avanzato, da prendere da esempio.
Di certo anche prima di Pericle i greci erano famosi per la loro mentalità straordinariamente progredita (non a caso fondarono la filosofia, i canoni dell’estetica, le basi del razionalismo, l’etica sociale, presero forma il diritto e la giustizia equa, idearono le Olimpiadi nel 776 a.C.), ma con lui la civiltà ellenica avrebbe toccato il punto più alto, entrando nel mito, ponendo le basi per ulteriori progressi che in futuro si sarebbero registrati in diversi àmbiti, specie in quello scientifico-matematico (basti pensare a geni del calibro di Erone ed Archimede, la cui leggenda risuona sino ai giorni nostri), con scoperte incredibilmente moderne, da cui addirittura gli scienziati del Rinascimento avrebbero tratto spunto per le loro invenzioni ed intuizioni, Leonardo da Vinci e Niccolò Copernico su tutti. Per non parlare della corrente letteraria dell’Umanesimo che avrebbe affondato le radici proprio nella letteratura greca (rifacendosi soprattutto a Platone). La Grecia classica ha inoltre ispirato scrittori leggendari come Omero, autore di poemi epici come l’Iliade e soprattutto l’Odissea, narrante le gesta del mitico Ulisse, eroe immaginario che sinora stuzzica la fantasia di noi tutti, come d’altronde il Pantheon greco, il più affascinante politeismo mai concepito dall’uomo.
Il dominio dei Macedoni e l’età ellenistica. Poco dopo la morte di Pericle la Grecia sarà coinvolta in diverse guerre fra le poleis, specie fra Atene e Sparta, che dopo trent’anni di conflitti risulterà vincitrice. Tuttavia le guerre avrebbero ormai logorato i greci, che inizieranno a declinare sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista politico, offrendo il fianco, attorno al 330 a.C., al dominio dei popoli del Nord, i Macedoni (erano anche loro dei greci, ma più rozzi e barbari dei meridionali), che sotto la figura di Filippo II avrebbero unificato le poleis sotto un unico dominio, basato più che altro su di un governo pacifico. C’è da dire come i macedoni furono visti da parte della popolazione come dei liberatori dall’incubo delle invasioni persiane, i cui popoli minacciavano di distruggere le poleis.

Alla morte di Filippo II gli succedette il figlio Alessandro, che dimostrò subito le proprie qualità di abile politico e di grande stratega militare. In breve tempo il sovrano macedone conquistò tutti i territori della Persia e l’Egitto, facendo arrivare la sua fama a livelli leggendari, così da valergli il soprannome di Magno. Alessandro Magno unificherà la Grecia e la Persia in unico impero, favorendo la diffusione della celebre cultura greca, soprattutto con la fondazione di numerose città, che sarebbero state interpreti della cosiddetta età ellenistica, caratterizzata in primis da un progresso scientifico e culturale senza precedenti. Alla morte di Alessandro Magno (a soli 33 anni, nel 323 a.C.) il grande impero macedone si frantumerà in tanti regni. Quanto alla Grecia antica, la sua storia sarebbe finìta formalmente con la distruzione di Corinto da parte dei Romani (146 a.C.), ma la leggenda di quella civiltà che cambiò il Mondo sarebbe sopravvissuta per sempre.

QUARTA PUNTATA

DALLA CIVILTA’ ROMANA ALL’AVVENTO DEI BARBARI

L’Impero Romano

Roma, da città ad Impero. Attorno al II millennio a.C. molti popoli migrarono ad ondate in Italia, penisola che presentava un complesso mosaico di etnie e di lingue. Fra i popoli che la abitavano (oltre ai Veneti, Siculi, Sanniti, Lucani, ecc…) spiccavano gli Etruschi (unione di comunità italiche o popoli provenienti dall’oriente?), che estenderanno il proprio dominio su vaste zone del territorio italico. Verso il 753 a.C. vedrà la luce la città di Roma (ma recenti scoperte archeologiche hanno fatto retrodatare la nascita) che in origine è un semplice villaggio di pastori, commercianti ed agricoltori di varie etnie (cartaginesi, greci, etruschi…). Roma grazie al commercio con Etruschi e Greci s’ingrandì sino a diventare una città importantissima, capace di sottomettere gli altri popoli italici, etruschi compresi, che dal 295 a.C. circa saranno definitivamente assimilati fra i Romani.Dopo secoli di Monarchia (nel corso dei quali secondo la tradizione si succedettero 7 Re), nel 509 a.C (in parallelo con l’espulsione dei tiranni in Grecia) verrà instaurata la Repubblica e ben presto Senato, magistrature e assemblee cittadine si porranno alla base del modello politico romano (per una forma di governo che rimarrà pressoché inalterata per secoli). Verso la fine del II secolo a.C. la repubblica romana però inizierà ad attraversare una lunga crisi economica, sociale, politica ed istituzionale, e le lotte sociali e gli intrighi di palazzo diventeranno sempre più acuti, sfociando spesso persino in sanguinose guerre civili (come quella che vide contrapposti gli Ottimati ai Popolari) e nell’assassinio di diversi personaggi di potere.L’apice della crisi repubblicana si toccò con l’avvento di Giulio Cesare, uno dei più grandi condottieri della storia, che con le sue conquiste (Gallia in primis), oltre a porre le basi per un grande Impero, nel contempo, facendosi eleggere Dittatore a vita, aveva accelerato la crisi del sistema Repubblica, trasformata in pratica in una Monarchia assoluta presidiata da un Tiranno. Ma la parabola di Cesare si sarebbe interrotta bruscamente nel 44 a. C., morendo barbaramente assassinato a coltellate da 23 congiurati, che gli tesero una trappola nell’aula del Senato, i cui componenti mal tolleravano lo strapotere di una sola persona.

L’apogeo dell’Impero. Alla morte di Cesare prenderà il potere Ottaviano (successore designato da Cesare stesso), che piano piano accentrerà su di sè quasi tutti i poteri più importanti, sottraendoli al Senato, che dal quel momento sarebbe andato incontro ad un declino irreversibile, declino che avrebbe trasformato di fatto la Repubblica in Monarchia, processo in verità iniziato con Cesare. Con Ottaviano (poi soprannominato Augusto) l’Impero toccherà l’apogeo sotto svariati aspetti, facendo vivere alla popolazione un periodo di relativa pace e prosperità (vi fu anche un grande sviluppo culturale). Augusto, prima come Console e poi come Imperatore, governò in pratica dall’età di 19 anni sino alla vecchiaia, lasciando ai suoi successori, dopo 57 anni di regno, un Impero al massimo dello splendore e della fama, in un certo qual modo completando l’opera iniziata dal già menzionato Cesare. Dopo Augusto si sarebbero alternati sul Trono grandi Imperatori – come Tiberio, Claudio, Vespasiano, Traiano ed Adriano – ad Imperatori dalla personalità oscura e bizzarra (come Caligola, Nerone o Commodo), per un Dominio che pur fra luci ed ombre sarebbe riuscito a vivere diversi decenni di gloria.

L’Impero entra in crisi. Nel 235 l’Imperatore Alessandro Severo fu assassinato, e da quel momento l’Impero, che negli ultimi anni aveva visto l’inasprirsi di conflitti politici interni di varia natura iniziati decenni addietro, cadde in un lungo periodo di grande confusione ed anarchia: non a caso nei quasi cinquant’anni di anarchia militare si succedettero ben 21 imperatori acclamati dall’esercito, quasi tutti morti assassinati (dopo la morte di Commodo – nel 192 – gli aspiranti imperatori dovevano passare quasi sempre attraverso il consenso militare più che quello del Senato, ormai sempre più svuotato di potere e prestigio): era il chiaro segnale di un Impero che stava andando incontro ad una pericolosa nonché irreversibile involuzione. Sempre in quel periodo, con l’esaurimento delle conquiste, il peso economico e l’energia politica delle legioni finirono per rovesciarsi all’interno dell’Impero invece che all’esterno, con il risultato che l’esercito, che era stato il fattore principale della potenza economica, finì per diventare un peso sempre più schiacciante, dando il “la” ad una crisi economica che col tempo avrebbe prestato il fianco alla decadenza di un Impero che sino ad un secolo prima sembrava in ottima salute o quasi. Ciò favorì le incursioni dei barbari, popoli germanici (Visigoti e Vandali in primis), che iniziarono a fare paura e debilitare un Impero già sin troppo malato. Essi, infatti, spinti dall’avanzare degli Unni (popolazioni nomadi delle steppe asiatiche, su per giù gli antenati dei mongoli), iniziarono a migrare in massa verso i territori dell’Impero. Inizialmente i Germani erano soltanto dei profughi in cerca di salvezza (che si stanzieranno dapprima in Pannonia, nell’odierna Ungheria), poi, dopo decenni di pressione sul limes, si assisterà a delle vere e proprie invasioni di eserciti feroci e sanguinari che impressionavano per la loro sete di sangue, che non risparmiava le popolazioni inermi.La prima vera e propria azione di guerra si registrò nel 250 a Filippopoli (Serbia), che cadrà nelle loro mani. Qualche anno dopo il Governo romano, per evitare ulteriori scontri, decise di concedere loro la Dacia (più o meno l’attuale Romania). Qui, dentro i confini dell’Impero, per un secolo circa rimasero tranquilli, diventando qualcosa di simile ad una Nazione, imparando persino la lingua scritta. Col tempo le incursioni si sarebbero trasformate in vere e proprie invasioni, sottraendo vasti territori imperiali, riducendo di molto l’ampiezza dell’Impero, non più in grado di fronteggiare tutte queste aggressioni. Nel 378 i romani rimediarono una durissima sconfitta ad Adrianopoli contro i Goti penetrati oltre il Danubio, per quella che fu la più catastrofica disfatta dell’Impero, in cui perì oltre metà dell’esercito d’Oriente. Col tempo molti popoli barbari avrebbero iniziato ad integrarsi nei territori romani, occupando posti di rilievo persino nelle istituzioni, e molti di loro si sarebbero arruolati come mercenari nell’esercito romano (che presto diverrà un vero esercito germanico destinato, pensate, a combattere contro i germani), per un massiccio arruolamento (promosso per primo da Teodosio I) che però non favorì per nulla la solidità dell’Impero. Ciò, invero, fece venir meno la proverbiale organizzazione delle truppe, poiché i germani non avevano molta dimestichezza con la disciplina romana, combattendo senza veri criteri, basandosi soltanto sulla forza e sul coraggio; inoltre, non essendo romani, avevano meno motivazioni a difendere l’Impero rispetto ai soldati autoctoni, ed in certi casi tramarono contro il loro stesso esercito, pensando soltanto a salire le gerarchie militari e ad arricchirsi; inoltre, essendo mercenari, pretesero col tempo sempre più denaro, accelerando quindi la crisi economica e il disfacimento dell’Impero.

La caduta di un Impero, la fine di un’era. Nel 410 i Visigoti di Alarico misero a ferro e fuoco Roma, per un evento che fu interpretato da molti come un’imminente fine del Mondo e che di certo fu emblematico riguardo alla sorte cui stava andando incontro l’Impero romano d’occidente, ormai ridotto sempre più ad una entità astratta. Nel 455 i Vandali di Genserico “replicarono” il sacco Di Roma di 45 anni prima: era il chiaro segnale che l’Impero stava per crollare. Nel 476 i soldati germani arruolatisi nell’esercito romano pretesero dall’Imperatore l’assegnazione di nuove terre e di fronte al rifiuto si rivoltarono deponendo il poco meno che ventenne Romolo Augustolo per mano di Odoacre, un barbaro che era salito ai vertici dell’esercito. Odoacre consegnò le insegne imperiali all’Imperatore d’Oriente: era ufficialmente la fine dell’Impero Romano.Le cause primarie che fecero franare l’Impero più importante della storia dell’umanità furono molteplici, ed è difficile individuarne una su tutte. È vero, i barbari ebbero un ruolo fondamentale ma di certo fra le concause principali vi fu la succitata crisi economica che attanagliò l’Impero negli ultimi due secoli di vita. Essa fu dovuta come già detto alle spese sempre più ingenti che richiedeva il mantenimento di un esercito ormai di proporzioni gigantesche, e che spinse i vari Imperatori dell’epoca a tartassare di tributi i cittadini romani (Diocleziano su tutti); di conseguenza molti di loro per non andare in rovina furono costretti a mettersi al servizio dei grandi proprietari terrieri (erano i primi vagiti del Feudalesimo) o a darsi al brigantaggio, rendendo più difficoltoso il commercio, il che peggiorò lo stato di miseria in cui versava gran parte della popolazione, per un effetto domino dagli esiti terribili. La crisi economica fu inoltre accentuata da varie epidemie che colpirono le zone dell’Impero proprio in quel periodo delicato per la stabilità, e dalla fine delle grandi spedizioni belliche, che aveva fatto venir meno una figura su cui si fondava il benessere romano, ovvero quella dello schiavo, che per secoli aveva permesso a tanti cittadini di vivere nell’agiatezza senza penare. Le stesse incursioni barbare, mai così frequenti, resero ancor più pericolose le vie di comunicazione, causando una ulteriore diminuzione dei commerci ed aumentando di conseguenza la crisi economica, per un circolo vizioso senza fine. Ma forse la causa primaria fu il continuo avvicendarsi sul trono imperiale, negli ultimi decenni, di Imperatori provenienti dalle gerarchie militari, poco inclini all’arte di governare un Impero (oggi diremmo che erano privi di nozioni di economia politica), anche perché l’enorme estensione dello stesso richiedeva una competenza maggiore rispetto a molti decenni prima…Nella sua massima espansione (nei primi due secoli dopo Cristo) Roma aveva dato vita ad uno degli imperi più grandi, efficienti e duraturi della storia dell’umanità. L’Impero si sarebbe esteso, in tutto o in parte sui territori degli odierni stati di: Portogallo, Spagna, Andorra, Francia, Monaco, Belgio, Paesi Bassi (regioni meridionali), Regno Unito (Inghilterra, Galles, parte della Scozia), Lussemburgo, Germania (regioni meridionali e occidentali), Svizzera, Austria, Liechtenstein, Ungheria, Italia, San Marino, Malta, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia, Grecia, Bulgaria, Romania, Ucraina (Crimea), Turchia, Cipro, Siria, Libano, Iraq, Iran, Armenia, Georgia, Azerbaigian, Israele, Giordania, Palestina, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Arabia Saudita (piccola parte).In tutti i territori sui quali estesero i propri confini, i romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti, fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà assoggettate, in un processo così profondo che per secoli ancora dopo la fine dell’impero queste genti continuarono a definirsi romane.Prima della caduta, l’Impero Romano d’occidente aveva già una volta rischiato di crollare rovinosamente, e fu fra il 246 a.C ed il 201 a.C., durante le famose guerre puniche combattute contro Cartagine, all’epoca una grande potenza che aveva colonie commerciali lungo tutte le coste del Mediterraneo. Cartagine, guidata dal mitico Annibale, arrivò sino alle porte di Roma, senza tuttavia riuscire a sconfiggere il nemico definitivamente. Così Roma, guidata da un abile generale come Publio Cornelio Scipione (a cui poi sarà dedicato un passaggio dell’Inno di Mameli), dapprima ricacciò i Cartaginesi in Africa e poi li distrusse Zama, nel loro territorio. Quello di Roma è considerato il più grande per gestione e qualità del territorio (5.957.000 km², popolazione massima: 120.000.000), organizzazione socio-politica, e per l’importante segno lasciato nella storia dell’umanità. È certamente il più longevo. La civiltà nata sulle rive del Tevere, cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine sviluppatasi pienamente in età imperiale, è alla base dell’attuale civiltà occidentale, lingua compresa (la lingua dell’Impero era il latino, da cui poi nasceranno le attuali lingue neo-latine appunto).Dopo la caduta dell’Impero occidentale, nel volgere di un secolo si sarebbe passati definitivamente dall’età antica al Medioevo, una lunga epoca nel corso della quale per tantissimi decenni l’umanità sarebbe tornata qualitativamente indietro di diversi secoli, ed avrebbe dovuto aspettare la fine del X secolo prima di tornare ad una vita in parte accettabile, almeno per i canoni dell’epoca.

QUINTA PUNTATA

L’Impero Romano d’Oriente (o Bizantino). Prima di morire (395) Teodosio I aveva affidato le due metà dell’Impero romano ai suoi due figli: ad Arcadio diede il comando dell’Oriente, con capitale Costantinopoli (Istanbul), e ad Onorio il comando dell’Occidente. Le due parti dell’impero, mai più riunite, da quel momento saranno conosciute rispettivamente come Impero romano d’Occidente e come Impero romano d’Oriente.[ L’impero romano già molti decenni prima della spartizione ufficiale aveva iniziato ad essere concepito in due parti, per una tendenza che si sarebbe rafforzata con Diocleziano (284-305) e Costantino il Grande (306-337), il quale ebbe l’idea di spostare la capitale proprio ad Oriente, fondando una “nuova Roma” sulle ceneri della vecchia Bisanzio, conferendole il nome di Costantinopoli (oggi è Istanbul, capitale della Turchia), mostrando chiaramente i suoi propositi di trasferire ad est l’asse imperiale, ponendo i presupposti per un futuro Impero Romano d’Oriente.] L’Impero d’Oriente, a differenza di quello d’Occidente, perse gradualmente la propria romanità diventando all’inizio del VII secolo, con Eraclio I (610-641), un impero greco nonostante mantenesse il nome di romano. L’Impero Romano d’Occidente come visto sparì nel 476, mentre quello d’Oriente (o Bizantino, massimo 30.000.000 abitanti, lingua greca), più sano economicamente (grazie alla posizione strategica di Costantinopoli, che lo favoriva nei commerci) e meglio governato rispetto a quello occidentale, continuò più o meno per altri mille anni, sino al 1453, quando gli ottomani di Maometto II diedero il colpo di grazia ad un Impero già da tempo indebolito dalle continue invasioni straniere (in primis dalle Crociate dei Latini). L’Impero Bizantino ebbe il merito di aver salvato dall’oblio la cultura occidentale. Esso, infatti, salvatosi dalle invasioni barbariche, aveva seguitato a sviluppare la grande cultura greca diffondendola in tutte le province dell’Impero, comprese quelle che molti anni dopo sarebbero cadute in mano araba. Arabi che a loro volta, in virtù delle conquiste della Spagna e della Sicilia, avrebbero diffuso il sapere occidentale in Europa. Quello bizantino è l’impero che è durato più a lungo nella storia d’Europa.

IL CRISTIANESIMO

La predicazione di Gesù. Dopo circa 7 secoli dalla fondazione di Roma nacque un uomo destinato a cambiare per sempre il Mondo. Non era un conquistatore né uno scienziato, ma un semplice predicatore: Gesù Cristo. Gesù nacque in Palestina, una terra occupata dai Romani. All’età di 30 anni egli cominciò a predicare la buona novella, ossia un messaggio di speranza per i deboli e gli ultimi, ed a compiere miracoli. Ebbe per questo un grande seguito, che però non piacque ai sacerdoti ebrei. Costoro, infatti, aspettavano un Messìa, cioè un capo politico-militare che li guidasse nella conquista della libertà dalla dominazione romana, e non un uomo mite che predicava la pace, la fratellanza e l’amore fra gli uomini. Egli inoltre diceva di essere il Cristo, l’unto da Dio, e pertanto così dicendo metteva in pericolo l’autorità dei sacerdoti. Pertanto essi decisero che il popolo ebraico non dovesse vedere in questo predicatore il Messia e lo accusarono di empietà, facendolo giudicare dal governatore romano della Palestina, Ponzio Pilato, il quale si rimise alla decisione della folla, la quale inneggiò alla condanna a morte di Gesù. A 33 anni dalla sua nascita il Messia fu quindi crocifisso come un comune ladro.

La nascita di una nuova religione. Tra i suoi seguaci egli aveva individuato dodici apostoli, che dopo la sua morte andarono per il mondo a diffondere la buona novella, l’Evangelo, affermando che Gesù fosse risorto per poi salire in cielo dal Padre. Essi furono la prima Chiesa, cioè la prima assemblea di fedeli. La guida degli apostoli era Pietro, ma la figura più colta e capace di diffondere gli insegnamenti di Gesù fu un ex persecutore dei cristiani, Paolo di Tarso. Grazie a lui la parola di Cristo arrivò sino a Roma: da quel momento il Cristianesimo divenne una religione molto importante. Per i cristiani la nascita di Gesù rappresentò l’inizio di un’epoca nuova, tanto che la presero come punto di riferimento per il computo degli anni, un’abitudine viva sino ad oggi.

Il Cristianesimo “contagia” tutto l’Impero. L’Impero Romano inizialmente non perseguitò i cristiani, ma quando il loro numero crebbe la situazione cambiò. Essi, infatti, non veneravano l’Imperatore com’era richiesto, perché credevano solo in Gesù, il Dio che si era fatto uomo. Questo non piacque ai romani, che vedevano in questo rifiuto una pericolosa disobbedienza nei confronti dello Stato. Iniziarono pertanto ad essere perseguitati, divenendo dei martiri della fede, Pietro e Paolo compresi. Nel 250 addirittura l’imperatore Decio decretò che la religione cristiana fosse vietata in tutto lo Stato: iniziava la prima sistematica e totale persecuzione dei cristiani. Le persecuzioni cessarono soltanto con Costantino grazie all’Editto di Milano del 313. Nel 380, con l’Editto di Tessalonica dell’Imperatore Teodosio, il Cristianesimo diverrà religione di Stato. Oggi è la fede più diffusa al Mondo.

SESTA PUNTATA

MEDIOEVO

Una suddivisione comunemente utilizzata del Medioevo è tra:

“Alto medioevo” (da qualcuno detto dei “secoli bui”), che va dalla caduta dell’Impero Romano al X secolo ed è caratterizzato da condizioni economiche disagiate e da continue invasioni straniere;

“Basso medioevo” o “tardo medioevo”, un periodo intermedio, che vede la rinascita della vita nelle città, poi un declino del potere imperiale e la rinascita di interessi commerciali, specie dopo la peste del XIV secolo.

L’EUROPA CAMBIA VOLTO

La Chiesa sale in cattedra. Dopo l’Editto di Milano, che permetteva ai cristiani di professare liberamente la loro fede, erano nate le prime diocesi (comunità cristiane il cui controllo era esercitato dai vescovi), in primis la Diocesi di Roma, che negli anni sarebbe divenuta proprietaria di tanti immobili e terreni, frutto delle donazioni dei fedeli. Dopo il crollo dell’Impero Romano, durante le devastazioni causate dalle invasioni, la chiesa cristiana d’Occidente sostenne le popolazioni colpite dalle guerre e svolse un ruolo politico e diplomatico positivo tentando di arginare le violente irruzioni dei barbari, che in molti casi cercarono proprio nella Chiesa un forte alleato che in un certo qual modo legittimasse i loro regni. Più tardi, quando finì la fase violenta delle invasioni, i Vescovi riuscirono a stabilire rapporti amichevoli con i re barbari (le popolazioni barbare inizieranno a convertirsi al cristianesimo, anche se inizialmente nella forma ariana), favorendo la fusione tra i germani e gli italici. Spesso addirittura i sovrani si servivano dell’aiuto di ecclesiastici per adempiere funzioni di governo complesse, essendo gli unici dotati di un grado d’istruzione accettabile. Nei nuovi regni romano-barbarici, infatti, la scuola era scomparsa e non vi era più alcuna possibilità di istruirsi. Gli unici che ricevevano un’istruzione erano coloro che iniziavano una carriera religiosa. Il Vescovo all’epoca era l’unico notabile delle poche città rimaste. Egli diventò il perno di tutta l’organizzazione civile: fu insieme il Prefetto, il Sindaco, il direttore scolastico e qualche volta persino il medico. Fu questa la vera origine della grande forza temporale che la Chiesa romana doveva in seguito assumere.

Frattanto nel 381 d. C. il Concilio di Calcedonia aveva riconosciuto il primato del Vescovo di Roma (ovvero il Papa) sui patriarcati di Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria. Pochi secoli dopo (nel 728) il Re longobardo Liutprando, donando al Papa il castello di Sutri, avrebbe “firmato” l’atto di nascita dello Stato Pontificio: era solo l’inizio di un rafforzamento di un potere, quello spirituale, che avrebbe contrassegnato gran parte della storia medievale e moderna, con la Chiesa che avrebbe conteso persino il potere temporale agli Imperatori, dando vita a dispute infinite.

Il monachesimo. Dal 300 in poi in Europa molte persone religiose e laiche, sulla scia di quanto avveniva già in Oriente, per sfuggire in un certo qual modo ai tempi difficili, decisero di abbracciare una vita ascetica all’insegna della preghiera, della castità, della privazione, della penitenza e della solitudine, consacrando la vita a Cristo: nel giro di poco tempo sarebbe sorto così il Monachesimo, che rappresentò fra l’altro una grande rivolta dello spirito autenticamente cristiano contro il pericolo di mondanizzazione della Chiesa. Il Monachesimo ben presto sarebbe stato disciplinato da regole, la più famosa delle quali sarà quella ideata verso il 500 da San Benedetto da Norcia, la Ora et labora, che imponeva per la prima volta ai monaci non solo la preghiera ma anche lo studio ed il lavoro, conferendo prestigio non indifferente alla nuova figura del Monaco, che non sarebbe stato visto esclusivamente come un eremita. Col tempo i monasteri si diffusero il tutta Europa, diventando veri centri di vita culturale, poiché i monaci trascrivevano libri antichi che all’epoca potevano essere riprodotti solo ricopiandoli a mano, non essendo ancora nata la stampa a caratteri mobili. In tal modo essi salvarono la cultura greca e romana dall’oblio. Nelle condizioni di vita del tempo, fra guerre e carestie (la dominazione gotica e quella longobarda avevano trasformato l’Italia in un immenso deserto di barbarie), il monachesimo divenne una forza di riserva per la vita della Chiesa (in cui comunque non mancarono scuole vescovili e parrocchiali) e della civiltà cristiana.

Un continente preda dei barbari. Dopo il crollo dell’Impero Romano saliranno alla ribalta diversi regni barbarici, che si spartiranno per molti decenni il dominio dell’Europa. L’Italia ad esempio subì le conquiste di varie popolazioni, dagli Ostrogoti (che rimarranno nello Stivale dal 493 sino al 553) ai Bizantini, ai Longobardi (dal 568)… Superata una fase in cui i barbari saccheggiano e distruggono le zone occupate, ci si avvierà lentamente ad una semi pacifica convivenza ed integrazione con le popolazioni dominatrici, anche se non mancheranno periodi di terrore ad inframmezzare i periodi di relativa pace, per una perdita di sicurezza fra la popolazione che contraddistinguerà l’intero Alto Medioevo. Parallelamente all’affermazione di tali regni si registrò l’espansione dei popoli di lingua slava, che alla fine del VI secolo andarono a stanziarsi in Boemia e Pannonia, dando luogo alla creazione della terza area linguistica dell’Europa del tempo, insieme alle lingue latine e germaniche, per dei confini che nei secoli sarebbero rimasti pressoché inalterati.

Nel 774 salirà in cattedra il Re dei Franchi Carlo Magno, divenendo Re dei Longobardi e d’Italia, entrando nella leggenda grazie a tante campagne militari vittoriose (si ricordano in primis quelle condotte contro i Sassoni e gli Avari). Egli, presentandosi come difensore della Chiesa cristiana, nella notte di Natale dell’800 si farà incoronare da Papa Leone III Imperatore del Sacro Romano Impero (che alcuni storici chiamano Impero carolingio, comprendente più o meno Francia, Germania, Italia centro-settentrionale, Boemia, Catalogna). Così facendo Carlo conferiva sacralità alla sua carica (per una pratica che sarà seguita dai futuri Imperatori del Sacro Romano Impero) e nel contempo aumentava a dismisura il potere del Pontefice ed il prestigio della Chiesa: ciò, come vedremo, in futuro si rivelerà un arma a doppio taglio per molti Imperatori… Quello di Carlo sarà un Impero solido ed efficiente sotto ogni aspetto che garantirà alla popolazione un periodo di ordine politico e prosperità economica mai visto dai tempi della caduta dell’Impero Romano. Con lui nascerà il Feudalesimo (di cui ci occuperemo più avanti), che ben presto avrebbe caratterizzato fortemente i secoli a venire. Egli inoltre fu un grande promotore della cultura, favorendo la conservazione del sapere classico, dando impulso fra l’altro all’arte ed all’architettura. Nella sua epoca, infatti, sorsero importanti cattedrali e monasteri, oltre a numerose scuole. Non a caso riferendosi alla sua era si parla di “rinascita carolingia”.

Dopo la morte di Carlo (814) però il suo Regno si frantumò in più parti, portando in primis alla nascita del Regno di Germania (comprendente Sassonia, Franconia, Svevia e Baviera) – antesignano del Sacro Romano Impero Germanico che sarebbe nato nel 962 – ed al Regno d’Italia (che dal 962 sarebbe stato in buona parte inglobato proprio dal Sacro Romano Impero Germanico), con la nostra Penisola che sarebbe presto finita in preda all’anarchia, in balìa dei vari Signori feudali locali (quelli legittimati dall’imperatore e quelli… abusivi) e delle varie Contee, Marchesati e Ducati (una divisione iniziata ai tempi dei longobardi e dei i franchi). La spartizione della Penisola in micro regni sarebbe diventata endemica (l’Italia sarebbe tornata ad essere un vero Regno molti secoli dopo, nella seconda metà dell’Ottocento), per una peculiarità che offrirà il fianco a varie incursioni straniere, che in quel periodo interessavano tutta l’Europa.

SETTIMA PUNTATA

Le incursioni Vichinghe

Fra le popolazioni che imperversarono non possiamo non citare i Vichinghi, popoli della Scandinavia destinati a lasciare un segno indelebile nella storia d’Europa. Essi tra il 793 d.C. ed il 1066 (anno della conquista normanna dell’Inghilterra), a bordo di navi ad alto livello tecnologico (per i canoni dell’epoca), fecero scorrerie sulle coste delle isole britanniche, della Francia (stanziandosi in quella parte di costa ancora oggi chiamata Normandia) e di altre parti d’Europa, facendo scorrere fiumi di sangue, terrorizzando i popoli che avevano la sfortuna di incontrarli. I Vichinghi condussero numerosi raid in Irlanda – isola in cui fondarono anche alcune città, tra cui Dublino – Scozia, Galles, Spagna, Italia ecc…senza tuttavia riuscire a conquistarle, ma limitandosi a stanziamenti aventi perlopiù scopi commerciali. Molti di loro immigrarono in massa in Islanda, arrivando a colonizzare persino la Groenlandia e l’isola di Terranova. Essi si sarebbero spinti sino a Bisanzio e addirittura in Russia, creandovi un regno molto esteso: è proprio a loro che si deve il nome di Russia appunto, poiché in dialetto antico “rus” era il termine che li identificava.

Conosciuti per essere stati i primi scopritori del Nordamerica, molto tempo prima di Cristoforo Colombo (la loro scoperta comunque non ebbe le stesse ripercussioni di quella che avrebbe poi avuto quella del navigatore italiano), la loro epoca si sarebbe conclusa tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo .

La crisi dell’Alto Medioevo.
Il tratto caratteristico dell’Alto Medioevo, in tutta Europa, fu la decadenza economica, per un fenomeno da ricondurre in primis alle invasioni straniere (Goti, Vandali, Longobardi, Normanni, Saraceni,… ), che, come abbiamo visto, dopo il crollo dell’Impero Romano iniziarono a farla da padrone nell’intero continente europeo. Le guerre perciò cominciarono ad essere molto frequenti, con tutte le nefaste conseguenze del caso. Oltre a terrorizzare e decimare la popolazione, i continui raid distrussero i campi coltivati (o comunque ne limitarono la fertilità), riducendo alla fame i contadini. Le guerre, inoltre, molto spesso erano accompagnate da pestilenze di vario genere, che falcidiavano la popolazione. Ed a peggiorare la situazione, già di per sé tragica, vi fu sovente anche il clima, che per molti decenni fu molto freddo e rigido, il che di certo non favorì la crescita di buoni raccolti, generando tremende carestie. I pochi contadini rimasti si ridussero alla fame e furono perciò attirati dai grandi proprietari fondiari sulle loro terre. Ai coltivatori furono offerti poderi da lavorare in affitto (in cambio di un canone da pagare e di lavori da compiere all’interno del feudo) e la protezione dalle frequenti violenze. Quando morì Carlo Magno (che aveva creato l’istituto giuridico del Feudalesimo, cioè concedeva ad un Signore delle terre in cambio di servizi militari, il tutto regolato da un regolare contratto), il cui regno aveva garantito un lungo periodo di ripresa economica e di relativa pace, le incursioni straniere ripresero vigore. Ed i grandi latifondisti tornarono l’unica ancora di salvezza per i lavoratori di campagna. Per far fronte alle invasioni i Signori iniziarono a trasformare la propria dimora in fortezza: nasceva il fenomeno dell’incastellamento. Intorno al castello (ben fortificato e controllato), cui ci si poteva rinchiudere in caso di guerra, erano costruite le case dei contadini che lavoravano la terra. Costoro potevano godere di relativa libertà o essere servi della gleba (schiavi). Col tempo l’imperatore avrebbe affidato ai Signori persino il governo delle province del suo regno: così la Signoria fondiaria si trasformava in Signoria di Banno (ai tempi di C. Magno i poteri di banno erano dei conti o di altri funzionari imperiali), con il Signore che di fatto – potendo esercitare persino il potere giudiziario – diveniva il capo assoluto del territorio e degli abitanti che vi risiedevano. Poi nell’877 l’Imperatore Carlo il Calvo avrebbe fatto diventare le cariche ereditarie (legalizzando quella che generalmente era diventata una consuetudine, ovvero un’ereditarietà di fatto): così i latifondisti diventavano proprietari a pieno titolo delle terre loro assegnate dai regnanti precedenti. Tale decisione aumenterà notevolmente il potere dei grandi proprietari terrieri, che col tempo si sarebbero resi di fatto sempre più indipendenti, persino dallo stesso Imperatore.
Un certo tipo di protezione era fornito anche dai monasteri o dalle chiese, che avevano un grande prestigio presso i barbari da poco convertiti al cristianesimo. Se le campagne erano dei Signori anche le città aveva chi le comandava, ed in questo caso erano i vescovi. I cittadini di città però erano liberi.
Un’altra caratteristica dell’alto Medioevo fu la decadenza delle città. I barbari non le distruggevano quasi mai, ma ne provocarono la crisi in maniera indiretta. Essi, infatti, non avevano il personale per mantenerle e mandarle avanti: cioè le classi dirigenti, quei funzionari e quei tecnici che erano stati uccisi o erano fuggiti. E i nuovi padroni non avevano con chi rimpiazzarli. Rozzi e analfabeti, essi non conoscevano altri mestieri che la pastorizia e la guerra, così quelli ch’erano stati dei fiorenti centri d’industria, di commercio, di cultura, si erano ridotti a villaggi chiusi, intenti solo a drizzare bastioni per difendersi dai nemici esterni.
Sempre in quel periodo iniziava la corruzione delle cariche ecclesiastiche, che pensate venivano conferite dall’Imperatore anche ai duchi, conti e marchesi. Ma in generale la Chiesa stava andando incontro ad un impoverimento spirituale senza precedenti che l’avrebbe interessata per secoli.

Gli arabi

Oltre un millennio prima di Gesù Cristo, l’area corrispondente alla penisola arabica e alla frangia desertica che da nord si estende dal Golfo di Aqaba fino alla Siria, costeggiando la piana del Giordano, era arida e desertica, ed era abitata da popoli nomadi (beduini) divisi in clan (perennemente in guerra fra loro), che si dedicavano prevalentemente all’allevamento di ovini ed ai saccheggi. La penisola arabica era divisa in aree, ciascuna delle quali si trovava sotto il controllo di una tribù che riconosceva unicamente l’autorità del suo sceicco. Tale penisola, pur essendo situata in una zona periferica, era l’area di convergenza di una serie di vie terrestri e marittime che univano terre e mari di grande importanza per le attività commerciali che vi si sviluppavano. Inoltre questa terra era il crocevia dei tre grandi imperi euro-afro-asiatici dell’antichità.

Nel 622, a seguito di rivelazioni mistiche, un profeta di nome Maometto iniziò ad annunciare pubblicamente la parola di Dio. Nel giro di pochi anni egli diffuse in tutta la penisola il nuovo Credo, l’Islam (parola araba che significa sottomissione a Dio), convertendo gran parte della popolazione (che vide in Maometto l’Inviato da Dio) alla nuova religione musulmana, che presto, in virtù delle conquiste che gli arabi avrebbero poi intrapreso (non prima l’avvenuta unificazione delle tribù arabe), si sarebbe diffusa in buona parte dell’emisfero asiatico.

I successori di Maometto, che prenderanno il comando della comunità musulmana (detti califfi), infatti, estenderanno enormemente il loro dominio (col pretesto di diffondere l’Islam), conquistando fra l’altro la Spagna, la Siria, la Palestina, l’Egitto (per limitarci a citare i Paesi più vicini all’Occidente)… Nel X secolo sarebbero cadute in mano Araba anche la Sicilia e la Sardegna. L’espansione araba (che ad un certo punto aveva minacciato l’intera Europa, salvo essere arrestata nella celebre battaglia di Poitiers dalle truppe franche di Carlo Martello, nel 732), a causa di conflitti e divisioni in seno ai califfati, lentamente inizierà a scemare, ed avrà praticamente fine verso il 1100. Il definitivo regresso politico e culturale dell’arabismo si avrà dopo l’invasione mongola del tredicesimo sec., che spazzerà via l’ultimo resto del califfato di Baghdad – 1258 – sanzionando l’avvento al potere di elementi non arabi, soprattutto turchi; questo processo culminerà agli inizi del XVI sec., con la conquista ottomana di tutti i paesi ancora abitati da Arabi, a esclusione del Marocco.

Gli Arabi, nel corso delle loro conquiste, dimostrarono di essere una civiltà progredita sotto vari aspetti. Essi si nutrirono delle conoscenze del mondo greco e di quelle del lontano Oriente, trasferendolo poi a tutto l’Occidente cristiano, dove i conquistatori germanici, dopo il crollo dell’Impero romano, avevano sommerso tutta l’eredità classica. Gli Arabi furono mercanti, filosofi, architetti, scienziati, navigatori… Inventarono l’algebra, diffusero i numeri arabi (soppiantando i numeri romani), introdussero nuovi sistemi d’irrigazione e nuove colture agricole come il riso, gelso, cotone e canna da zucchero. Diedero inoltre grande impulso allo sviluppo della produzione della carta (apprendendo la tecnica dai cinesi). In confronto alle invasioni che l’Europa romanizzata aveva subito dal Nord, quella araba fu quindi più mite e più “fertilizzante”. C’è da dire, inoltre, che il proselitismo religioso non degenerò quasi mai in persecuzione; per quanto animati da zelo, i missionari di Maometto non erano fanatici: lo sarebbero diventati più tardi, quando il Califfato passerà in mano ottomana…

In tempi moderni, gli arabi sono inglobati in 22 Paesi dell’Asia occidentale e del Nordafrica. Sono tutti Stati moderni che sono diventati entità politiche distinte e hanno ottenuto l’indipendenza tra la prima e la seconda metà del Novecento per effetto della nascita del nazionalismo arabo e del crollo dell’impero ottomano e degli imperi coloniali europei. Oggi gli Stati arabi sono: Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Comore, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Giordania, Iraq, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Palestina, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia, Yemen.

OTTAVA PUNTATA

Il basso medioevo.

La rinascita del nuovo millennio. La popolazione attorno all’anno 1000, dopo secoli di carestie, guerre ed epidemie, tornò ad aumentare. Di conseguenza si registrò un grande sviluppo agricolo, indotto da nuove tecniche di coltivazione (grazie in primis a delle invenzioni rivoluzionarie come l’aratro pesante a ruote, il collare a spalla, ed alla diffusione di attrezzi in ferro) e da innovativi sistemi di concimazione ed irrigazione. Furono inventati anche i mulini ad acqua, che, oltre per la macinazione del grano, iniziarono ad essere utilizzati come frantoi per olive, per pompare acqua, per la follatura nella lavorazione dei tessuti, ecc… migliorando non poco la qualità di vita. La crescita della produzione agricola favorì a sua volta lo sviluppo dei commerci (che ebbero un incremento anche grazie al declino degli arabi, che per decenni avevano reso impraticabili diverse rotte). La città medievale, che nel frattempo tornò a ripopolarsi, divenne pian piano il regno dei mercanti e degli artigiani, che, come vedremo, avrebbero giocato un ruolo fondamentale nell’emancipazione della civiltà cittadina. Fra le città italiane che in quel periodo iniziarono a risplendere ricordiamo quelle marinare di Venezia, Genova, Amalfi e Pisa. Esse dovevano il loro splendore economico alla loro posizione geografica, che le aveva rese immuni dalle invasioni dei Barbari (i quali avevano conquistato l’Italia con gli eserciti e non disponendo di flotte si erano limitati all’entroterra) e – in un’epoca priva di strade praticabili, in cui l’unico modo per compiere lunghi viaggi era via mare – le aveva favorite enormemente nei traffici commerciali (il commercio a distanza sarà agevolato anche dal progresso della navigazione: fra l’altro era stata inventata la bussola).

Nel 1066, intanto, i Normanni (vichinghi “francesizzati”, provenienti dalla Normandia), grazie a Guglielmo il Conquistatore, sbarcano in Inghilterra, allargando negli anni il loro raggio d’azione sino all’Italia meridionale (dalla Sicilia alla Campania), e con Ruggero II, incoronato nel 1130 re di Sicilia, si avrà l’unificazione di tutte le conquiste normanne in Italia in un potente regno feudale.

La lotta per le investiture e le crociate. Intanto cominciavano a sorgere movimenti popolari che denunciavano la sempre più inarrestabile corruzione del clero e chiedevano che preti e vescovi tornassero a condurre una vita cristiana degna di tale nome. Fra i movimenti più importanti si segnalò quello dei monaci di Cluny (Borgogna). Nel 1075 Papa Gregorio VII, sull’onda di tali movimenti, stabilì alcuni principi fondamentali volti a ripristinare il potere papale e togliere all’Imperatore la facoltà di conferire le investiture religiose. Nel decreto emesso dal Pontefice era riportato che: solo il Papa aveva il diritto di nominare e destituire vescovi (in passato lo potevano fare persino i Signori, con una grande svalutazione spirituale delle cariche ecclesiastiche che ormai erano titoli da poter comprare come merce); l’Imperatore aveva solo il potere temporale e non doveva interferire in ambito ecclesiastico (viceversa il Papa poteva addirittura destituire l’Imperatore). Ciò diede origine ad una disputa lunghissima fra Papi ed Imperatori, che sarà risolta soltanto nel 1122, con l’emanazione del Concordato di Worms da parte del Santo Padre Callisto II, nel quale sostanzialmente si riaffermavano i princìpi di Gregorio VII.

Parallelamente, col pretesto di difendere la religione cristiana dai Turchi, che avevano occupato Gerusalemme rendendo difficile il pellegrinaggio dei cristiani al Santo Sepolcro, e rispondere alla richiesta d’aiuto dell’Impero bizantino (nella persona di Alessio I), la Chiesa (con Papa Urbano II) nel 1095 indisse le prime Crociate della storia da combattersi contro i non cristiani (principalmente contro i musulmani, detti infedeli). Ai cavalieri che morivano in battaglia era garantita l’indulgenza plenaria. Con la croce dipinta sugli scudi, signori, cavalieri (ma anche gente comune) e re partirono per combattere la cosiddetta guerra Santa. Al di là di queste finalità alte, le crociate avranno in realtà il carattere di vere e proprie guerre di conquista (che andranno oltre la religione, tradendo la fiducia delle autorità bizantine), indotte dalla viva speranza di ottenere ricchezze e gloria. Le conquiste (perlopiù in Palestina) saranno di scarsa rilevanza, di breve durata, economicamente onerose e difatti determineranno una crisi irreversibile nell’Impero Romano d’Oriente, che crollerà definitivamente nel 1454. In tutto le principali crociate furono 8 (l’ultima nel 1270). L’Occidente però trasse dalle Crociate alcuni notevoli vantaggi. Innanzi tutto esse servirono a rendere più intensi i commerci con l’oriente: a beneficiarne furono in gran parte le repubbliche marinare di Pisa, Genova e Venezia, che ebbero modo di fissare proprie colonie e basi commerciali, di incrementare i propri traffici, di esercitare per lungo tempo una vera egemonia commerciale in Europa. Inoltre i contatti continui dei mercanti italiani con le popolazioni arabe e bizantine, che avevano importanti e avanzate civiltà, ampliarono ed arricchirono la cultura degli europei.

Gengis Khan e il mito dell’Impero Mongolo. Mentre nel mar Mediterraneo si combattevano le Crociate, in Asia andava affermandosi la potenza dei Mongoli. Questo popolo, originario del nord della Cina, tra il XII e il XIII secolo cominciò a minacciare le popolazioni vicine. Sotto la guida di Gengis Khan (geniale, valoroso e spietato come nessun altro mai) gli straordinari cavalieri mongoli divennero padroni della Cina del nord e si spinsero sino in Persia. Pian piano l’Impero occupò l’intera Asia centrale, poi gli eredi di Gengis Khan conquisteranno l’Asia intera. L’Impero mongolo (1206–1368) è stato uno degli imperi più vasti della storia, coprendo, all’apice della sua estensione, più di 30 milioni di km², con una popolazione stimata intorno ai 100 milioni di persone.

NONA PUNTATA

Dai Comuni alle Università

La nuova classe sociale emergente composta da artigiani e mercanti (ovvero la classe borghese) caratterizzò il Basso Medioevo. Fu grazie a queste figure, alle quali più tardi si sarebbe affiancata quella del banchiere, che la società andò incontro ad una emancipazione senza precedenti. Finalmente un uomo poteva svincolarsi dalle condizioni sociali ed economiche di nascita, non essendo più costretto a svolgere lo stesso mestiere dei padri. Per difendere i propri interessi alcuni gruppi di questi ceti emergenti (oltre alle figure già citate cominciarono timidamente a farsi largo in città nobili, giudici e notai) iniziarono ad unirsi in associazioni, e col tempo all’interno delle città sarebbero nati i Comuni, istituzioni politiche che, a partire dall’Italia settentrionale, dal XI secolo in poi sopperirono al vuoto di potere che negli ultimi decenni si era venuto a creare, sostituendosi pian piano alle figure dei vescovi e dei grandi feudatari, fino a rendersi indipendenti persino dall’Imperatore (in Italia dal 1183, dopo la Pace di Costanza stipulata con Federico Barbarossa). Gli abitanti della città non erano tutti su uno stesso piano: i cittadini, cioè i gruppi che godevano di diritti, potevano imporre la loro autorità a quelli che erano solo residenti. I primi magistrati dei Comuni furono i Consoli (da 2 a 20 a seconda delle città), inizialmente scelti fra gli appartenenti alle famiglie nobili venute a risiedere in città, generalmente investiti del supremo potere esecutivo e del comando militare in caso di guerra, nonché della responsabilità per l’ordine interno. Duravano in carica un anno o poco più ed erano assistiti da Consigli composti da un certo numero di cittadini che avevano il potere legislativo. Consoli e membri dei Consigli venivano eletti da una sorta di parlamento, Arengo, cioè da un’assemblea generale. In seguito alla figura del Console si sostituì quella del Podestà, un magistrato forestiero che offriva maggiori garanzie d’imparzialità all’amministrazione della giustizia. Un ruolo cardine nello sviluppo comunale lo ebbero le Arti e le Corporazioni, associazioni che tutelavano gli interessi di tutti coloro che svolgevano la stessa attività: esse dapprima si limitarono a determinare i salari, i prezzi, gli orari di lavoro; col tempo avrebbero provveduto alla costruzione di opere pubbliche, all’ordine pubblico, ecc…diventando dei pilastri dell’organizzazione politica e sociale del Comune. Durante il Basso Medioevo alcuni Comuni italiani, come Venezia, Milano e Firenze, divennero delle vere e proprie potenze mondiali, mentre Roma, un tempo caput mundi, ormai perdeva lo smalto degli anni fulgidi.

Intanto nascevano le prime scuole laiche (fino ad allora la cultura quasi esclusivamente albergava in ambito ecclesiastico e nelle corti più rinomate); poi delle associazioni libere di studenti e professori, ovvero le Università (la prima a Bologna verso il 1090); il latino (lingua dei dotti) fu pian piano affiancato e sostituito dalle lingue volgari, ovvero parlate dal volgo, che assursero lentamente a dignità letteraria, in primis grazie alla Divina Commedia – ritenuta da alcuni il più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi – ultimata nel 1321 da Dante Alighieri, scritta interamente in dialetto fiorentino; inoltre alla poesia andrà pian piano ad affiancarsi la prosa, anche grazie all’emergere di tanti letterati di una certa caratura – come Francesco Petrarca1 – che avrebbero posto le basi per la nascita della moderna corrente letteraria Umanesimo (che trasse ispirazione dai classici greci), fautrice di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (sviluppando uno spirito critico che si sganciava dai canoni medievali) in luogo di quella chiave teocentrica che sin lì l’aveva fatta da padrone (e che aveva influenzato persino Dante), per quello che all’epoca rappresentò un’emancipazione radicale, un vero spartiacque con la cultura del passato. Sempre in quel periodo fece un salto di qualità gigantesco anche la Pittura, che grazie a Giotto assurse a vera e propria arte nobile.

Nascono le Signorie cittadine

L’istituzione comunale entrò in crisi tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo. All’origine di questa crisi si collocano i contrasti sociali che finirono col logorare progressivamente la tenuta delle antiche magistrature comunali. Fra le lotte più note, che contribuirono a velocizzare la morte del Comune medievale, vi fu quella fra Guelfi (sostenitori del Papa) e Ghibellini (sostenitori dell’Imperatore). Nel corso del 1300 nella maggior parte delle città italiane il potere passò dalle istituzioni comunali nelle mani dei Signori, che si preoccuparono di riportare ordine in seno al Comune, dando vita alla Signoria cittadina (da non confondere con la Signoria feudale che riguardava il potere del Signore sui feudi di campagna). Sviluppatasi a partire dal conferimento di cariche podestarili o popolari ai capi delle famiglie preminenti (erano gli stessi organismi comunali, esasperati dalle lotte interne, ad affidarvisi spontaneamente), con poteri eccezionali e durata spesso vitalizia, essa in tal modo rispondeva all’esigenza di un governo stabile e forte che ponesse termine all’endemica instabilità istituzionale ed ai violenti conflitti politici e sociali, soprattutto tra magnati e popolari. I signori più forti e ricchi riuscirono quindi a ottenere la facoltà di designare il proprio successore, dando così inizio a dinastie signorili. Un importante momento di rafforzamento di tali Signorie avverrà (più o meno a partire dal XIV secolo) con la legittimazione da parte dell’Imperatore (o di altri poteri sovrani, come il Papa), che arriverà a concedere, spesso dietro forti compensi da parte dei Signori, svariati Titoli, come quelli di Vicario imperiale o di Duca.

La Signoria2 rappresentò un momento fondamentale di transizione verso la formazione dello Stato moderno. Iniziava, infatti, il processo di specializzazione e di accentramento delle varie funzioni del potere: diplomazia, amministrazione burocratica, prelievo fiscale, ecc…. In Italia l’evoluzione dello Stato signorile portò alla formazione dello Stato regionale (per esempio Milano con la Lombardia, Venezia con il Veneto, Firenze con quasi tutta la Toscana). Tale formazione territoriale determinò la nascita di una pluralità di centri di produzione economica, artistica e culturale ma creò una dannosa frammentazione del territorio italiano esponendolo così a future invasioni straniere.

Il Trecento, un secolo oscuro

La Chiesa frattanto è al massimo del proprio potere politico, specie con l’istituzione attorno al 1200 dell’Inquisizione, una serie di tribunali che processava gli eretici. Si registra un balzo notevole anche in ambito economico: alla ricchezza delle proprietà terriere donate da Signori, infatti, va ad aggiungersi una ricchezza di tipo nuovo: il denaro, mediante le decime, una tassa che i laici devono pagare alla chiesa, per non parlare delle elemosine, sempre più in costante aumento. A esse si aggiunse la concessione delle indulgenze a pagamento, che però fece piombare la Chiesa nel precipizio della moralità, discostandosi enormemente dai precetti di Gesù Cristo e dei primi capi cristiani. Sicché il desiderio di rinnovamento favorisce la nascita di nuovi modi di vivere la fede: in tale direzione, sull’esempio di Francesco d’Assisi – fondatore dell’Ordine francescano dei frati minori -, nascono perciò gli ordini religiosi, che, consacrando la loro vita a Dio, si prefiggono un’interpretazione scrupolosa del Vangelo, avulsa dai lussi e dagli eccessi della Corte papale.

Il Papato giunse al culmine della sua potenza nel 1300. Quell’anno il Papa Bonifacio VIII – non certo per spirito religioso (era ateo, come gran parte dei papi e dei cardinali d’allora) ma nel tentativo di ridare splendore alla decadente Roma – indisse il primo Anno Santo, ovvero il Giubileo: chi veniva in pellegrinaggio a Roma sulla tomba di San Pietro avrebbe avuto l’assoluzione dai suoi peccati. Ma Bonifacio perse il prestigio cercando di imporre la sua volontà al Re d’Inghilterra Edoardo I e al Re di Francia Filippo il Bello. I due sovrani, infatti, avevano tassato i beni della Chiesa. Bonifacio allora si ribellò duramente e nel 1302 emanò una Bolla (denominata Unam Sanctam) in cui ribadiva il potere universale del Papato. Per tutta risposta Filippo fece bruciare la Bolla pubblicamente e lo fece arrestare dalle sue truppe: poco dopo il Papa morirà. Per il grande Papato medievale (e del suo potere universale) era la fine. La sede del papato fu quindi trasferita ad Avignone: vi rimarrà dal 1309 al 1377, quando Papa Gregorio XI riporterà la sede papale a Roma; ma alla sua morte, nel 1378, i cardinali francesi si ribellarono all’elezione di Urbano VI, dando vita al cosiddetto scisma d’occidente3: vi saranno, infatti, due Papi, uno a Roma ed uno ad Avignone (riconosciuto solamente dalla Francia, Spagna, Scozia e Napoli). Ciò durerà sino al 1417, quando il Concilio di Costanza eleggerà Martino V.

Frattanto, attorno al 1360, Papa Innocenzo VI aveva indetto una Crociata per rimpossessarsi dei territori dell’Emilia Romagna, Marche, Umbria e Lazio, appartenenti allo Stato della Chiesa, confluite durante la “cattività avignonese” nelle varie Signorie che all’epoca regnavano in Italia. In verità il pulviscolo di signorie formatesi nello Stato pontificio non fu distrutto, ma fu loro imposto il rispetto dell’autorità temporale del Papa, ponendo le premesse per il ritorno del papato in Italia.

A metà del Trecento si abbatté sull’Europa il terribile flagello della Peste Nera. Arrivata dall’estremo Oriente tramite le navi mercantili, tra il 1348 e il 1350 provocherà la morte di un terzo della popolazione europea (già provata da guerre interne, carestie ed epidemie). Le conseguenze della crisi furono evidenti: innumerevoli villaggi furono abbandonati, molte terre tornarono incolte e furono adibite al pascolo. Diminuì la richiesta di prodotti agricoli e tessili (paralizzando il commercio), per un effetto domino dall’entità spaventosa che non risparmiò nemmeno i ceti benestanti. Il malessere verso una situazione divenuta ormai insostenibile fu all’origine di rivolte un po’ in tutta Europa, sia nelle campagne che nelle città, a partire dai ceti più umili che talvolta riuscivano a coinvolgere anche frange più agiate. Dopo il 1350 la peste non scompare dall‟Europa, ma tornerà a colpire ripetutamente, stabilendosi in forma endemica in tutto l‟Occidente per 400 anni, fino al XVIII secolo. L‟ultima grande pestilenza del Mediterraneo sarà quella di Marsiglia del 1720. In era contemporanea vi saranno altre pandemie tristemente famose, seppur di minor gravità, fra cui ricordiamo la “spagnola” (che colpì sul finire della prima guerra mondiale) ed il “Covid-19”, che investì l’intero pianeta nel 2020, causando milioni di vittime.

1 Il Petrarca è il primo intellettuale moderno in quanto fa degli studi di letteratura una professione esclusiva della propria vita. Di fatto questa sua condizione, eccezionale per l’epoca, segna il tramonto dell’intellettuale comune, legato da vincoli politici a una patria municipale o impegnato professionalmente in qualche settore della vita pratica (se non era nobile era mercante, giudice, notaio, ecc.) e perciò dilettante della letteratura, vissuta più che altro come hobby. Petrarca viceversa prospetta il nuovo modello del professionista delle lettere, dell’intellettuale cortigiano che per la fama di cui gode vive del mecenatismo di Corte.

2 In Italia l’avvento delle Signorie portò fra l’altro al tramonto definitivo dei micro-regni altomedievali in cui era suddivisa la Penisola, come ad esempio il Marchesato di Toscana.

3 Nel 1054 vi era stato lo Scisma d’Oriente: ad Occidente avrebbe regnato il Papa, ad Oriente il Patriarca di Costantinopoli.

DECIMA PUNTATA

Sorgono gli Stati moderni.

Nel XIV secolo la figura dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico (ricordiamo che l’Impero era nato nel 962 ed era un’evoluzione del Regno di Germania sorto dopo la disgregazione dell’Impero carolingio)era divenuta solo simbolica, priva di effettivi poteri universali, ed anche il Papato, dopo la fine di Bonifacio VIII, aveva perso buona parte del potere politico. Sicché lo spazio di potere fu riempito dalle monarchie nazionali, che univano sotto il proprio potere territori a carattere nazionale, appunto, che comprendevano genti aventi la stessa lingua, la stessa religione, gli stessi costumi e le stesse tradizioni. Pertanto su ampi territori, come la Francia, l’Inghilterra o la Spagna, s’impose il dominio di un Re e di una dinastia (ossia i suoi discendenti) che esercitavano il potere servendosi di un progredito apparato burocratico e di un esercito permanente in grado di fronteggiare il nemico senza più dover contare sugli aiuti dei Signori (il cui supporto militare si era reso necessario dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente). La loro affermazione fu agevolata fra l’altro dal declino della classe feudale, soppiantata – come abbiamo visto – dalla borghesia.

Nel 1215 la monarchia inglese di Giovanni Senza Terra fu costretta a scendere a patti con la nobiltà e con la borghesia, e così il re dovette concedere la Magna Charta Libertatum – una sorta di prima carta costituzionale della storia – in cui si stabiliva che la libertà personale dei sudditi doveva essere rispettata; che nessun uomo libero poteva essere condannato se non da un tribunale composto da membri di pari grado dell’accusato; che non potevano essere imposti tributi senza l’approvazione del Consiglio Comune del Regno, una sorta di Parlamento. Da queste libertà erano esclusi i contadini ed i ceti più umili. La Magna Carta costituisce ancora un importante simbolo della libertà di oggi, il fondamento della libertà dell’individuo contro l’autorità arbitraria del despota.

Per motivi dinastici nel 1339 scoppierà la famosa Guerra dei 100 anni (1339-1453) combattuta principalmente fra Inghilterra e Francia, che sarà vinta da quest’ultima grazie all’intervento decisivo di una ragazza: Giovanna d’Arco (attuale Santa patrona dello Stato transalpino).

Nello stesso periodo si venne affermando la supremazia dei principi di Mosca, che ampliarono verso l’est asiatico i territori sottoposti alla loro autorità, trasformando il Granducato di Mosca in un Impero. Quindi il principe di Mosca Ivan III detto il Grande (1440-1505) amplierà notevolmente i propri domini, unificando tutte le terre russe. Ivan III pertanto può essere considerato il fondatore dello Stato russo.

Mentre in buona parte d’Europa andavano costituendosi degli Stati unitari, l’Italia rimaneva divisa in una pluralità di signorie, ducati e varie formazioni politiche in perenne lotta fra loro. Fra i domini più importanti si ricordano il Regno di Napoli, la Repubblica di Venezia, il Ducato di Milano e la Repubblica di Firenze.

L’Impero Ottomano soppianta quello Bizantino.

Negli ultimi secoli l’Impero Bizantino, a seguito di varie incursioni dei popoli limitrofi (musulmani e serbi in primis) – che riuscirono a sottrargli ampi territori -, iniziò a dare evidenti segni di declino. A dargli un’altra spallata poderosa contribuiranno i crociati latini. Essi, durante le crociate (di cui abbiamo sommariamente già trattato nei paragrafi precedenti) – che erano state concepite per liberare la Palestina dai musulmani – non si limitarono a combattere la guerra santa, ma si lasceranno andare in azioni belliche che andavano ben oltre le intenzioni bizantine. I Latini, infatti, spinti da motivazioni perlopiù economiche, combatterono anche contro i cristiani (ovvero contro coloro che avrebbero dovuto difendere dagli “infedeli”), conquistando vari territori, sottraendo ad un Impero già notevolmente ridimensionato e “debilitato” ampie regioni, accelerandone il disfacimento totale. A dargli il colpo di grazia vi penseranno quindi i turchi nel 1453 (dopo circa un millennio dalla sua nascita)1. Quello che rimaneva del vecchio e malato Impero Romano d’Oriente fu così inglobato dall’Impero Ottomano (1299-1922).

L’Impero Ottomano fu uno dei più estesi e duraturi imperi della storia: fra il XVI e il XVII secolo, al suo apogeo, sotto il regno di Solimano il Magnifico, esso arrivò ad essere uno dei più potenti Stati del Mondo: un Impero multinazionale e plurilingue si sarebbe esteso per gran parte dell’Asia, buona parte dell’Europa dell’EST e del nord Africa. Avendo Costantinopoli (che gli ottomani ribattezzarono Istanbul) come capitale e un vasto controllo sulle coste del Mediterraneo, l’Impero fu al centro dei rapporti tra Oriente ed Occidente per circa sei secoli. Nella Prima Guerra Mondiale l’Impero, ormai ridimensionato, si alleerà con gli Imperi Centrali e con essi sarà pesantemente sconfitto. Dopodiché sorgeranno diversi Stati indipendenti, fra cui la Turchia.

1 Per diversi secoli l’Impero Bizantino era stato l’emblema della magnificenza culturale ed artistica, ed era stato l’ultima roccaforte della tradizione romana, scongiurando l’oblio della cultura latina. Quindi con il passare dei decenni si era forgiato una propria identità, nella quale confluivano la romanità e l’ellenismo.

L’ETA’ MODERNA

IL RINASCIMENTO

Un progresso scientifico e culturale senza precedenti.

Nel 1453, come già visto, l’Impero Romano d’Oriente (Bizantino), ormai ridotto ad un territorio minimo, cadde nelle mani dei turchi: per questo molti uomini dotti (specie gli ecclesiastici), per sfuggire alla dominazione dei turchi, si rifugiarono in Europa e più massicciamente in Italia. L’irruzione della cultura greca da parte di questi “immigrati” d’alto rango fece fare a tutto il movimento intellettuale un vero salto di qualità in tutti i campi: dalla scienza all’arte. Si registrarono pertanto scoperte incredibili in ogni campo, nella fisica, chimica, astronomia, matematica, ecc… per essere poi applicate con successo nell’idraulica, agricoltura, medicina, e pure in ambito bellico. Si registrò fra l’altro l’invenzione della stampa a caratteri mobili, che consentì di stampare libri in serie e diffondere la cultura come non mai sino ad allora: la Bibbia stampata da J. Gutenberg nel 1455 è considerata il primo libro impresso con il nuovo sistema (nato in Cina tre secoli prima).

Fra gli scienziati che contribuirono a far compiere all’Italia ed al Mondo un balzo in avanti in ambito scientifico non possiamo non menzionare il più grande genio di tutti i tempi, Leonardo da Vinci, pittore, scultore, architetto e scienziato italiano, autore di invenzioni incredibili (soprattutto in ambito ingegneristico e bellico) ed intuizioni fantastiche che in molti casi anticiparono i tempi di secoli (visto che molte sue idee saranno applicate soltanto nel 1900) come quelle che lo portarono a progettare, senza realizzarli, il sottomarino, la bicicletta, l’automobile, l’aereo, per l’epoca fantascienza allo stato puro, ed impossibili da costruire per i precari strumenti e scarse conoscenze che si avevano a disposizione. Leonardo fu celebre anche per gli studi sull’anatomia umana.

All’epoca molti geni ed artisti come lo stesso Leonardo e lo scultore-pittore Michelangelo Buonarroti, furono accolti dalle corti, o persino dai papi e sovrani, mettendosi al loro servizio, magari ricoprendo incarichi politici di prestigio. Fu proprio il mecenatismo nelle corti a favorire ulteriormente il propagarsi della cultura, facendo sbocciare il Rinascimento, come verrà chiamata dagli storici futuri quell’epoca ruotante attorno al XVI secolo, e di cui Firenze fu un’autentica culla.

UNDICESIMA PUNTATA

Le grandi scoperte geografiche

L’affermazione ottomana nel Mediterraneo orientale rese più lento, difficile e costoso commerciare con i paesi dell’EST (come l’India e la Cina). Proprio per questo i paesi europei si misero a cercare un’altra strada che consentisse loro di arrivare in Asia – per acquistare soprattutto spezie, metalli preziosi e tessuti pregiati – senza dover pagare dazio ai turchi. Fu in questo contesto storico che si sarebbero intraprese le prime grandi esplorazioni geografiche via mare.

I grandi viaggi furono organizzati principalmente da Portogallo e Spagna (le cui monarchie erano desiderose di accrescere il loro prestigio) e furono possibili grazie ai progressi della tecnica – che portarono ad esempio all’invenzione delle caravelle (più manovrabili e veloci delle galee, che dovevano essere spinte a remi) – e della cartografia, che permisero di viaggiare in mare aperto e per lunghissimi tragitti, abbandonando la navigazione costiera che prima d’allora la faceva da padrone in ambito marittimo.

Dopo una serie di esplorazioni geografiche (Africa compresa), la fine del ‘400 portò con sé un evento eccezionale che ci avrebbe permesso di allargare i confini: nel ’92 gli europei scoprirono, infatti, l’esistenza di un nuovo mondo, l’America, per merito del genovese Cristoforo Colombo (impresa finanziata dai sovrani spagnoli Isabella e Ferdinando). Egli, in realtà, cercava una via alternativa per sbarcare nelle Indie, e, in base alle errate conoscenze geografiche dell’epoca, credeva di arrivarvi viaggiando in occidente, circumnavigando la Terra, che pensava avesse un diametro inferiore rispetto a quello reale. Quando sbarcò nel continente americano lui si convinse effettivamente di esser sbarcato in Asia, nelle Indie (ecco perché i nativi verranno chiamati indiani d’America), e non immaginò che in realtà il suo viaggio fosse stato… interrotto da una terra “imprevista” (San Salvador) nel bel mezzo dell’oceano, e solo il fiorentino Amerigo Vespucci (primo scopritore dell’Argentina), durante uno dei suoi viaggi, nel 1501, capirà che le terre scoperte da Colombo non erano mai state viste prima del 1492. Fu così, proprio in suo onore, che il nuovo Mondo prenderà il nome di America. Fra i grandi esploratori dell’epoca si segnalarono i portoghesi Vasco da Gama, Pedro Álvares Cabral – probabilmente scopritore del Brasile nel 1500 – e soprattutto Ferdinando Magellano (scopritore del Cile), il primo, nel 1522, a circumnavigare il globo (in realtà la circumnavigazione fu completata dall’italiano Antonio Pigafetta, visto che Magellano era stato ucciso dagli indigeni qualche mese prima che concludesse l’impresa…), dimostrando fra l’altro definitivamente la sfericità della Terra. Il 2 aprile 1513, intanto, il conquistatore spagnolo Juan Ponce de León era sbarcato in una regione che chiamò “La Florida”, per quello che fu il primo contatto europeo documentato su quello che sarebbero poi diventati gli Stati Uniti.

Gli europei esplorando e colonizzando l’America (dapprima a scopo commerciale e poi con insediamenti stabili), conobbero una vegetazione e una fauna sconosciute. Furono quindi importati nel vecchio continente, fra l’altro, la patata, il mais e il pomodoro, rivoluzionando la nostra cucina tradizionale.

Il “genocidio” dei nativi americani

I nativi delle terre d’America erano rimasti isolati dal resto del Mondo per millenni, e vivevano in condizioni primitive e selvagge. Per questo i “conquistadores” europei, col pretesto di civilizzarli (ci fu persino un lungo dibattito se avessero o meno l’anima) e convertirli al cristianesimo (in realtà lo scopo era quello di arricchirsi a dismisura, in primis sfruttando le miniere da cui si estraeva l’argento), li sottomisero con inaudita violenza (la popolazione autoctona era naturalmente impotente innanzi alla superiorità tecnica e militare dell’uomo bianco). Gli indigeni verranno quindi costretti a lavorare come bestie, ben oltre i limiti della sopportazione umana. Così nel giro di pochi decenni il numero dei nativi si ridurrà notevolmente. Ma a dare il colpo di grazia alla loro etnia sarà soprattutto un altro fattore. A partire dal 1492, gli europei che sbarcarono nelle Americhe, infatti, veicolarono involontariamente (specie tramite gli animali da soma) i virus e i batteri di patologie come il vaiolo, l’influenza, la varicella ecc… Queste malattie nei vecchi continenti erano presenti da millenni, per cui le popolazioni di Europa, Asia e Africa avevano sviluppato i relativi anticorpi. Nel Nuovo Mondo invece tali morbi non erano presenti, e le resistenze immunitarie della popolazione indigena non furono sufficienti a neutralizzarne gli effetti mortali. Il risultato fu un genocidio involontario delle civiltà precolombiane (maya, azteca, incas): si stima che circa l’80% della popolazione indigena delle Americhe perì in un periodo di tempo che va dal 1492 al 1550. Sicché, non avendo più lavoratori indigeni da sfruttare, i colonizzatori importeranno schiavi dall’Africa (soprattutto per farli lavorare nelle piantagioni), per una “usanza” che avrebbe caratterizzato vergognosamente l’epoca moderna.

L’Italia ostaggio dello straniero

Per l’Italia però si aprì un periodo di grave decadenza politica. I piccoli Stati italiani, indeboliti dalle continue ed ancestrali congiure fra i Principati, furono ostaggio dello straniero: così s’installarono nella nostra penisola i francesi e gli spagnoli, spartendosi i vari territori. Nel 1527 l’Italia fu teatro di un susseguirsi di eventi la cui pagina più clamorosa e drammatica fu senz’altro la presa della città di Roma da parte dei lanzichenecchi: il cosiddetto Sacco di Roma. Esso fu ideato da Carlo V d’Asburgo – dal ’19 Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico – per vincere la resistenza dei micro regni italiani (che, assieme al papa Clemente VII, avevano costituito la Lega di Cognac, che comprendeva fra l’altro Firenze, Venezia, Milano e Genova) e per vendicarsi del Papa, che non s’era mostrato grato all’appoggio che Carlo gli aveva offerto in passato nella lotta contro i turchi ed i luterani. Il Saccheggio fu di proporzioni apocalittiche: le milizie mercenarie tedesche inviate da Carlo, infatti, in maggioranza luterani, furono spinte nella loro feroce azione non solo dal loro odio verso Roma, che consideravano corrotta e papista, ma anche dal fatto che non ricevevano da mesi la paga: così per una decina di giorni vi furono saccheggi, devastazioni delle immense ricchezze accumulate nei grandi palazzi privati e nelle chiese della Città Santa, omicidi e violenze di ogni genere, senza risparmiare donne e bambini, causando anche numerose epidemie che nei mesi a seguire avrebbero falcidiato la popolazione inerme. Alla luce di cotanta drammaticità, Papa Clemente VII dovette arrendersi e pagare 400.000 ducati per porre fine all’apocalisse. Questi fatti suscitarono moti di sdegno talmente aspri in tutto il mondo civile, da indurre Carlo V a prendere le distanze dai suoi mercenari e a condannarne fermamente l’operato, giustificandosi con il fatto che essi avevano agito senza il controllo del loro comandante che era dovuto rientrare in Germania per motivi di salute. L’evento segnò un momento importante delle lunghe guerre per il predominio in Europa tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Francia, alleato con lo Stato della Chiesa. La devastazione e l’occupazione della città di Roma sembrarono confermare simbolicamente il declino dell’Italia in balia degli eserciti stranieri e l’umiliazione della Chiesa cattolica impegnata a contrastare anche il movimento della Riforma luterana sviluppatosi in Germania.

Nel 1530 Carlo V d’Asburgo, a seguito della pace stipulata col Pontefice, diverrà Re d’Italia. Carlo V abbandonerà il trono imperiale nel 1556, spartendo i territori dell’Impero tra i suoi eredi. Ricordato dagli storici come una delle più importanti figure della storia d’Europa, fu padrone di un impero talmente vasto ed esteso (che comprendeva in Europa i Paesi Bassi, la Spagna e il sud Italia aragonese, i territori austriaci, la Germania e il nord Italia Imperiale, nonché le colonie castigliane e tedesche nelle Americhe), che gli viene tradizionalmente attribuita l’affermazione secondo cui sul suo regno non tramontava mai il sole (gran parte dei suoi possedimenti però li aveva ereditati, sia da parte di padre – Filippo d’Asburgo – che da parte di madre – Giovanna La Pazza -). Durante la sua vita imperiale si era prefisso la costruzione di una unità politica-religiosa in Europa, che avrebbe dovuto prendere il nome di monarchia universale cristiana, ma il suo sogno si era dovuto scontrare con l’espansione di un pluralismo religioso inedito.

DODICESIMA PUNTATA

La Chiesa occidentale si divide fra Cattolica e Protestante

La Chiesa cattolica, frattanto, si era andata sempre più allontanando dai suoi compiti pastorali, per assumere funzioni politiche, con conseguente decadenza dei costumi ecclesiastici. All’interno della Comunità cristiana nacque perciò l’esigenza di una profonda riforma, cui si fece interprete Martin Lutero (1483-1546), un monaco tedesco che, oltre a scandalizzarsi per il degrado della Chiesa Cattolica (in particolare gli suscitò sdegno la vendita delle indulgenze, la cui pratica toccò l’apice nel 1517), contestò gran parte dei princìpi su cui si fondava il cattolicesimo, che a suo parere si discostava non poco dalle Sacre Scritture, che a suo modo di vedere venivano mal interpretate: nasceva la religione Protestante. La dottrina luterana si affermò soprattutto in Germania, nei paesi scandinavi e baltici. Per tutta risposta la Chiesa cattolica, mediante il Concilio di Trento, ribadì con forza i propri principi e condannò gli atteggiamenti troppo politici o mondani. Inoltre, con la Controriforma (1550 circa) si volle porre un freno a tutti coloro che volevano, sulla scia delle idee luterane, mettersi in contrasto con la dottrina cattolica, rafforzando l’Inquisizione (istituendo il Tribunale del Sant’Uffizio), e punendo i trasgressori con pene corporali, che consistevano in torture tremende, sino ad arrivare all’uccisione del malcapitato.

Il Seicento, un secolo interlocutorio

Esauritesi in buona parte d’Europa le dominazioni straniere ed i vari imperi risalenti ad epoche remote, arrivò la cosiddetta era degli Stati Nazionali e delle monarchie assolutistiche, di cui s’ergette ad emblema il Re di Francia Luigi XIV (detto il Re Sole, rimase in carica dal 1643 al 1715), costituendo un modello da imitare in varie parti d’Europa.

Nel 1649, intanto, in Inghilterra il Parlamento decretava la clamorosa condanna a morte (che avverrà tramite decapitazione) del Re Carlo I, accusato di voler accrescere il suo potere in senso assolutistico: era il primo monarca della storia a venire condannato alla pena capitale da un tribunale, attraverso una regolare sentenza emessa in nome della legge, per un evento che avrebbe ispirato futuri movimenti di ribellione verso i poteri assoluti dei Sovrani in tutta Europa, che porteranno più tardi al tramonto delle monarchie assolute.

Sempre in quel periodo l’economia di molti Paesi europei, compresa quella italiana, va in crisi, danneggiata – oltre che dalle continue guerre (spesso a sfondo religioso1) – dalla concorrenza inglese e olandese, nuove potenze economiche di livello planetario che meglio di altre Nazioni sanno “sfruttare” innovazioni concernenti perlopiù l’agricoltura e la scoperta del Nuovo Mondo, per una svolta che alla lunga finirà col danneggiare notevolmente l’imprenditoria italiana, il cui sviluppo, fra l’altro, non fu favorito a causa di una forte presenza di una borghesia oziosa e retrograda, la quale viveva di rendite terriere, senza avvertire l’esigenza d’investire i prodotti della terra in attività mercantili che avrebbero consentito all’economia italiana di reggere il passo dei concorrenti stranieri. La vitalità italiana dei decenni passati era ormai un lontano ricordo.

La crisi demografica, che ebbe i suoi momenti culminanti nelle pestilenze del 1630-’31 (causando oltre 1.100.000 morti su 4 milioni di abitanti: è questa la peste che viene ampiamente descritta da Alessandro Manzoni nel celeberrimo romanzo I promessi sposi) e 1656 – quando perì il 50% della popolazione italiana -, fu tra le altre cause della decadenza economica italiana. Ma fra le ragioni di cotanta recessione pare vi sia stato anche un peggioramento drastico delle condizioni climatiche, che influirono negativamente sulla produzione agricola.

Il Seicento fu però anche un’epoca di grande sviluppo culturale (si moltiplicarono le università, le accademie…), artistico (basti pensare al Barocco…) e di grandi scoperte scientifiche, come quelle che interessarono l’astronomia, e che vide come protagonisti il tedesco Giovanni Keplero e Galileo Galilei, che dimostrarono, fra l’altro, come non fosse il Sole a girare attorno alla Terra ma la Terra attorno al Sole (confermando la teoria del polacco Copernico). Sempre nel Seicento vi furono grandi esplorazioni geografiche, come quella che portò alla scoperta di un nuovo continente: l’Australia (per merito dell’olandese Abel Tasman), che qualche decennio dopo sarebbe stata colonizzata dagli inglesi (l’attuale bandiera australiana ne conferma l’occupazione)…

L’EPOCA DELLE RIVOLUZIONI

La “rivoluzione” illuminista

La cultura del Settecento fu caratterizzata da un movimento filosofico rinnovatore – chiamato Illuminismo – che proponeva una moderna concezione quasi rivoluzionaria della società, basata in primis su princìpi di libertà, equità e uguaglianza. Gli esponenti dell’Illuminismo intesero “illuminare” la mente degli uomini, ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione, servendosi dell’intelligenza, della critica e dell’apporto della scienza. L’Illuminismo volle portare i lumi della ragione in ogni campo dell’attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi e le varie discipline, ma la vita sociale intera, la cultura e le istituzioni, combattendo gli infiniti pregiudizi che impedivano il cammino della civiltà e si opponevano al progresso e alla felicità degli uomini. Gli illuministi combattevano quindi l’assolutismo e l’attaccamento alla tradizione. Fra gli esponenti principali ricordiamo i francesi Montesquieiu, Voltaire, Rousseau e Diderot, l’ideatore dell’Enciclopedia Universale. I contenuti filosofici e scientifici della cultura dei lumi produssero un complesso programma di rinnovamento ideologico, civile, politico, che fu elaborato variamente nei diversi Paesi europei2, accompagnando ovunque la crescente egemonia della borghesia commerciale e industriale in lotta con le strutture del sopravvivente mondo feudale.

1- In primis si ricorda la Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Iniziata come una guerra tra gli stati protestanti e quelli cattolici nel frammentato Sacro Romano Impero, progressivamente si sviluppò in un conflitto più generale che coinvolse la maggior parte delle grandi potenze europee, perdendo sempre di più la connotazione religiosa. La belligeranza ebbe inizio quando il Sacro Romano Impero cercò d’imporre l’uniformità religiosa sui suoi domini. La guerra, caratterizzata da gravissime e ripetute devastazioni di centri abitati e campagne, da uccisioni di massa, da operazioni militari condotte con spietata ferocia da eserciti mercenari spesso protagonisti di saccheggi, oltre che da micidiali epidemie e carestie, fu una catastrofe epocale, in particolare per i territori dell’Europa centrale.

2 – Emblema dei sovrani illuminati fu Federico II di Prussia. La complessa azione di governo del suo Stato si svolse sul piano politico e militare, su quello dell’economia e dell’amministrazione statale ed anche nel campo dello sviluppo delle scienze e delle arti. Il sovrano fu egli stesso un musicista e un intellettuale di stampo illuminista, seppur controverso per alcuni dei suoi atti politici, e ricevette il soprannome di re filosofo. In Italia si segnalò Pietro Leopoldo.

TREDICESIMA PUNTATA

La nascita degli Stati Uniti d’America.

Come abbiamo visto, fra la fine del 1400 e gli inizi del 1500 gli europei (soprattutto spagnoli e portoghesi) avevano iniziato la colonizzazione dei territori dell’America centrale e meridionale, sfruttando le terre dei luoghi e sottomettendo le popolazioni autoctone. Nel 1600 inglesi e francesi (e in maniera marginale anche gli olandesi, che, ad esempio, fondarono New York) iniziarono a stabilirsi nel Nord America, alla ricerca, non solo di scopi economici, ma con l’obiettivo dichiarato di costituire una società civile, libera da ogni forma di diseguaglianza sociale. Col tempo si formarono 13 colonie inglesi. Più tardi le colonie che dipendevano dalla madre patria iniziarono a partorire l’idea di svincolarsi dalla dipendenza dall’Inghilterra, esasperati com’erano dai dazi e dalle limitazioni commerciali cui erano sottoposte. A far precipitare gli eventi vi fu, nel 1764, la decisione del parlamento britannico di approvare una nuova tassa che avrebbe riguardato documenti legali, giornali ed almanacchi. I coloni non erano rappresentati nel parlamento e perciò ritennero illegale la tassa. Nel 1766 il governo britannico, dopo numerose proteste, ritirò la tassa sul bollo, ma ne impose altre, fra cui quella sul tè importato. Nelle colonie esplose il malcontento che li avrebbe portati a guerreggiare contro gli inglesi. Quindi il 4 luglio 1776, mentre il conflitto era in corso, verrà approvata dal Congresso la Dichiarazione d’indipendenza, in cui si esprimeva il rifiuto di sottomettersi alla monarchia inglese (rappresentata allora da Giorgio III) e si affermavano il diritto alla libertà ed altri princìpi fondamentali per l’uomo (come l’uguaglianza), che un giorno sarebbero stati presi ad esempio da tutte le moderne costituzioni. Successivamente il Congresso ordinò la formazione di un nuovo esercito il cui comando fu affidato a George Washington, un ricco proprietario terriero, che aveva già combattuto contro i francesi, dedicandosi poi alla politica in Virginia. Il conflitto venne vinto dai neonati stati americani (che avevano trovato degli alleati validi nella Francia e nella Spagna), ed il 20 gennaio 1783, con la Pace di Parigi, la G. Bretagna riconobbe l’indipendenza delle 13 colonie: nascevano ufficialmente gli Stati Uniti d’America. Passata alla storia come “Rivoluzione Americana”, essa avrebbe ispirato in futuro altre rivoluzioni politiche basate sull’idea di libertà, sia nel continente Americano che in quello Europeo (basti pensare alla Rivoluzione francese).

La Prima Rivoluzione industriale

La Prima Rivoluzione Industriale fu un processo di evoluzione economica e di industrializzazione della società che da sistema agricolo-artigianale-commerciale condusse ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili), il tutto favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di crescita demografica, sviluppo economico e profonde modificazioni socio-culturali. Ebbe inizio in Inghilterra, che all’epoca era uno dei Paesi economicamente e culturalmente più avanzati, per poi diffondersi lentamente nel resto d’Europa.

I simboli della rivoluzione furono due: la macchina a vapore e la locomotiva a vapore. Brevettata da James Watt nel 1775, la macchina a vapore sfruttava l’energia prodotta dalla combustione del carbone, fornendo una costante forza motrice in grado di far funzionare macchinari potenti come i grandi telai meccanici – di conseguenza l’industria tessile avrà un gradissimo sviluppo – ma anche di far viaggiare merci e persone su vagoni trainati da una locomotiva. La locomotiva a vapore, inventata da George Stephenson nel 1814 e utilizzata inizialmente solo per il trasporto del carbone nelle miniere, fu via via perfezionata fino a diventare il perno della rivoluzione dei trasporti: a partire dal 1830 l’Inghilterra fu attraversata da una rete sempre più estesa di strade ferrate, percorse da treni sempre più veloci che collegavano fra loro i principali centri industriali del paese. La nascita delle ferrovie consentì lo sviluppo di un sistema di comunicazioni sicuro, veloce ed economico, che avvicinava notevolmente le persone e le merci, riducendo i costi di trasporto.

Pian piano le città cambiarono volto, iniziando ad assumere le sembianze attuali, per un fenomeno che passerà alla storia come “urbanesimo” e che avrebbe portato gradualmente la maggioranza della popolazione a trasferirsi dalle campagne alle città. L’intervento sempre più sistematico dei pubblici poteri, statali e municipali; lo sviluppo di più ampi apparati burocratici per il governo delle città; la creazione di nuovi corpi di polizia sempre più numerosi e professionali: tutto ciò servì a disciplinare i processi di urbanizzazione e ad attenuarne il carattere spontaneo, talora “selvaggio”.

Ben presto però l’inquinamento atmosferico ed acustico e le condizioni di vita malsane degli operai e di chi viveva nei primi agglomerati industriali avrebbero affiancato il progresso industriale…L’altra faccia della medaglia della prima rivoluzione industriale è molto bene sintetizzata dalla seguente citazione: “Disse l’uomo: e sia la rivoluzione industriale, si moltiplichino le fabbriche e si alzi il fumo delle ciminiere fino a oscurare i cieli di cenere di carbone e di gas di petrolio. E i cieli si annerirono. E l’uomo chiamò i cieli anneriti progresso. E l’uomo vide che il progresso era una bella cosa. E ci fu la luce e le tenebre”. [Quino]

Si registrarono importanti innovazioni anche in ambito agricolo: si costruirono le prime trebbiatrici, un nuovo tipo di aratro triangolare e la seminatrice; ancora più importante si rivelò l’abbandono della rotazione triennale in favore di quella quadriennale.

Frattanto toccavano livelli sublimi le arti della musica (a cui diede un grandissimo impulso l’austriaco W. Amadeus Mozart) e del teatro.

QUATTORDICESIMA PUNTATA

La Rivoluzione Francese.

“La Rivoluzione Francese fu la lotta di una misura di luce contro le tenebre grezze, dello spirito vitalizzante della libertà contro una oppressione da lungo stabilita e di una misura di verità contro vecchi errori e vecchie superstizioni, a lungo incoraggiati e nutriti dai poteri civile ed ecclesiastico per accrescere se stessi e opprimere il popolo”. [Charles Russell]

L’inizio della Rivoluzione

In Francia, il paese guida del movimento illuminista, erano mancate le riforme che altrove, nel corso del ‘700, avevano, seppur timidamente, rinnovato alcuni Stati, come l’Inghilterra. Il Paese, in cui vigeva la monarchia assoluta di Luigi XVI, riversava in condizioni finanziarie gravissime a causa di spese folli per il mantenimento dei lussi di corte e dell’esercito. Le condizioni di gran parte del popolo erano ormai insostenibili, aggravate da esose tasse da cui erano dispensati i ceti ricchi e privilegiati. La soluzione più logica alla crisi sarebbe stata quella di tassare anche loro. Ma di fronte a questa proposta, avanzata dal ministro J. Necker, nobiltà e clero reagirono con forza. Sicché, su pressione del Parlamento di Parigi e dell’opinione pubblica, il Re nel maggio 1789 convocò gli Stati Generali, un’assemblea di nobiltà, clero e Terzo Stato (che comprendeva tutti gli altri ceti rimanenti, ad iniziare dalla piccola e media borghesia), rappresentante la massima forma di consultazione della tradizione francese, che non si riuniva dal 1614. I deputati del Terzo Stato rappresentavano, pensate, il 98% dei francesi, ma non per questo potevano dominare l’Assemblea. Ciò gli era impedito in partenza dalle modalità di voto che avvenivano “per ordine”, vale a dire che ognuno dei 3 “stati” aveva a disposizione 1 voto. Se nobili e clero si accordavano potevano bloccare ogni riforma proposta dal Terzo Stato. Se si fosse votato per testa invece avrebbe trionfato il Terzo Stato che rappresentava come già detto la quasi totalità della popolazione francese.

Nel maggio del 1789 gli Stati Generali si riunirono a Versailles, in una situazione di forte tensione per l’alto prezzo del pane (unico mezzo di sostentamento per gran parte della popolazione) e per la disoccupazione. Dopo un solo mese i deputati del Terzo Stato, in mancanza di un accordo col Re sulle modalità di votazione, si riunirono da soli (separatamente da clero e nobiltà), proclamandosi “Assemblea Nazionale Costituente”, giurando che non si sarebbero separati prima di avere dato una costituzione al Paese. Il Re dal canto suo licenziò Necker e fece radunare a Parigi molti reparti dell’esercito, il cui arrivo destò preoccupazione e malcontento tra i parigini che, sotto la guida di una municipalità composta dai deputati del Terzo Stato, formarono una milizia.

La proclamazione della Monarchia Costituzionale

Il 14 luglio il popolo insorse prendendo d’assalto la Bastiglia (prigione simbolo del potere assoluto del Re) distruggendola e liberando i prigionieri, uccidendo quasi tutte le guardie della guarnigione. Il giorno dopo il Re richiamò Necker e ritirò le truppe da Parigi. Intanto, mentre si formavano altre milizie, dando vita alla Guardia Nazionale (comandata dal marchese La Fayette), nelle campagne i contadini, incitati dagli avvenimenti parigini, presero d’assalto i castelli dei nobili, bruciando le carte che provavano la loro servitù e i diritti di proprietà dei blasonati sulle terre. Allora poco dopo l’Assemblea proclamerà l’abolizione del regime feudale.

Il 26 agosto, sull’onda delle violentissime proteste del popolo, che ormai minacciava persino la reggia di Versailles, venne approvata col beneplacito forzato del Re la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, nella quale venivano enunciati i principi di libertà e democrazia cui si sarebbero ispirati i futuri ordinamenti liberaldemocratici. Nell’ottobre dello stesso anno una marcia di donne si diresse a Versailles, entrò nella reggia e invase gli appartamenti della regina, che fu insultata; la famiglia reale fu dunque indotta con la forza a tornare a Parigi e a lasciare Versailles, simbolo dell’assolutismo regio (da quel momento il re e la sua famiglia risiedettero nel vecchio Palazzo delle Tuileries, sorvegliati dalla popolazione e minacciati dalla sommossa). Luigi XVI fu perciò costretto a firmare i decreti concernenti l’abolizione dei diritti feudali e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Per circa due anni l’Assemblea – nel frattempo trasferitasi anch’essa a Parigi – continuò a lavorare a ritmo serrato (varando importanti riforme che definivano il sistema elettorale, l’organizzazione giudiziaria, la riforma penale, la fiscalità…) finché nel 1791 sarà approvata una nuova Costituzione che aboliva i titoli nobiliari, divideva lo Stato in 83 dipartimenti e, soprattutto, trasformava la Francia da Monarchia assoluta a Monarchia costituzionale (con la divisione dei poteri in giudiziario, legislativo ed esecutivo), per delle riforme che il re – che vedeva limitata di molto la sua autorità – approvò senza entusiasmo.

La proclamazione della Repubblica e la condanna a morte del Re

Mentre crescevano le tensioni politiche (l’assemblea era sempre più divisa in varie fazioni) e sociali, la notte del 20 giugno del 1791, preoccupato dagli eventi, Il Re provò una fuga verso il Belgio, ma fu arrestato a Varennes dalla Guardia Nazionale e riportato a Parigi (dove in pratica sarebbe rimasto prigioniero). La fuga di Luigi XVI rendeva oramai chiara la posizione del sovrano, che, dopo aver accettato la Costituzione, si dimostrava nemico della Nazione, cercando l’appoggio delle potenze straniere per restaurare la monarchia assoluta. Intanto la situazione internazionale era precipitata perché le potenze europee (contrarie alla Rivoluzione, che rischiava di contagiare altri Paesi) minacciavano la Francia d’accordo coi nobili emigrati e segretamente con la corte, che sperava che una Guerra distraesse il popolo dagli intenti di ribellione. Pertanto nell’aprile del 1792 la Francia dichiarò guerra all’Austria ed alla Prussia. Ben presto però arrivarono le prime sconfitte poiché il vecchio esercito regio non esisteva più e si era dovuto allestire in tutta fretta uno nuovo. Mentre prendeva sempre più piede l’idea di un complotto della nobiltà, nell’agosto ’92 il popolo (circa 20.000 dimostranti) attaccò il Palazzo delle Tuileries, dove risiedeva il re, dando luogo ad un violento combattimento armato contro le guardie reali, che dovettero soccombere (al termine degli scontri si contarono circa 350 morti fra gli insorti e circa 800 fra i monarchici, di cui 600 Guardie svizzere e 200 nobili.). Il re perciò si rifugiò nella cinta dell’Assemblea legislativa, ma essa si volse contro di lui, sospendendolo dalle sue funzioni. Luigi XVI, privato dei suoi poteri, venne imprigionato insieme alla sua famiglia, in attesa di essere processato.

Poiché di fatto la costituzione del 1791 era ormai superata, si procedette anche all’elezione di una Convenzione Nazionale (che sostituisse l’Assemblea) per decidere delle nuove istituzioni del paese. Gli eletti furono quasi tutti della borghesia. Un terzo venne dagli operatori nel settore della giustizia. Le elezioni della Convenzione si svolsero in un clima intimidatorio, nel mezzo dei cosiddetti “massacri di settembre” dei nemici veri e presunti della Rivoluzione (ovvero l’esecuzione sommaria di 6.000 detenuti, supposti partigiani del re, stipati nelle carceri parigine). L’entusiasmo rivoluzionario portò all’afflusso di molti volontari e alla prima vittoria francese contro i prussiani (a Valmy) il 20 settembre del 1792, in quella che ormai era diventata una guerra ideologica e patriottica contro il pericolo dell’ancien régime. Lo stesso giorno la Convenzione proclamò la Repubblica

La Convenzione ormai si era sostanzialmente divisa fra Girondini, di posizione moderata, ed i Giacobini, di tendenze estremiste, convinti che la Francia non poteva dirsi libera se il Re non fosse morto. Si procedette quindi alla votazione: la condanna a morte passò con una maggioranza di 387 voti contro 334. Il 21 gennaio 1793 Luigi XVI sarà ghigliottinato (la stessa sorte sarebbe poi toccata alla Regina Maria Antonietta). Poco dopo sarà elaborata una nuova costituzione, che però, a causa della piega imprevista che prenderanno gli eventi, non entrerà mai in vigore.

La dittatura giacobina

Intanto, mentre in Francia di fatto si combatte una sorta di guerra civile, il 2 giugno dei dimostranti irrompono nella sala dell’assemblea: sotto la minaccia delle armi ottengono l’arresto dei girondini e la Convenzione assume ufficialmente i poteri legislativo ed esecutivo, provvedendo subito alla nomina di un governo rivoluzionario d’emergenza chiamato Comitato di salute pubblica, la cui guida è presa dagli estremisti giacobini (che godono dell’appoggio popolare). Il loro leader indiscusso è Maximilien de Robespierre, che per far fronte al caos in cui era precipitata la Francia dà vita alla politica del Terrore, eliminando fisicamente decine di migliaia di oppositori o chi fosse sospettato di esserlo. Viene altresì abolito il Cristianesimo: un numero elevato di membri del clero viene condannato a morte, numerosi beni della Chiesa vengono requisiti…

In ambito estero, intanto, l’esercito francese (rinfoltito dalle leva obbligatoria) riporta importanti successi (alla Prussia e all’Austria si erano unite, frattanto, altre potenze, come Inghilterra, Olanda, Spagna ed alcuni stati italiani).

L’epilogo

La dittatura di Robespierre ed il Terrore potevano reggersi solo sulla necessità di difendere una Repubblica in crisi: venuta meno l’emergenza e perciò le loro ragion d’essere (grazie alle vittorie interne ed esterne), essi cominciavano a perdere il sostegno politico e lo stesso consenso popolare. Quando il 26 luglio ’94 Robespierre minacciò una nuova epurazione, anche contro certi deputati che maldestramente non nominò, fece serpeggiare il panico tra le file dell’Assemblea, che accusò Robespierre di essere un tiranno. Poco dopo sarà quindi arrestato e successivamente ghigliottinato (28 luglio) insieme ad altri capi giacobini: l’epoca del Terrore1 era finalmente terminata (per alcuni mesi al terrore rivoluzionario si sostituirà però il terrore controrivoluzionario, chiamato “terrore bianco”, facendo precipitare il Paese nel caos). La nuova Costituzione fu votata dalla Convenzione (facente capo a P. Barras) il 17 agosto 1795 e ratificata per plebiscito a settembre. Essa fu effettiva a partire dal 26 settembre dello stesso anno e fondò il nuovo regime del Direttorio (composta da 5 membri), a cui sarebbe spettato solamente il potere esecutivo. La Convenzione fu sostituita da 2 camere elettive..

La Rivoluzione Francese aveva posto le basi per una società finalmente più giusta, anche se in verità bisognerà attendere molto tempo prima di veder trionfare la vera democrazia in quasi tutta l’Europa, che dovrà uscire persino da dittature sanguinarie, come quella che in Germania instaurerà Hitler negli anni Trenta del Novecento.

1 Durante il Terrore erano state ghigliottinate circa 17.000 persone, 25.000 subirono esecuzioni sommarie, 500.000 vennero imprigionate e 300.000 furono poste agli arresti domiciliari…

QUINDICESIMA PUNTATA

L’Impero di Napoleone Bonaparte

“Se Napoleone era un tiranno, i sovrani che gli facevano guerra erano molto più tiranni e incapaci di lui. Di fronte a loro egli era un genio, un progressista, un uomo che aveva fatto camminare il mondo in avanti, mentre essi non avevano altra volontà che quella di farlo tornare indietro”. [Carlo Zaghi]

Nella Francia uscita dalla dittatura giacobina emerge un intraprendente generale, Napoleone Bonaparte. In breve tempo brucia le tappe della carriera militare e politica, per poi prendere il potere con un colpo di stato (novembre 1799), chiudendo l’epoca della Rivoluzione Francese – ed i suoi risvolti negativi -, restaurando di fatto la Monarchia. Quindi nel 1804 diventa Imperatore, concentrando su di sé ogni autorità e trasformando la Francia in un grande Impero (noto come Primo Impero Francese) comprendente buona parte d’Europa (inclusa l’Italia, la Spagna, la Svizzera, il Benelux, la Germania – ponendo fine al Sacro Romano Impero, noto anche come Primo Reich -, parte dell’attuale Polonia…), esportando gli ideali di rinnovamento sociale che s’ispiravano alla Rivoluzione Francese. Quindi, dopo aver accentrato tutto il potere nelle sue mani, si dedica ad ammodernare sotto vari aspetti i Paesi conquistati – compresa l’Italia, che prima della sua venuta versava in condizioni di endemica arretratezza (specie al Sud ed in Sicilia) -, mediante riforme concernenti l’amministrazione statale, l’ambito giudiziario (darà vita ad esempio al Codice Civile ed al Codice Penale), scolastico, eccetera, migliorandone notevolmente le infrastrutture (costruendo strade, ponti, porti…). Considerato una sorta di precursore del Welfare State (non mancarono, infatti, riforme assistenziali in ambito sociale), Napoleone, dopo tante battaglie e guerre vinte in maniera leggendaria1(è ritenuto dalla maggior parte degli storici il più grande stratega della storia), verrà però piegato nel ‘13 da una disastrosa impresa in territorio russo. Dopo questa debacle, infatti, molti Stati europei si riorganizzarono coalizzandosi tra loro, sconfiggendolo a Lipsia. Napoleone verrà quindi esiliato nell’isola d’Elba, da cui però fuggirà alcuni mesi dopo, per tornare a guidare l’esercito per 100 giorni, sino alla sconfitta definitiva (il 18 giugno del 1815) di Waterloo (in Belgio) ad opera di inglesi e prussiani. Napoleone verrà nuovamente esiliato, stavolta a Sant’Elena (una piccola isola sperduta nell’oceano Atlantico), dove morirà 6 anni dopo. Le potenze che batterono il mitico Bonaparte avviarono subito trattative per ricostituire l’ordine europeo (in Francia salirà al trono Luigi XVIII, il fratello minore del re Luigi XVI ghigliottinato durante la Rivoluzione francese). Il nuovo assetto del vecchio continente fu deciso in un Congresso, a Vienna, che assicurerà un secolo di relativa pace.

1 In primis si ricorda la Battaglia di Austerliz combattuta contro gli austriaci ed i russi uniti in una coalizione. La battaglia di Austerlitz rappresenta il più grande successo raggiunto da Napoleone nella sua carriera militare e ha assunto una statura quasi mitica nell’epopea napoleonica. Grazie alla precisa esecuzione dell’audace ma ingegnoso piano dell’imperatore, i francesi conseguirono una vittoria schiacciante, e la battaglia è spesso celebrata come il capolavoro di Napoleone per l’abilità di cui egli diede prova e, per i risultati raggiunti, è stata paragonata alla Battaglia di Canne, il famoso trionfo di Annibale.Dalla Restaurazione alla “Primavera dei popoli”Dopo la fine dell’Impero napoleonico, l’Europa, come vi abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, si riunì a Vienna per un Congresso, passato alla storia come “Il Congresso di Vienna”. Tale congresso tenutasi nell’omonima città (allora capitale dell’Impero austriaco) dal 1° ottobre 1814 al 9 giugno 1815, al quale parteciparono le principali potenze europee, ebbe lo scopo di ridisegnare la carta dell’Europa e ripristinare l’“Ancien régime”dopo gli sconvolgimenti apportati dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Si volle perciò riassegnare il trono ai legittimi sovrani dei loro Stati 1. Fu anche sottoscritta la Dichiarazione contro la tratta dei negri. L’epoca che si aprì dopo il Congresso di Vienna fu chiamata Restaurazione, in quanto vennero ripristinati gli assetti politici presenti prima della Rivoluzione francese.2 I monarchi dei vari Stati europei commisero però l’errore di non voler conciliare le ideologie presenti con quelle passate, imponendosi prepotentemente sui governi di tutta Europa in modo assolutistico (o quasi), senza tenere conto delle nuove idee di nazionalità, liberalismo e democrazia che, la Rivoluzione francese prima e Napoleone poi, a volte inconsciamente, avevano insinuato nelle menti dei popoli. In sintesi, l’Europa era ideologicamente cambiata dall’avvento di Napoleone, ma i sovrani del tempo sembrarono non voler tener in conto questo fatto, fingendo che 26 anni di storia (1789-1815) non fossero mai esistiti. Sicché fra il 1815 ed il 1848, in Europa, in nome della libertà e del valore di Patria (da cui nascerà il termine “patriottismo”), nonché per interessi economici dei ceti emergenti, cominciano a diffondersi movimenti (spesso sotto forma di società segrete o sette) volti ad opporsi ai regimi ripristinati. Fra gli avversari della Restaurazione vi sono: i borghesi che avevano fatto parte delle strutture statali napoleoniche, e che dopo la Restaurazione erano stati sostituiti da notabili fedeli al sovrano o persino licenziati; quegli intellettuali e quegli idealisti che, rifacendosi alla cultura illuminista, auspicavano profonde riforme liberali; la borghesia industriale che si sentiva minacciata dalla ripresa della vecchia borghesia agraria. L’impatto memorabile di tali proteste – che hanno indotto gli storici a parlare di “Primavera dei popoli” – fu così profondo e violento che nel linguaggio corrente è entrata in uso l’espressione «fare un quarantotto» per sottintendere una improvvisa confusione, o scompiglio. Gli storici concordano che la “Primavera dei popoli” fu nel breve periodo un sanguinoso fallimento (se si eccettua la concessione dello Statuto Albertino nel Regno di Sardegna da parte di Carlo Alberto di Savoia, l’unica costituzione non revocata di quelle concesse o votate nel 1848-49). Tuttavia essa aveva posto le basi per un futuro prossimo in cui per i regimi assolutistici non ci sarebbe stato più posto, arrivando un giorno ai moderni sistemi liberal-democratici.Prima ancora che in Europa, i movimenti e le rivoluzioni nazionalistiche erano esplosi però nell’America latina, dove rivolte sanguinose (appoggiate dagli USA) ponevano fine alla dominazione coloniale spagnola e portoghese, portando alla nascita di grandi Stati come l’Argentina e il Brasile.Più o meno nello stesso periodo (1840), nel Nord America nasceva, per opera del governo della Gran Bretagna, lo Stato del Canada 3 (subordinato al governo britannico); nel 1926, alla Conferenza di Londra, il Canada otterrà il riconoscimento di una sovranità praticamente completa e tale status sarà formalizzato nel ’31.

1 Per quanto concerne l’Italia: vennero uniti Piemonte, Genova e Nizza, che assieme alla Sardegna andarono a creare lo Stato di Savoia, mentre Lombardia, Veneto, Istria e Dalmazia andarono all’Austria; si ricostituirono i Ducati di Parma, Modena, lo Stato della Chiesa (comprendente Lazio, Umbria, Marche e parte della Romagna), e il Regno di Napoli tornò ai Borboni.
2 L’Austria si pose come garante dell’equilibrio europeo restaurato, scongiurando rivolte liberali e nazionali anche con l’intervento militare (come ad esempio avverrà più volte in Italia).
3 Come abbiamo visto nel paragrafo dedicato alla nascita degli Stati Uniti d’America, nel Seicento inglesi e francesi iniziarono la colonizzazione dell’America settentrionale. Gli inglesi si stabilirono nel territorio dei futuri Stati Uniti d’America, invece i francesi si stanziarono nel territorio equivalente all’attuale Canada, che nel 1663 diverrà colonia della Francia. Ma la colonia fu ben presto insidiata dalla Gran Bretagna, per poi essere perduta dai francesi nel 1763. Nel 1814 il Canada inglese avrebbe respinto un’offensiva dei neonati USA.

SEDICESIMA PUNTATA

Il Risorgimento italiano

“Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta! Uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore.” [Goffredo Mameli]

  • I fermenti rivoluzionari

Nel paragrafo precedente abbiamo accennato ai moti rivoluzionari che infiammarono l’Europa nella prima metà dell’Ottocento. In proposito vediamo cosa successe in Italia. Negli anni ’30 dell’800 iniziarono a diffondersi svariate idee liberali, patriottiche ed indipendentistiche, fra cui spiccarono quelle di un democratico genovese – Giuseppe Mazzini – che mirava a costruire uno Stato repubblicano, unitario e indipendente. Egli mentre si trovava in esilio a Marsiglia (Francia) diede vita alla Giovine Italia, una organizzazione politica patriottica che intendeva porsi alla guida di una profonda trasformazione della società italiana. A differenza delle società clandestine sorte negli anni ’20 (come la Carboneria), la Giovine Italia scelse di diffondere il proprio programma, in modo da conquistare il maggior numero di adepti. Nei primi anni ’30 i sostenitori di Mazzini – perlopiù intellettuali – diedero vita a varie insurrezioni che però falliranno, dimostrando come le forze rivoluzionarie italiane fossero piene di limiti. In proposito credo sia opportuno citare quanto ebbe a dire il celebre giornalista Indro Montanelli. “Gli intellettuali che salirono sulle forche e popolarono le galere parlavano fra di loro come dentro le mura di un’Accademia. Un’opera di apostolato popolare [diretta alle masse] non la svolsero in quanto non ne avevano il linguaggio. Quanto al popolo, esso era un agglomerato di analfabeti insensibili a qualunque sollecitazione ideologica (a proposito del livello culturale del Paese, basti pensare che l’”Antologia”, la rivista di gran lunga più autorevole d’Italia, non superava mai le 750 copie !?). Per questo tutta la loro vita non sarà che un seguito di tragiche delusioni e così il Risorgimento rimarrà a lungo un fatto di élite,incapace di tradursi in rivoluzione popolare”…L’importanza di Mazzini nella storia italiana dell’Ottocento non va cercata però nei tentativi rivoluzionari falliti quanto nel suo costante impegno a favore dell’associazionismo, che costituì il primo passo verso l’organizzazione e la presa di coscienza politica da parte degli strati popolari. Le teorie mazziniane si sarebbero rivelate di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l’affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.Ricordiamo che l’Italia dell’epoca era divisa in tanti staterelli “arcaici” tutt’altro che liberali. Gli austriaci (che avevano fatto la loro comparsa in Italia nei primi anni del Settecento) dominavano il Trentino e il Regno Lombardo Veneto. Poi vi erano il Regno di Sardegna (che molti storici chiamano semplicemente Piemonte o Regno sabaudo) governato dalla dinastia Savoia (che inglobava Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Sardegna), quindi il Ducato di Parma, il D. di Modena, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa (il più retrivo, che comprendeva il Lazio, Umbria, Marche e parte della Romagna) e dulcis in fundo il Regno delle due Sicilie (ex Regno di Napoli) dei Borboni spagnoli (includente a sua volta Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e naturalmente Sicilia).

  • La Prima Guerra d’Indipendenza

Nel 1848 l’onda di protesta popolare che si espandeva in Europa indusse il Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia a concedere una costituzione – il succitato Statuto Albertino – che ne limitasse i poteri ed assecondasse le elementari istanze liberali del popolo (lo Statuto Albertino diverrà, molti anni dopo, la costituzione dell’Italia unita, e rimarrà in vigore quasi cent’anni, sino al 1947). A Milano, intanto, intellettuali e borghesi, affiancati da ampi strati della popolazione, liberarono la città dopo cinque giornate di battaglie (le cosiddette Cinque giornate di Milano), costringendo le truppe austriache del Lombardo-Veneto a ritirarsi nelle fortezze del cosiddetto quadrilatero (Mantova, Peschiera, Verona e Legnago). Questi due eventi (la concessione dello Statuto Albertino e le Cinque giornate, appunto) furono presi da monito dai patrioti di altre città (come Roma), che iniziarono a credere seriamente nella possibilità di veder finalmente realizzare le proprie aspirazioni, salvo rimanere tremendamente delusi. Fra i patrioti più celebri si ricordano Carlo Cattaneo, Carlo Pisacane e Goffredo Mameli, che compose le parole dell’Inno d’Italia. Stimolato dalle sollevazioni popolari e dalla prospettiva di allargare i domini (annettendo ad esempio Milano e Venezia che si erano liberate dagli austriaci), il 23 marzo ’48 Carlo Alberto dichiarò, assieme ad altri Stati italiani (che non volevano scontentare le spinte patriottiche dei loro domini), guerra agli austriaci: era la Prima Guerra d’Indipendenza. Essa terminava però un anno dopo con una bruciante sconfitta (Milano e Venezia tornavano in mano austriaca), anche per il ritiro di molte truppe alleate (che probabilmente temevano un ingrandimento eccessivo del Regno di Sardegna): ciò era la dimostrazione che per vincere occorrevano alleanze con Stati potenti. Carlo Alberto intanto abdicava in favore del figlio Vittorio Emanale II. Frattanto, grazie al lavoro di un abile uomo politico, Cavour, che poi diverrà Presidente del Consiglio (1852), il Regno di Sardegna diventa in pochi anni uno Stato moderno, liberale (dotato di un sistema parlamentare) ed economicamente sviluppato, in grado di guidare l’Italia verso l’Unità. Nel 1858 viene stipulato un accordo segreto fra Cavour e l’Imperatore francese Napoleone III (nipote di Napoleone Bonaparte): quest’intesa prevedeva una guerra comune contro l’Austria e stabiliva, in caso di vittoria, il passaggio del Lombardo-Veneto a Vittorio Emanuele II, che in cambio avrebbe ceduto la città di Nizza e la regione della Savoia a Napoleone III. Era però un accordo difensivo e sarebbe scattato solo in caso di aggressione dell’Austria al Regno di Sardegna.

  • La Seconda Guerra d’Indipendenza e la nascita del Regno d’Italia

Cavour allora fece di tutto per provocare l’Austria. In poche settimane un cospicuo contingente militare formato da soldati del regno Regno di Sardegna si schierò lungo le rive del Ticino. All’ultimatum austriaco che imponeva di disarmare l’esercito, Vittorio Emanuele rispose con un netto rifiuto e l’Austria il 27 aprile ‘59 dichiarò guerra al Regno di Sardegna. Iniziava la Seconda Guerra d’Indipendenza1. Pochi mesi dopo, l’11 luglio, nonostante il vantaggio acquisito – in virtù di diverse battaglie vinte (in primis a Magenta ed a Solferino) -, Napoleone III, per la minaccia di un allargamento del conflitto (si temeva l’intervento della Prussia a favore dell’Austria) e per le dure prove subite dal suo stesso esercito (che ebbero una vasta eco negativa nell’opinione pubblica francese), chiese ed ottenne l’armistizio (noto come Armistizio di Villafranca), che prevedeva la cessione da parte dell’Austria della sola Lombardia (senza Veneto), suscitando il vivo disappunto di Cavour. Intanto, sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalla guerra, nei Ducati di Modena, Parma, Toscana e nella Romagna pontificia la popolazione era insorta, aveva cacciato i governanti ed aveva costituito governi provvisori, decidendo l’annessione al Regno di Sardegna, ufficializzata da successivi plebisciti. Il nuovo regno risultava così formato da Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Sardegna (che costituivano l’originario Regno di Sardegna), Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. Il 5 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi alla guida di un migliaio di volontari (1162) partì via mare da Genova diretto verso la Sicilia, con l’obiettivo di liberare l’isola dai borboni. Con i suoi mille volontari (che via via sarebbero però cresciuti di numero, sino ad arrivare a 50.000), Garibaldi sbarcò a Marsala, e contro ogni previsione riuscì a battere l’esercito borbonico a Calatafimi. Da qui raggiunse Palermo e proseguì verso oriente, puntando in direzione della Calabria, senza che l’esercito borbonico, ormai in via di disgregazione, fosse in grado di opporgli un’efficace opposizione. Contemporaneamente le truppe regie, che temevano che Garibaldi potesse invadere lo Stato Pontificio, scatenando la reazione di Napoleone III, discesero da nord e dopo aver superato le flebili resistenze delle truppe pontificie riuscirono ad unificare gran parte della penisola (mancavano ancora Veneto e Friuli, Lazio, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia) con lo storico incontro di Taverna della Catena (odierna Campania) tra il Re Vittorio Emanuele II e il Generale Garibaldi: era il 26 ottobre 1860.Dopo i plebisciti di “rito”, il 17 marzo 1861 il parlamento sardo decise allora di proclamare il Regno d’Italia (una sorta di estensione del Regno di Sardegna; la capitale fu provvisoriamente Torino), consegnando la corona a Vittorio Emanuele II, che diventava Re con la formula “per grazia di Dio e per la volontà della Nazione”. Quindi i governanti del nuovo Stato approvarono una legislazione unica prendendo come modello il Regno di Sardegna. Poco dopo, nel giugno del 1861 Cavour morirà a soli 51 anni (gli succederà B. Ricasoli).

  • I problemi del Nuovo Stato

I governanti di Destra del nuovo Stato si trovano alle prese con diversi gravi problemi da risolvere. Fra le questioni principali cui si deve far fronte vi è l’endemica arretratezza e miseria in cui vive gran parte della popolazione italiana (che superava di poco i 25 milioni e di questi oltre il 75% era analfabeta), specie nel mezzogiorno (dove fra l’altro emerge il fenomeno mafioso, in principio una sorta di brigantaggio, che esploderà in tutta la sua forza distruttiva solamente nel Secondo Dopoguerra). Occorre inoltre ”unificare” le numerose culture, abitudini di vita, tradizioni, persino lingue (gli abitanti parlavano perlopiù i dialetti di paese) profondamente diverse, e moltissimi italiani si mostrano restii a perdere queste identità locali. Per la maggior parte di loro lo stato unitario rappresentava un’entità astratta, priva di un riscontro reale positivo nella vita di tutti i giorni. Ma c’è di più: l’unificazione del Regno per molti fu assolutamente negativa, visto che ad esempio coincise con il malvisto obbligo di andare a scuola (introdotto dallo Stato per combattere l’ignoranza); con l’imposizione della leva militare (da cui i cittadini saranno dispensati solamente nel 2005) e con l’introduzione di nuove tasse – come quella che “bersagliava” il macinato – necessarie per risanare il bilancio di uno Stato in grave deficit (che di certo non migliorerà il tenore di vita, già piuttosto basso, della popolazione italiana). Ciò favorirà un profondo astio nei confronti del neonato Governo, che verrà visto dai più come un despota, o nella migliore delle ipotesi come una fastidiosa incombenza, suscitando sentimenti ben lontano dai propositi romantici che avevano dato il là alle operazioni belliche di matrice patriottica.

  • Dalla Terza Guerra d’Indipendenza alla Presa di Roma: l’Italia è totalmente unita

Fra il 1866 e il 1870, con l’annessione del Veneto e del Lazio viene completata l’unificazione territoriale italiana. L’occasione del completamento venne fornita dalla guerra Austro-Prussiana. Dopo il 1848, infatti, la Prussia di Re Guglielmo I e del cancelliere Bismarck si era posta alla guida del processo di unificazione nazionale degli stati tedeschi 2, e per questo motivo i suoi interessi erano entrati in conflitto con quelli dell’Austria. I prussiani allora chiesero l’aiuto dell’Italia. A questo punto, trovatasi in minoranza, l’Austria soccombette ai prussiani (quindi nascerà l’Impero Austro-Ungarico, in base ad un accordo con la quale l’Ungheria otteneva una condizione di parità con l’Austria all’interno della monarchia asburgica 3), e gli italiani, pur perdendo quasi tutte le proprie battaglie (compresa quella navale di Lissa, palesando tutta la propria inadeguatezza tattica), il 26 luglio ’66 ottennero il Veneto (ed alcuni territori limitrofi) per…gentile concessione della Prussia, unica vera vincitrice della guerra.Nel 1870, a seguito della guerra franco-prussiana (che avrebbe permesso alla Prussia di completare il processo d’unificazione, portando alla nascita del cosiddetto Secondo Reich di Nazione germanica), crollò l’Impero di Napoleone III 4. Così il Papa perse il suo grande protettore. L’Italia allora ne approfittò per acquisire con la forza anche i rimanenti territori pontifici (ovvero il Lazio, alla cui conquista Napoleone si era sempre opposto). Roma il 3 febbraio 1871 diverrà la nuova e definitiva capitale d’Italia, in luogo di Firenze (che lo era diventata nel ’64). Così lo Stato Pontificio (752-1870), su cui all’epoca regnava Pio IX (di fatto l’ultimo papa re – in quanto detentore del potere temporale – della storia), cessava di esistere. 5

1 La Seconda Guerra avrebbe visto contrapposti Regno di Sardegna (in cui entra in scena il Generale G. Garibaldi) e Francia contro l’Austria; ne sarebbero rimasti esclusi gli altri Stati italiani. Il successo italiano sarà opera in grandissima parte del contributo francese.
2 Attorno al tredicesimo secolo, infatti, la Germania si era trasformata in un complesso mosaico di territori e di poteri, col potere imperiale che sarebbe via via diventato sempre più flebile. Il frazionamento tedesco nei secoli successivi avrebbe subito un ulteriore aggravamento…Nel Cinquecento, Carlo V si troverà di fronte un complesso di stati territoriali governati da dinastie principesche di fatto indipendenti. Quindi Lutero, con la Riforma protestante, contribuirà ad una ulteriore frammentazione del mondo tedesco. Dopo la “guerra dei 30 anni”, nel Seicento, la Germania risultava divisa in 350 Stati sovrani nominalmente sottoposti all’imperatore. Dove varie riorganizzazioni, e la fine del Sacro Romano Impero Germanico (che di fatto si era ridotto ad una entità astratta), il Congresso di Vienna organizzerà la Germania in una confederazione di 39 Stati dipendente dall’Impero austriaco. Nel 1871 Bismarck, dopo aver sottratto i territori tedeschi in mano ad austriaci e francesi (e non solo), avrebbe dato vita al Secondo Reich. La nuova compagine politica però rimaneva una confederazione composta da diversi Stati, ciascuno dei quali avrebbe goduto di una grande autonomia.
3 Comprendeva, nella sua massima espansione, i seguenti Stati attuali: Austria, Ungheria, R. Ceca, Slovacchia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, parte della Serbia, parte dell’Italia, del Montenegro, della Romania, della Polonia e dell’Ucraina.
4 Noto come Secondo Impero Francese.
5 Lo Stato italiano emanava nel contempo la Legge delle guarentigie, con cui, fra l’altro, si garantivano al Papa l’inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio servizio guardie armate a difesa dei palazzi vaticani, Laterano, Cancelleria e Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Pio IX, che si era chiuso nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero politico, considerò le norme un atto unilaterale dello Stato italiano e pertanto lo dichiarò inaccettabile. Il 15 maggio 1871, ovvero due giorni dopo l’approvazione della legge, il pontefice emanò l’enciclica “Ubi nos“, con la quale veniva ribadito che il potere spirituale non poteva essere considerato disgiuntamente da quello temporale. La questione romana verrà risolta solamente durante la dittatura Fascista. Nel 1929, infatti, con la firma dei Patti Lateranensi, previo concordato Italia-Santa Sede, verrà creato lo Stato della Città del Vaticano, restituendo una, seppur minima, sovranità territoriale alla Santa Sede.

DICIASSETTESIMA PUNTATA

ERA CONTEMPORANEA

Ed eccoci giunti all’età contemporanea, che noi vogliamo far iniziare dopo l’Unità d’Italia, nel bel mezzo della Seconda Rivoluzione Industriale, la quale dal 1870 cambiò letteralmente la vita di gran parte della popolazione Mondiale. All’apice di questo progresso straordinario vi saranno però due spaventose guerre e governi dittatoriali che avrebbero segnato la società. Quindi dal ’45 in poi, almeno nell’Europa occidentale e negli USA, prevarrànno le idee della libertà e dell’uguaglianza, che sino ad oggi caratterizzano la società.

DALLA BELLA EPOQUE ALL’APOCALISSE

La Belle Epoque tra la Seconda Rivoluzione Industriale e l’avvento dello Stato di diritto

Fra il 1870 ed il 1914 l’Europa fu teatro di un grande progresso civile, l’arena di un impetuoso sviluppo economico e sociale nonché d’una elaborazione culturale profondamente originale ed avanzata. Le trasformazioni investirono ogni aspetto dei Paesi più avanzati, rivoluzionando strutture arcaiche ed immobili da secoli, sconvolgendo la società tradizionale. Ma esaminiamo più in dettaglio codesto periodo storico.

Dal ’70 scoperte scientifiche straordinarie e lo sfruttamento di nuove fonti energetiche (come il petrolio) messe al servizio della tecnica, permisero uno straordinario sviluppo delle industrie e conseguentemente una nuova rivoluzione industriale attraversò l’intera Europa1, trasfigurando profondamente l’economia e gli stili di vita delle masse di tutti gli Stati, sino ad allora basati prevalentemente su un sistema agricolo-artigianale.

Nel 1913 lo statunitense Henry Ford (ispirandosi alle teorie dell’americano Frederick Taylor) introdusse nella sua azienda la catena di montaggio e il nastro trasportatore, che avrebbero permesso le fabbricazioni in serie, facendo letteralmente volare la produzione industriale, abbassando i costi dei prodotti, che così poterono essere acquistati in massa anche dai non ricchi.

Furono ulteriormente rivoluzionati i Trasporti, grazie all’invenzione del motore a scoppio, che avrebbe permesso a sua volta l’invenzione dell’automobile2, destinata (anche grazie all’invenzione dei pneumatici da parte dell’americano Charles Goodyear) a soppiantare la carrozza ed il cavallo. Un ruolo vitale nei trasporti lo svolgerà altresì il rinnovato sistema navale che, grazie allo sviluppo della metallurgia e all’introduzione dell’elica, assistette alla costruzione dei primi scafi in ferro e successivamente in acciaio, che avrebbero permesso la costruzione dei robustissimi transatlantici a vapore (la vela sarebbe presto diventata un lontano ricordo), favorendo fra l’altro l’emigrazione in massa degli europei (italiani compresi), soprattutto negli Stati Uniti, al fine di sbarcare il lunario. Per i trasporti marittimi si rivelò di enorme importanza la costruzione di canali artificiali, come nel 1869 quello di Suez che in poco tempo determinò lo spostamento dei traffici (tra l’Atlantico settentrionale e l’oceano Indiano) dalla rotta del Capo di Buona Speranza a quella, molto più breve, del Mediterraneo e del Mar Rosso, ripristinando così l’importanza della navigazione nel bacino Mediterraneo come tramite tra l’Occidente e l’Oriente (il canale divenne importantissimo soprattutto in relazione al petrolio e quindi per i commerci con l’Arabia e l’Iran: passare da Istanbul avrebbe allungato il percorso).

Nel primo decennio del Novecento (1903) si registrò addirittura l’invenzione dell’aeroplano3: il sogno, l’utopia di volare che l’uomo cullava sin dalla notte dei tempi, si era realizzato! Parallelamente ai trasporti, anche le comunicazioni si fecero più veloci e intense. La scoperta dell’elettromagnetismo con l‘invenzione del telegrafo (per merito dei fratelli francesi Claude ed Ignazio Chappe) prima e del telefono (ideato dall’italiano Meucci ma brevettato dal britannico Alexander Graham Bell) poi, permisero le prime comunicazioni intercontinentali.

Sempre in quegli anni iniziò l’impiego su larga scala dell’elettricità (grazie al contributo di numerosi scienziati, fra cui lo statunitense Thomas Edison), che avrebbe influito tantissimo sullo sviluppo industriale e si sarebbe prestata a svariati ed infiniti usi domestici, dall’illuminazione al riscaldamento, sino ad arrivare ai giorni nostri, con lo sviluppo degli elettrodomestici (frigoriferi, scaldabagni, televisori), che nel Novecento giocheranno un ruolo fondamentale nella modernizzazione delle abitazioni. Un’ulteriore spinta al processo di diffusione dell’elettricità si avrà con l’invenzione della corrente alternata, che permetterà il trasporto dell’energia elettrica su lunghe distanze (al contrario della corrente continua che non poteva essere trasmessa per più di 3 km).

Si registrò l’’adozione su larga scala dell’acciaio (lega di ferro e carbonio), che permise la costruzione di edifici più solidi strutturalmente (sostituendo ferro e ghisa); l’acciaio permise nuove soluzioni nel campo della meccanica e l’utilizzo del cemento armato in quello delle costruzioni.

Si registrarono importanti innovazioni anche in ambito agricolo. Anche il sistema finanziario, che era alla base dello sviluppo industriale, andò modificandosi: fabbriche e capitali si concentravano nelle mani di poche grandi società a danno delle aziende più piccole e più deboli dando così origine ai primi monopoli.

Grandi scoperte si registrarono anche nella Medicina: le fondamentali scoperte di Louis Pasteur (francese), Gerhard Henrik Hansen (norvegese), Robert Koch (tedesco) e altri in campo epidemiologico porteranno a trovare una difesa contro antichi flagelli come la tubercolosi, la difterite, la peste, la lebbra, la rabbia, la malaria. Altre decisive scoperte nel settore medico-sanitario furono l’adozione dell’anestesia (ideata dall’americano William Greeen Morton)4 a base di etere e cloroformio durante gli interventi chirurgici e l’applicazione dei raggi x (scoperti dal serbo Nikola Tesla) per le diagnosi interne. Questo complesso di scoperte e invenzioni in ambito medico permise nel giro di pochi decenni di migliorare le condizioni igienico-sanitarie di gran parte delle popolazioni dei paesi industrializzati, di abbattere l’alto tasso di mortalità infantile e di innalzare notevolmente l’età media della popolazione e le aspettative di vita delle persone.

Si registrarono grandi scoperte anche in ambito chimico, che si tradurranno con l’apparizione di fertilizzanti, coloranti sintetici, ammoniaca, dinamite, soda e prodotti farmaceutici quali cloroformio, disinfettanti e analgesici.

In ambito ludico furono inventate la fotografia (1816, per opera del francese Joseph Nicéphore Niépce), la radio (grazie all’italiano Guglielmo Marconi), il cinema (ad opera dei fratelli francesi Auguste e Louis Lumiere) e più tardi faranno la comparsa i primi televisori (le prime trasmissioni inizieranno negli USA nel 1927, grazie alla geniale invenzione di C.F.Jenkins). Nacquero anche le prime grandi competizioni sportive ufficiali, come i Giochi Olimpici (reintrodotti dal francese Pierre de Coubertin nel 1896: la prima edizione si tenne ad Atene), il Tour de France (1903), il Giro d’Italia e soprattutto i campionati di calcio nazionali (in Italia il primo Titolo di “Campione d’Italia” fu assegnato al Genoa nel 1898), nuovo rito pagano delle masse.

Alla fine dell’800 in Europa inizia lentamente la trasformazione dei sudditi in cittadini: alcuni Stati (come l’Italia), infatti, oltre ad assecondare le aspirazioni liberali del popolo cominciano a percorrere la via democratica, coinvolgendo direttamente la popolazione nelle decisioni di governo, allargando il diritto di voto alla stragrande maggioranza dei cittadini maschi. Sicché le masse non si limitano più a subire decisioni dall’alto ma iniziano a rendersi “parte attiva” (di conseguenza si sviluppò quella che oggi chiamiamo opinione pubblica, grazie anche alla diffusione sempre più massiccia dei quotidiani e ad una scolarizzazione che finiva di essere privilegio di pochi) ed a emergere sulla scena politica (sarebbero nati i primi partiti politici: in Italia, ad esempio, nel 1893 nacque il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), esprimendo in pubblico ed in relativa libertà le proprie idee. Insomma, si stavano ponendo le basi dello Stato di diritto, che avrebbe visto il suo perfezionamento nel secondo dopoguerra. Anche le donne inizieranno un processo di emancipazione che pian piano le porterà a non essere più emarginate dalla vita sociale ed a non essere considerate inferiori all’uomo. Insomma il Mondo in quegli anni cambiò come non mai in tutto e per tutto. Per sempre. Questo periodo prese il nome di Belle Epoque.

Intorno alla fine dell’800, intanto, gli USA – dopo aver annientato gli “indiani” nativi ed esser usciti da una sanguinosa guerra civile, nota come “guerra di secessione”5, diventano la prima potenza della Terra: gli USA ormai sono sinonimo di progresso, economico e sociale (nel 1865 gli americani avevano abolito la schiavitù dei neri, che però alimenterà delle gravi forme di razzismo che si attenueranno solamente negli anni ’80 del 1900), ed attirerà milioni immigrati da ogni parte del Mondo, Italia compresa.

Verso la “grande guerra”

Lo sviluppo industriale (che interessò in parte anche l’Italia) però ebbe delle conseguenze negative, a causa delle condizioni lavorative assurde a cui erano costretti gli operai, che erano anche sottopagati. Ciò favorì la nascita e il rapido sviluppo di diverse forme di proteste, che spesso sfociavano nella violenza. Nacquero anche dei partiti politici di matrice popolare, dalle idee sovversive, che avrebbero portato un giorno alla nascita del Comunismo, di cui ci occuperemo più avanti. In Italia, sulla scorta di tale clima infuocato, il 20 luglio 1900 l’anarchico G. Bresci uccise il re Umberto I, per un episodio clamoroso che rappresentò il culmine di un periodo post-unitario veramente nefasto, che si sarebbe concluso con la salita al potere, nel 1903, di Giovanni Giolitti (il suo secondo ministero sarebbe durato sino al 1912, con qualche breve “pausa”), il quale varerà una serie di riforme volte a migliorare l’economia e la società, mostrandosi, fra l’altro, sensibile ai problemi della gente comune (nel ’12 istituirà il suffragio generale maschile), conferendo alla Nazione uno stampo protoliberale. In Francia, intanto, un’insurrezione popolare (1870) condusse alla proclamazione della Repubblica.

Sul finire dell’800, inoltre, all’interno delle grandi potenze si sparse – complice l’introduzione della Leva obbligatoria, che in quegli anni interessò quasi tutta Europa (che contribuì a plasmare le menti dei coscritti) – la pericolosa ideologia del nazionalismo, cioè la convinzione della superiorità del proprio Paese e l’aspirazione ad incrementare sempre più la forza economica dello Stato. L’espansione coloniale ricevette perciò un nuovo impulso (anche per trovare materie prime necessarie al lavoro industriale e per avere sbocchi commerciali per collocare la produzione enormemente cresciuta nonché per risparmiare sui costi di manodopera, un po’ come fanno oggi molte grandi aziende quando “delocalizzano”…), portando alla dominazione imperialistica del mondo: in trent’anni le potenze occidentali (in primis Francia ed Inghilterra, mentre l’Italia si limitò più che altro alle conquiste di Libia, Eritrea e Somalia, più tardi, ai tempi del Fascismo, avrebbe acquisito l’Etiopia) si spartirono l’Africa e vasti territori dell’Asia. Accanto a questi motivi ideologici ed economici agirono spinte di carattere politico, come, per esempio, il bisogno di assicurarsi basi militari per consolidare la difesa dei possessi già detenuti o di occupare territori strategicamente importanti per la sicurezza nazionale. Non mancò tuttavia un impulso da parte di esploratori, viaggiatori e missionari…

1 Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la Prima Rivoluzione industriale si era fondata sullo sfruttamento dell’energia proveniente dal carbone, sulla macchina a vapore e sul ferro.

2 Nel 1804, in Svizzera, il francese Isaac de Rivaz metteva a punto il motore a combustione interna, applicandolo in seguito su di un rudimentale veicolo. Nel 1864 l’italiano Innocenzo Manzetti introdurrà la prima autovettura a vapore moderna in grado di circolare lungo le strade.

3 Il Flyer, il primo aeroplano propriamente detto, vide la luce nel 1903, quando i fratelli Wright riuscirono a far spiccare il volo ad una sorta di aliante dotato di un motore da 16 cavalli a Kill Devil Hill presso Kitty Hawk in Carolina del Nord, USA. Questo primo volo durò 12 secondi, arrivando ad un’altezza di circa 120 piedi (40 metri), fu poco più che un balzo che probabilmente non superò l’effetto suolo.

4 Il dottor W. T. G. Morton già nel settembre del 1846 usò l’etere per estrarre un dente e il 16 ottobre 1846 presentò alla comunità scientifica una sfera di vetro dotata di due valvole (una di uscita ed una di entrata) al cui interno era posizionata una spugna imbevuta di etere. Fece inspirare i vapori al signor Gilbert Abbott al quale il dottor John Collins Warren, chirurgo, doveva asportare un tumore al collo. La sedazione riuscì e l’intervento fu eseguito in maniera veloce e indolore. Nacque così l’anestesiologia moderna.

5 Combattuta fra gli Stati Nordisti (unionisti) e gli Stati Sudisti (secessionisti, che volevano costituire uno Stato autonomo), la Guerra di Secessione fu vinta dai Nordisti. Per molti storici è considerato uno dei primi inflitti totali in assoluto.

DICIOTTESIMA PUNTATA

La Prima Guerra Mondiale Ogni Nazione era convinta che la propria causa fosse giusta, si credeva minacciata da un perfido nemico bramoso di ucciderla, e pensava che soltanto la propria vittoria potesse salvare l’ordine morale nel mondo”. [Herbert Fisher]

  • L’assassinio dell’arciduca Ferdinando accende la miccia

Come già detto in Europa, nel bel mezzo della Bella Epoque, spiravano pericolosi venti nazionalistici che portarono ben presto diversi Stati a non guardarsi di buon occhio, creando un clima incandescente. Pareva che bastasse una scintilla per far esplodere il tutto. Scintilla che scocca il 28 giugno 1914, quando a Sarajevo (capitale della Bosnia-Erzegovina), un giovane studente nazionalista serbo-bosniaco (Gavrilo Princip, che agì per conto di un’associazione segreta serba) uccise a colpi di pistola l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, e sua moglie. Di conseguenza l’Austria-Ungheria inviò alla Serbia (che era sotto il dominio austro-ungarico) un ultimatum, in cui si chiedeva che il governo si adoperasse per far cessare ogni forma di propaganda ostile agli Asburgo (cioè la famiglia regnante nell’Impero austro-ungarico) e che le indagini sull’attentato fossero condotte con la partecipazione di funzionari austriaci. L’ultimatum fu respinto in quest’ultimo punto1(perché rappresentava un oltraggio alla propria sovranità), così l’Austria, dopo essersi assicurata l’appoggio della Germania, il 28 luglio del 1914 dichiarava guerra alla Serbia: era il preludio alla Prima Guerra Mondiale. La dichiarazione di Guerra all’Austria innescò, infatti, a causa delle varie alleanze (come si evince dalla cartina, da una parte vi erano gli Imperi Centrali – Impero Germanico, Impero Ottomano ed Impero Austro-Ungarico in testa – e dall’altra gli Stati dell’Intesa, comprendenti in primis Francia, Impero Britannico ed Impero Russo), una reazione a catena, che in breve tempo spinse tutte le potenze europee a entrare in guerra. Anche se ciò in realtà fu solo il pretesto per soddisfare le aspirazioni di conquista delle varie Nazioni.

  • Un conflitto immane e logorante

La Germania del Kaiser Guglielmo II ai primi di agosto invade la Francia sperando di piegarla in breve tempo, ma la resistenza francese pone le premesse di una lunga ed estenuante guerra di trincea2 (fatta di pochi attacchi spesso inconcludenti che però sfociavano in autentiche carneficine), che prendeva il sopravvento su quella di movimento. Non mancarono naturalmente le battaglie navali e, nell’ultima fase del conflitto, gli scontri di mezzi corazzati.Dichiaratasi in un primo tempo neutrale (si era ancora totalmente impreparati a sostenere un conflitto), il 24 maggio del 1915 l’Italia di V. Emanuele III (il capo del Governo era Antonio Salandra) entra in guerra a fianco dell’Intesa (anziché degli imperi centrali, con cui era alleata sino a poco tempo prima!). La guerra, infatti, offriva l’occasione per conquistare le terre irredente, cioè quelle regioni (come il Trentino-Alto Adige) che erano ancora in mano all’Austria, completando così l’unità nazionale (una sorta di quarta guerra d’indipendenza).3I giovani italiani al fronte però svilupparono ben presto un sordo rancore nei confronti di chi li aveva mandati allo sbaraglio, inadeguatamente addestrati, mal equipaggiati, con armi insufficienti ed obsolete, con pochi viveri, guidati male (e con troppa severità) dal capo di stato maggiore L. Cadorna, per una guerra – tutt’altro che eroica – che sarà considerata ben presto una inutile strage, come la ribattezzò l’allora Pontefice Benedetto XV. Una belligeranza – combattuta principalmente dalla fanteria (quasi sempre mandata letteralmente al massacro) – che era resa ancor più micidiale dalle nuove (seppur rudimentali) armi tecnologiche, come mitragliatrici, cannoni ultra potenti (che poco o nulla avevano a che fare con quelli delle campagne napoleoniche…), carri armati (il cui utilizzo in verità non sarebbe stato così primario per le sorti del conflitto, come si sarebbe invece verificato in occasione della Seconda Guerra Mondiale), aerei da combattimento (che avrebbero fatto la loro comparsa specialmente sul finire della Guerra), sommergibili armati, persino gas chimici…Col trascorrere dei mesi uno stato generale d’insofferenza verso la guerra iniziò a propagarsi fra i soldati dei paesi belligeranti: si diffusero ovunque, nonostante le minacce del plotone di esecuzione, la diserzione o addirittura l’autolesionismo (consistente nell’infliggersi volontariamente ferite e mutilazioni per essere dispensati dal servizio al fronte). In altre occasioni ci furono casi di ribellione collettiva, scioperi militari o ammutinamenti, che avvennero un po’ dappertutto. Nel 1917 in quasi tutta Europa anche fra i civili inizia a serpeggiare il malcontento, che esploderà con scioperi e manifestazioni di piazza, che verranno repressi con la forza. Intanto le donne rimaste da sole, senza il supporto economico dei mariti, sono costrette a sostituirsi agli stessi nelle varie attività lavorative (per molti storici fu il principio dell’emancipazione femminile).Frattanto la rivoluzione bolscevica scoppiata in Russia (sempre nel ’17: vi dedicheremo ampio spazio più avanti) indebolisce le forze dell’Intesa, che trovano però negli USA – che decisero di correre alle armi a causa della guerra sottomarina indiscriminata da parte della Germania (che aveva lo scopo di impedire agli inglesi di ricevere rifornimenti via mare), che aveva affondato anche navi civili americane e che ledeva gli interessi commerciali americani, visto che questi rifornivano di merci gli stati dell’Intesa – un nuovo potente alleato (gli statunitensi però non avranno obiettivi d’annessione), che alla lunga si rivelerà decisivo per le sorti della Prima Guerra Mondiale (facendo valere, fra l’altro, tutto il peso della sua enorme potenza industriale).Il 24 ottobre dello stesso anno – dopo un biennio di battaglie inutili ma molto sanguinose che non avevano consentito alcun avanzamento sul fronte italo-austriaco – le nostre truppe rimediarono una cocente sconfitta a Caporetto (nell’attuale Slovenia): in pochi giorni persero 100 km di fronte (arretrando in Italia) e 400 mila uomini fra morti e feriti, mentre migliaia di cannoni caddero in mano nemica. Alla fine i nostri comunque resistettero eroicamente fino al fiume Piave, scongiurando la capitolazione definitiva. Il comando da quel momento sarà affidato al generale A. Diaz. Le ripercussioni della sconfitta di Caporetto non si fecero attendere: l’invasione del territorio nazionale trasformò improvvisamente il volto della guerra, che assunse l’aspetto d’una lotta per la salvezza del Paese, ed ebbe il potere di suscitare una somma di energie sino allora assopite. La propaganda governativa (V. E. Orlando era diventato nel frattempo – precisamente il 30 ottobre, succedendo a P. Boselli, che a sua volta era subentrato a Salandra il 18 giugno del ’16 – il nuovo capo del Governo), frattanto, per aiutare psicologicamente i soldati, promise loro laute ricompense una volta finita la guerra. Sugli altri fronti di guerra, intanto, nessuno schieramento riusciva a prevalere sugli altri, per una situazione di sostanziale stallo da cui si sembrava non poter uscire, e che non aveva prodotto altro che un numero spropositato di perdite umane.

  • L’epilogo

Fra l’8 e l’11 agosto 1918, nella grande battaglia di Amiens (Francia), la Germania subì una grave sconfitta sul fronte occidentale ad opera degli anglo-franco-americani. Da quel momento i tedeschi cominciarono ad arretrare lentamente, mentre fra le loro truppe si facevano più evidenti i segni di stanchezza. Frattanto i suoi alleati crollavano militarmente o si disgregavano dall’interno. La prima a cedere fu la la Bulgaria alla fine di settembre. Un mese dopo era l’Impero Ottomano a chiedere l’armistizio. Sempre alla fine di ottobre si consumò la crisi finale dell’Austria-Ungheria ormai minata da vari movimenti indipendentisti (l’Impero, infatti, abbracciava diverse etnie). Di conseguenza anche sul fronte italico si registravano i primi successi: il culmine si toccò a Vittorio Veneto, riportando un trionfo leggendario sull’Austria, anche grazie all’arruolamento forzato dei ragazzi della classe ’99, forze fresche che rivitalizzarono l’esercito. A fine 1918 Austria e Germania (il Kaiser tedesco Guglielmo II era stato costretto ad abdicare, quindi era nata la Repubblica) firmarono l’armistizio (una resa senza condizioni) con le forze dell’Intesa che, in virtù dell’appoggio USA, avevano preso finalmente il sopravvento dopo mesi e mesi di inutili e drammatiche battaglie di logoramento: la Grande guerra – dopo oltre 9 milioni di morti – era conclusa. Con la fine della guerra i vecchi imperi multinazionali – come quello Austro-ungarico (poco dopo la Prima Guerra Mondiale Carlo I – che era succeduto a Francesco Giuseppe, morto nel 1916 – verrà esiliato e nascerà la Repubblica austriaca) e quello Ottomano4 (in proposito, è doveroso ricordare il genocidio del popolo armeno compiuto durante la guerra proprio dagli ottomani) – lasciavano la scena a nuovi Stati (come Polonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia – prima appartenenti all’Impero Russo -, Cecoslovacchia e Jugoslavia5) e nuove forme di governo. La Germania fu oltremodo penalizzata dal Trattato di Versailles: le furono tolte tutte le colonie e alcune ricche regioni, dovette accollarsi i debiti di guerra di proporzioni inaudite (che estinguerà soltanto nel 2010), le fu sequestrata la flotta ed impedito il riarmo. Con questo trattato furono gettate le basi per il desiderio di rivalsa tedesco, che aprirà un giorno la strada al Nazismo ed alla Seconda Guerra Mondiale. L’Italia ottenne Trentino, Alto Adige, Trieste ed Istria, completando, in un certo senso, l’unità d’Italia.

1 La Serbia non temeva il conflitto in quanto contava sull’aiuto dell’Impero Russo, che si era proclamato amico dei popoli slavi.
2 Le trincee furono rese necessarie per ripararsi dalle micidiali armi nemiche, che non permettevano – a differenza di quanto accadeva nell’Ottocento – di avanzare senza essere sommersi da raffiche di proiettili.
3 Il fronte interventista comprendeva in primis i Nazionalisti ed i liberali di destra. A ruota vi erano i repubblicani ed i sindacalisti rivoluzionari (che intendevano trasformare un eventuale successo militare in una vittoria proletaria). Fra i contrari all’entrata in guerra vi era Giolitti, che un giorno nelle sue memorie scriverà: “Io avevo la convinzione che la guerra sarebbe stata lunghissima. A chi mi parlava di una guerra di 3 mesi rispondevo che sarebbe durata almeno 3 anni. La guerra avrebbe richiesto colossali sacrifici finanziari, gravi e rovinosi per un paese come il nostro, ancora scarso di capitali.”. Contro la guerra si schierarono anche i socialisti: “La guerra era un lusso sperperatore che avrebbe profuso energie e ricchezze che sarebbero potute servire a sanare le grandi piaghe sociali dalle quali la Penisola era afflitta”.
4 L’Impero ottomano si ridusse alla Penisola Anatolica (Istanbul compresa). Di conseguenza l’Armenia sarebbe diventata indipendente, mentre l’Egitto, il Sudan, la Libia, la penisola arabica e la Mezzaluna fertile sarebbero finiti sotto il protettorato di Gran Bretagna e Francia. La successiva guerra d’indipendenza turca contro gli alleati occupanti porterà nel 1922 all’emergere della Repubblica di Turchia nel cuore dell’Anatolia e all’abolizione del sultanato ottomano.
5 Con l’unione di Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro, prima appartenenti all’Impero Austro-ungarico.

DICIANNOVESIMA PUNTATA

La nascita dell’URSS


La Domenica del 9 gennaio 1905, decine di migliaia di cittadini russi erano scesi pacificamente davanti al Palazzo d’Inverno, inneggiando allo Zar Nicola II. Essi erano convinti che lo Zar, qualora fosse stato a conoscenza delle loro difficili condizioni di vita, avrebbe tentato di migliorarle. Per questo i manifestanti portavano una petizione con oltre 130.000 firme, in cui si chiedeva l’attuazione di riforme economiche e politiche: la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore, il salario minimo giornaliero, la convocazione di un’assemblea costituente. Per tutta risposta, i fucili delle truppe imperiali, fecero fuoco sulla folla, lasciando sul terreno oltre duemila feriti e centinaia di morti. Così scomparve definitivamente anche la fiducia che il popolo russo aveva da sempre riposto nello Zar.
Dodici anni dopo, nel 1917 la Russia1 era ancora alle prese con una condizione economica pietosa ormai diventata endemica, ed il conflitto (cioè la Prima Guerra Mondiale) aveva contribuito ad aggravare la situazione: nelle città mancavano viveri e combustibile, anche a causa dello stato disastroso in cui versava il sistema ferroviario, e nelle campagne l’inquietudine dei contadini aumentava a causa del sempre maggior numero di reclutati per la guerra. Sicché il 12 marzo (febbraio russo) l’insofferenza della popolazione deflagra, facendo precipitare la situazione: a Pietrogrado uno sciopero generale degli operai, infatti, si trasforma in una grande manifestazione violenta contro lo zar Nicola II. Nella città sono concentrati circa 200 mila soldati che, ricevuto l’ordine di reprimere la sommossa, si ammutinano, fraternizzando con gli insorti e consegnando loro le armi (mentre le truppe fedeli al regime, richiamate dal fronte, non riescono a giungere sul posto per un massiccio sciopero dei ferrovieri)2. Lo zar dopo pochi giorni, a causa dell’espandersi delle proteste, decide di abdicare (sarà poi arrestato e molte settimane dopo massacrato con tutta la famiglia), mentre nel Paese inizia a prendere piede il possente movimento dei soviet (comitati di deputati che rappresentavano operai, soldati e contadini).Dopo un lungo e caotico susseguirsi di eventi (che ho deciso di risparmiarvi per non farvi andare nel pallone), a novembre (il 24 ottobre russo) un colpo di stato ideato dai Soviet e condotto principalmente da loro delegati rovescia il governo provvisorio socialrivoluzionario (che era nato poco dopo la “rivoluzione di febbraio”, ed aveva tentato di incanalare la protesta politica entro i binari della legalità, rinviando concreti provvedimenti che assecondassero le aspirazioni dei contadini, ostinandosi a continuare una guerra disastrosa, specie da un punto di vista economico). Quindi i Soviet, composti principalmente dai bolscevichi (cioè la frangia estremista – che si contrapponeva ai menscevichi – del Partito Socialdemocratico), assumono tutti i poteri e danno vita ad un nuovo Esecutivo presieduto da Lenin, che s’ispira ai principi del marxismo (cioè che si rifacevano a Karl Marx, sociologo tedesco dell’Ottocento che aveva teorizzato, in maniera profetica, la dittatura del proletariato).Il governo comunista (di cui fa parte anche Stalin) per prima cosa si preoccupa di uscire dal conflitto mondiale e reprimere duramente ogni forma di opposizione. Viene quindi decretata la confisca delle grandi proprietà e la distribuzione delle terre ai contadini. Agli operai viene attribuito il controllo sulle aziende industriali. Quindi si abolisce la proprietà privata e la moneta. Poi nel ’21, al fine di ridare slancio al Paese (indebolito anche da gravi carestie e da una guerra civile molto sanguinosa fra comunisti e anti-comunisti, vinta dai bolscevichi), si dà vita alla NEP (volta a sostituire il “comunismo di guerra”), acronimo che sta per Nuova Politica Economica: essa ripristina parzialmente la libera iniziativa privata; si propone di lottare contro l’analfabetismo; cerca di creare una seria organizzazione sanitaria… Ma in generale rimane un rigido controllo statale su quasi ogni ambito della vita dei cittadini, il cui tenore di vita non migliorerà più di tanto.Nel 1922 a seguito di operazioni d’aggressione perpetrate dall’Armata Rossa (cioè l’esercito russo) viene fondata l’Unione delle Repubbliche Socialiste3 Sovietiche (inizialmente composta da Russia, Bielorussia, Ucraina e Transcaucasia – comprendente Georgia, Armenia ed Azerbaijan -, dove vengono formati governi locali comunisti), il primo Stato comunista del Mondo (tecnicamente è stata considerata una Repubblica direttoriale federale), che si sarebbe contraddistinto in primis per la sua forma autoritaria. L’organizzazione politica del Paese avrebbe previsto un solo partito politico ufficialmente riconosciuto, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica.Il lungo e travagliato processo che portò alla nascita dell’Unione Sovietica – che in questa sede abbiamo cercato di semplificare il più possibile (essa, infatti, fu un evento quanto mai contorto, carico di avvenimenti intricati nonché suscettibile di varie interpretazioni, su cui tutt’oggi gli storici si accapigliano) – si ritiene che abbia influenzato la storia mondiale di tutto il XX secolo.

1 Prima del 1917 l’impero russo comprendeva l’Ucraina del Dnepr, la Bielorussia, la Bessarabia, il Granducato di Finlandia, l’Armenia, l’Azerbaigian, la Georgia, gran parte dei governatorati baltici, ecc…

2 Nell’occasione risultò evidente un’importante conseguenza della Guerra: il conflitto aveva reso indispensabile la mobilitazione generale, con la conseguente distribuzione di armi a operai e contadini; queste armi però, oltre che contro i nemici, poterono essere adoperate anche contro i Governi.

3 Molti lettori si chiederanno: come mai venne chiamata Unione delle Repubbliche Socialiste, e non Comuniste? Perché fino alla fine della Prima Guerra Mondiale socialismo e comunismo erano quasi sinonimi. Lo stesso gruppo bolscevico era una fazione all’interno del Partito Operaio Socialista Democratico Russo (che poi cambiò nome in Partito Comunista nel 1918).

VENTESIMA PUNTATA

L’Italia Fascista

Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l’Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata”. [Primo Levi]

Tutti i paesi europei, sia i vinti sia i vincitori, escono fortemente indeboliti dalla guerra: le industrie faticano a tornare alla produzione civile; i debiti (contratti soprattutto verso gli USA) e le pensioni da pagare agli innumerevoli invalidi di guerra opprimono i governi; l’inflazione e la disoccupazione dilagano, portando fame e miseria. La crisi economica suscita un forte malessere fra la popolazione, in particolare fra i “reduci” – che danno vita a varie agitazioni ed occupano le terre che gli erano state promesse durante il conflitto (molti dei combattenti, infatti, erano contadini che la guerra aveva sottratto al lavoro nei campi) – e gli operai, i quali, appoggiati da sindacati e partiti sempre più organizzati, intensificano la lotta sociale per mezzo di scioperi e occupazioni delle fabbriche, per un insieme di tumulti noto come “biennio rosso” (1919-1920), che non risparmia nemmeno l’Italia. Sicché intimoriti dal verificarsi di una rivoluzione socialista, nella Penisola i grandi industriali e proprietari agrari sostengono, economicamente e moralmente, i movimenti reazionari antiproletari come i Fasci Italiani di combattimento.

Fondati nel ’19 da Benito Mussolini, un ex socialista che da anni si era particolarmente contraddistinto per il suo impegno in politica, nel ’21 si sarebbero trasformati in Partito Nazionale Fascista (PNF), una compagine politica di matrice borghese dal programma molto vago e dagli ideali camaleontici, avente come unico vero tratto distintivo la violenza. Mentre nel Paese si vive un periodo di estrema tensione politica e sociale, Mussolini nell’ottobre del ’22 – dopo una sequela di violenze ed azioni intimidatorie commesse dalle “squadracce” soprattutto ai danni di militanti del Partito Comunista (nato nel ’21), dei socialisti, di scioperanti, di contadini, di singoli parlamentari e amministratori locali, con occupazioni di municipi, distruzioni di sedi di giornali, camere del lavoro, sindacati, ecc… (quasi sempre con la tacita complicità del Governo, che lo vedeva come un mezzo per arginare il pericolo “rosso”, nonché dei poteri locali, dei tutori dell’ordine pubblico e persino con la compiacenza dell’ordine giudiziario ) – ottiene addirittura, pur non avendo la maggioranza parlamentare, la guida del governo dal Re Vittorio Emanuele III (che probabilmente vedeva in Mussolini l’unico che in quel delicato periodo storico fosse in grado di mantenere la pace sociale).

Facendo della demagogia populistica e del nazionalismo i suoi caratteri distintivi, in pochi anni il governo Mussolini perde ogni parvenza di legalità e si trasforma – specie dal ’25 (dopo l’assassinio del deputato parlamentare socialista G. Matteotti) – in un vero e proprio regime dittatoriale: per circa vent’anni esisterà solo un partito – il PNF – ed un Duce (ovviamente Mussolini). Per l’opposizione, per la democrazia e per ogni forma di libertà non ci sarebbe stato più spazio (chi non approvava i suoi metodi nella migliore delle ipotesi diventava bersaglio di spedizioni punitive, ma in genere veniva processato sommariamente, quindi incarcerato per molti anni, esiliato, spedito al confino, rinchiuso in manicomio o addirittura, seppur in rari casi, giustiziato). Il totalitarismo fascista però era “imperfetto”, in quanto era inquadrato all’interno della monarchia di Vittorio Emanuele.

Con i patti lateranensi firmati il 29 febbraio 1929 ci fu un accordo tra Stato italiano e Chiesa (Papa Pio XI): lo Stato italiano riconosceva la sovranità della Santa Sede su un territorio che prendeva il nome di Città del Vaticano (un vero e proprio Stato); il Papa, da parte sua, dichiarava definitivamente composta la “questione romana” del 1870 (quando Pio IX si era opposto al riconoscimento della legge delle guarentigie, un provvedimento legislativo del Regno d’Italia, promulgato all’indomani della presa di Roma, che si prefiggeva di regolare i rapporti tra Stato italiano e Santa Sede, riconoscendo una serie di prerogative al Pontefice) e riconosceva il Regno d’Italia con Roma capitale. Veniva inoltre ribadito il principio che la religione cattolica apostolica era la sola religione di Stato. La Chiesa ricevette anche delle indennità per la perdita dello Stato della Chiesa1. Infine, lo stato italiano riconosceva al sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto canonico gli effetti civili ed introduceva l’insegnamento della religione nelle scuole.

Durante il regime, Mussolini cercò di svecchiare il Paese, in primis grazie a delle riforme in ambito sociale, migliorando soprattutto la situazione dei lavoratori borghesi (riduzione dell’orario di lavoro ad 8 ore, introduzione della previdenza sociale, corresponsione di assegni familiari, introduzione del “dopolavoro” che consentiva a tanti italiani di occupare piacevolmente il tempo libero, ecc…). Vi furono timidi progressi anche in ambito industriale e fra i servizi, e furono realizzate diverse opere pubbliche di un certo rilievo. L’epoca fascista inoltre coincise con un periodo d’oro irripetibile in ambito sportivo (si ricordano in primis i due Titoli Mondiali nel Calcio, 1934 e 1938, nonché le spedizioni olimpiche di Los Angeles 1932 – in cui ci classificammo addirittura al 2° posto nel medagliere dietro gli Stati Uniti – e di Berlino 1936). L’Italia mussoliniana rimase però molto arretrata (prevalentemente agricola) rispetto alle principali Nazioni europee, anche per via della politica economica improntata all’eccessivo statalismo (e all’autarchia) adottata dallo stesso Duce e per alcune campagne belliche dispendiose (specie in Africa).

Nel 1938 Mussolini fece promulgare da re Vittorio Emanuele III le leggi razziali antisemite, che non avevano precedenti in Italia e che furono applicate senza entusiasmo. Con la promulgazione di un insieme di provvedimenti legislativi e normativi noto come “Provvedimenti per la difesa della razza”, il Fascismo – il cui intento fu quello di “strizzare l’occhio” all’alleato tedesco – si dichiarò esplicitamente anche antisemita e, anche se non fu realizzato alcun intento di sterminio fino al 1943 (quando l’Italia sarebbe stata occupata dall’esercito nazista), gli ebrei furono allontanati dalla vita pubblica, spesso privati del lavoro ed esposti a varie forme di vessazione. Per quella che rimane la pagina più vergognosa dell’era Fascista.

La Crisi del ‘29

Intanto negli Stati Uniti (gli unici “veri” vincitori della prima guerra mondiale), nel 1929 si scatena una gravissima crisi economica destinata ad avere ripercussioni in tutto il Mondo (giacché molti Stati usufruivano di prestiti americani per riprendersi dalla guerra e vi esportavano merci). Essa fu scatenata in primis da speculazioni finanziare (si ricorda in primis il crollo della Borsa di Wall Street) e da sovrapproduzione di beni durevoli originate da un eccessivo ottimismo (e scarse padronanze di tecniche economiche, la cosiddetta economia politica) che nell’epoca del consumismo la faceva sempre più da padrone. Di conseguenza moltissime aziende fallirono, la disoccupazione crebbe a livelli vertiginosi, tantissime famiglie si ridussero sul lastrico…per un gravissimo dramma economico-sociale destinato a restare per sempre nella storia col nome di Grande Depressione.

Quindi, a partire dal ’32, per rilanciare gli Stati Uniti e migliorare la situazione economica della popolazione, il Presidente Franklin Roosevelt decide di varare diverse riforme sociali (vengono sovvenzionate le famiglie in difficoltà, aumentati i salari agli operai, erogati prestiti ai contadini…); di dare il via ad una serie di lavori pubblici concepiti non solo per migliorare le infrastrutture ma anche per combattere la disoccupazione dilagante; di regolamentare il mercato azionario (al fine di scongiurare nuovi disastrosi crolli di borsa), ecc…: era il New Deal (nuovo corso), che vedeva lo Stato, per la prima volta negli USA, divenire protagonista della scena economica accanto ai privati (Roosevelt, in sostanza, aveva adottato la rivoluzionaria filosofia economica del britannico J. Keynes, considerato il più influente tra gli economisti del XX secolo: egli sosteneva, infatti, la possibilità dell’intervento pubblico statale nell’economia). In tal modo si venne a creare un circolo virtuoso che avrebbe consentito agli Stati Uniti di tornare in pochi anni una grandissima potenza economica (giungendo “preparati” alla Seconda Guerra Mondiale).

1 Secondo molti storici lo Stato della Chiesa sarebbe nato formalmente nel 728, con la donazione di Sutri fatta dal Re longobardo Liutprando. Il primato del Vescovo di Roma (Papa) sugli altri Patriarchi (Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme, Alessandria) era invece nato nel 381, con il Concilio di Calcedonia. Dopo lo sfacelo dell’Impero Romano d’Occidente il Vescovo di Roma era diventato il governatore di fatto del Ducato romano, primo embrione del futuro Stato della Chiesa (detto anche Stato Pontificio). Nel 554 l’Imperatore d’Oriente, Giustiniano, aveva emanato la Prammatica sanzione, riconoscendo una larga autonomia e molti poteri amministrativi al Papa.

VENTUNESIMA PUNTATA

La Germania Nazista di Hitler

Dietro il Partito Nazista c’è il popolo tedesco, che ha eletto Hitler dopo che questi aveva manifestato con chiarezza e senza alcuna possibilità di fraintendimento nel suo libro e nei suoi discorsi le sue vergognose intenzioni. [Albert Einstein]

La gravissima crisi economica che colpisce la Germania nel ’29 inizia a far traballare la fragile democrazia del Paese (rappresentata dalla Repubblica di Weimar, nata nel 1919), favorendo l’ascesa della destra nazionalista. Dopo un lungo e travagliato susseguirsi di eventi, nel ’33 il Partito Nazista (denominazione completa: Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi) di Adolf Hitler (che da diversi anni si era segnalato per le sue pericolose idee oltranziste, che fra l’altro aveva chiaramente esposto nel libro “Mein Kampf”; nel ’23 aveva tentato invano un colpo di Stato…), interagendo abilmente fra la legalità e la violenza (sulla falsariga di quanto aveva fatto Mussolini per prendere il potere), dà vita ad un governo che in breve tempo si tramuterà in un ferreo e sanguinario regime dittatoriale, di stampo fortemente nazionalista, intriso di esagerato fanatismo e di un razzismo esasperato (perlopiù votato all’antisemitismo). Durante la sua dittatura Hitler (che a differenza di Mussolini – il quale doveva rendere conto al re delle sue azioni – non aveva nessuno al di sopra di sé che potesse limitarne il potere smisurato), trasforma la Germania in una grande potenza industriale e militare, cominciando a pianificarne l’espansione territoriale, necessaria, a suo dire, per conquistare lo “spazio vitale” del popolo tedesco (che il Fuhrer, in base alle sue folli congetture, considerava di razza ariana e perciò superiore a tutte le altre) e dare vita ad un “nuovo ordine”, che doveva vedere il “Terzo Reich” padrone d’Europa. Quello che Hitler voleva non era soltanto un ordine economico e politico, ma un ordine morale che avrebbe dovuto rovesciare quell’antica forma di convivenza civile cui gli uomini erano faticosamente pervenuti attraverso un processo secolare. La sua politica d’aggressione iniziò nel ’38 con l’annessione dei territori in cui risiedevano popolazioni di origine tedesca: prima procedette all’annessione dell’Austria, poi nel ’39 fu la volta della Cecoslovacchia. Sempre nel ’39 Hitler firmò il “Patto d’acciaio” con Mussolini: un’alleanza bellica che per l’Italia si rivelerà, come vedremo, fatale…

Hitler, spinto da deliranti ideali fortemente razzisti e xenofobi, durante la sua dittatura si scagliò fortemente contro gli ebrei, che inizialmente vennero emarginati dalla vita pubblica, esclusi da vari ambiti e sottoposti a multiformi vessazioni; col trascorrere degli anni in tanti saranno costretti ad espatriare (lasciando allo Stato i propri averi); alla fine degli anni Trenta, tutti coloro che ancora risiedevano nei territori del Reich (in primis Germania e, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Polonia), verranno deportati a milioni in campi di lavori forzati (lager, in cui si lavorava sino allo sfinimento psico-fisico), che presto sarebbero stati convertiti in veri e propri campi di sterminio1, in cui trovarono la morte milioni di vite innocenti (donne e bambini compresi)Per una pagina della storia moderna assolutamente vergognosa ed assurda, poichè il tutto si verificò negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, e non in epoche antiche o medievali.

L’Urss Comunista di Stalin

L’Urss, intanto, cerca di dare un assetto stabile alla propria economia e alle proprie istituzioni politiche. Dopo la morte di Lenin (1924) sale al potere il georgiano Vissarionovic Dzugasvili, detto Stalin, il quale, per dare slancio al Paese, nel 1928 imposta un piano quinquennale che avrebbe indirizzato tutte le risorse economiche allo sviluppo industriale. Fu possibile, così, imprimere alla crescita industriale una fortissima accelerazione – tanto che alla vigilia della Seconda G. Mondiale l’Unione Sovietica sarà considerato il terzo Paese più industrializzato al Mondo dopo USA e Germania -, a spese però delle condizioni di vita della popolazione, che non subirono alcun miglioramento (la prevalenza data all’industria pesante penalizzava gravemente la produzione di beni di consumo e gli stessi operai erano sottoposti a ritmi di lavoro estenuanti). Nel 1929, per accrescere la produzione agricola, si procedette alla collettivizzazione della terra, creando malcontento fra i kulaki (grandi proprietari di aziende contadine che si opponevano, appunto, alla proprietà collettiva dei possedimenti agrari), che furono perciò o uccisi o convogliati in massa in campi di lavoro (gulag) situati in zone freddissime della Russia, per la realizzazione di imponenti opere pubbliche. Stalin negli anni Trenta consoliderà quello che ormai era diventato un regime dittatoriale spietato, eliminando fisicamente ogni residua forma di opposizione, in ambito civile ed anche all’interno dell’apparato statale: burocrati, funzionari e membri dell’esercito furono coinvolti in gran numero in sanguinose epurazioni dette “purghe” (o deportati nei gulag), che non risparmiarono nemmeno i membri della prima ora del Partito Comunista. Si calcola che durante il regime staliniano siano morti (senza contare le carestie – originate spesso proprio dal regime, a causa del controllo asfissiante che veniva esercitato sui produttori agricoli – e le guerre) decine di milioni di persone, tanto da indurci a ritenere Stalin il più feroce dittatore che sia mai esistito.

1 Nei campi di sterminio, secondo stime approssimative, trovarono la morte 6 milioni di ebrei e tante altre “categorie” di esseri umani, fra cui: 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici, mezzo milione di rom e sinti, 200.000 disabili ed altrettanti massoni, 15000 omosessuali, 5000 Testimoni di Geova,1,5 milioni di dissidenti politici, 2,5 milioni di slavi…

VENTIDUESIMA PUNTATA

La Seconda Guerra Mondiale

  • La Germania alla conquista dell’Europa

Nel 1939 Hitler invade la Polonia (che – almeno questo era il pretesto – si era rifiutata di restituire alla Germania la regione della Danzica, che ai tedeschi serviva come “corridoio” per collegare la stessa Germania alla Prussia Orientale), lasciando intuire il proposito di controllare l’intera Europa. Francia e Gran Bretagna (che erano alleati della Polonia) reagirono: iniziava il conflitto più terribile nella storia1, quello che sarà ricordato come Seconda Guerra Mondiale. In pochi mesi Hitler – dopo essersi spartito la Polonia con l’URSS ed essersi visto respingere una proposta di pace da Francia e Gran Bretagna – inizia la sua avanzata d’occupazione: le prime a capitolare sono Danimarca e Norvegia2; quindi la macchina bellica tedesca decide di puntare sulla Francia, e per invaderla (aggirando la linea Maginot, che proteggeva i confini francesi) sceglie, con una mossa a sorpresa, di attraversare il Benelux (che era neutrale): dopo poche settimane (il 22 giugno 1940) la Francia sarà costretta alla resa.

Frattanto il 10 giugno 1940 l’Italia (che inizialmente aveva dichiarato la propria non belligeranza), con la speranza di sedersi al tavolo dei vincitori (e tenere fede al “patto d’acciaio”), malgrado l’evidente inidoneità a calarsi in un conflitto, entrava in guerra a fianco delle forze dell’Asse (cioè di Germania e suoi alleati), ma si rivelerà ben presto incapace di promuovere azioni belliche autonome, tanto da trasformarsi ben presto in una zavorra per la Germania3.

Dopo aver piegato la Francia, Hitler decide di “dedicarsi” alla Gran Bretagna, optando per una lunga serie di bombardamenti aerei (prendendo di mira soprattutto aeroporti e porti), che nelle previsioni del dittatore nazista avrebbero messo in condizione il Reich d’invadere l’isola britannica via mare, mettendo in atto l’operazione “Leone Marino” (o in alternativa avrebbero indotto gli avversari ad accettare anzitempo una pace vantaggiosa per i tedeschi); tuttavia gli inglesi si mostrano più competitivi del previsto – anche grazie ad una nuova invenzione, il radar, che in molti casi permetteva d’intercettare i bombardieri avversari – ed impediscono alla Lutwaffe (l’aviazione del Reich) di prevalere: così il 17 settembre l’invasione della Gran Bretagna venne accantonata da Hitler e mai più ripresa (d’ora in avanti Hitler si dedicherà principalmente alla guerra sottomarina allo scopo di bloccare verso i britannici i rifornimenti esteri di armi e di viveri).

Nell’estate del 1941 il Fuhrer, dopo il fallimento della Battaglia d’Inghilterra, decide d’invadere l’URSS4, rompendo un’alleanza stipulata anni prima: da quel momento quasi tutte gli sforzi bellici saranno concentrati nella cosiddetta “Operazione Barbarossa” (la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi), “trascurando” la Gran Bretagna (ricordiamo che il premier inglese era W. Churchill), che di fatto smetterà di subire bombardamenti (che così avrà tutto il tempo per organizzare al meglio il contrattacco alle forze dell‘Asse). Intanto alla fine dello stesso anno entravano in guerra anche gli USA5 (il Presidente era ancora F. Roosevelt) a causa dell’attacco a sorpresa (in quanto non fu preceduto da una formale dichiarazione di guerra) dei giapponesi (alleati di Germania e Italia) al porto militare di Pearl Harbor (che si trova nell’isola hawaiiana di Oahu). Quasi contemporaneamente da parte dei nipponici veniva lanciata un’operazione a raggiera che mirava all’occupazione di vari arcipelaghi americani dell’oceano Pacifico.6

Frattanto il 1941 e il 1942 l’espansione nazista in Europa aveva toccato il suo punto più alto: tutti gli Stati d’Europa continentale, con le sole eccezioni della Svizzera, della Spagna e della Svezia, rimaste neutrali, erano alleati di Hitler o sottoposti al controllo dell’esercito tedesco. L’unico avversario europeo (a parte l’URSS) rimaneva sostanzialmente la Gran Bretagna. Nei confronti dei paesi occupati il dittatore tedesco adottò una brutale politica di repressione e sfruttamento: pretese il pagamento d’ingenti somme di denaro; confiscò impianti industriali e derrate alimentari; costrinse milioni di uomini a lavorare sino allo sfinimento fisico nei campi di lavoro; molti prigionieri furono fatti morire di fame o furono massacrati barbaramente senza motivo (specie in Unione Sovietica), civili compresi (persino coloro che in un primo momento avevano accolto i nazisti come liberatori dall’oppressione stalinista, ad esempio in Ucraina, dove il regime sovietico aveva causato milioni di morti), senza risparmiare donne e bambini. Ma il destino più atroce, come abbiamo già visto, fu riservato agli ebrei, sterminati a milioni per la sola colpa di esistere, per quello che rappresentò il più grande dramma umano del ventesimo secolo .

  • Il “cambio della marea”

Nella seconda metà del ’42 però il conflitto comincia a volgere a favore delle truppe anglo-americane e sovietiche. La causa principale del capovolgimento delle sorti della guerra (che avrebbe condotto alla disfatta dell’Asse) risiede nel fallimento della famosa Operazione Barbarossa, ovvero l’invasione della Nazione Stalinista. In principio, complice l’iniziale impreparazione sovietica (che non si attendeva un’invasione, almeno non così in anticipo sui tempi; inoltre gli alti vertici militari più esperti erano rimasti vittima delle purghe staliniane…), tutto sembrava andare per il meglio. In poche settimane, grazie a rapidissimi attacchi, e ai successivi accerchiamenti, compiuti dalle divisioni corazzate e motorizzate, i tedeschi annientarono decine di divisioni sovietiche, catturando centinaia di migliaia di prigionieri. I grossi contingenti dell’Armata rossa erano ormai allo sbando e la catena di comando era sovente interrotta. L’esercito dell’Unione Sovietica pagò un impressionante tributo in termini di vite umane e di materiali bellici andati perduti.

Dopo questo grandioso successo iniziale, Hitler fu costretto ad appoggiare le truppe italiane nei Balcani e intervenire contro il rovesciamento anti-Asse in Jugoslavia. Furono perse così cinque preziose settimane della già breve estate russa. Con l’arrivo dell’inverno i mezzi s’impantanarono miseramente nel fango, e dopo le piogge arrivò la neve, il gelo, il terribile rigore dell’inverno russo, con tutte le nefaste conseguenze. In questo modo la Germania – i cui soldati non erano equipaggiati per contrastare il “generale inverno”, visto che Hitler non aveva previsto il prolungarsi del conflitto oltre il mese di ottobre – non poté ottenere ulteriori guadagni territoriali, anche per la tenace resistenza dei russi (che si affidarono anche sui civili e sui detenuti, i quali sovente facevano terra bruciata dietro di loro, mentre si ritiravano per preparare la controffensiva), che fu più dura di quanto i tedeschi si aspettassero. La logistica divenne anch’essa un grosso problema, a causa dell’eccessiva lunghezza delle linee dei rifornimenti. L’URSS, frattanto, riusciva a migliorare notevolmente il proprio apparato militare nonché le proprie risorse belliche, che agli inizi del conflitto accusavano una certa arretratezza. Il febbraio 1943, dopo mesi di estenuanti combattimenti e di perdite ingenti, si concludeva con la vittoria sovietica la Battaglia di Stalingrado (la battaglia più importante di tutto il conflitto, in cui la Germania perse tanti uomini ed ingenti risorse belliche), segnando l’inizio della fine per i tedeschi7.

Frattanto la penetrazione offensiva dei giapponesi nel Pacifico veniva fermata dagli americani con le grandi battaglie aeronavali del Mar dei Coralli e delle Isole Midway. Di lì a poco sarebbe partita una grande controffensiva, estendendola ad altre isole e territori del Pacifico.

  • Le forze dell’Asse si avviano verso il baratro

Dopo aver perso la loro “crociata contro il comunismo”, nella primavera del 1943 le città del Reich – le cui forze, come detto, erano state perlopiù concentrate in Unione Sovietica (dove, ricordiamolo, andarono a combattere anche militari italiani) – cominciarono ad essere pesantemente bombardate (i primi sporadici bombardamenti si erano verificati già nel 1940), e il 10 luglio dello stesso anno le truppe anglo-americane – dopo aver ottenuto la supremazia in NordAfrica8 (dove si erano combattute diverse battaglie nelle colonie) – sbarcarono in Sicilia9. Sull’isola i soldati vennero generalmente accolti con grande favore dalla popolazione (in quasi tutta la Penisola s’era sviluppata un’acredine nei confronti del Fascismo, che era sfociata – specie al Nord – in scioperi e manifestazioni di protesta), stanca di sostenere il peso di una prolungata penuria di viveri e dei ripetuti bombardamenti portati dalla guerra (che negli ultimi mesi si erano notevolmente accentuati).

All’interno del Partito Fascista, intanto, crescevano i dissensi nei confronti di Mussolini, accusato di aver condotto la guerra in modo fallimentare e di aver trascinato il Paese verso la rovina. Il 19 luglio gli Alleati bombardarono anche Roma provocando migliaia di vittime: fu l’evento decisivo che indusse il Gran Consiglio a sconfessare il Duce: il 25 luglio del ’43, ormai travolto dalla disfatta, Mussolini venne perciò esonerato dalla guida del Paese ed arrestato dal Re, che al suo posto nominò il maresciallo P. Badoglio, che fu posto alla guida di un Governo tecnico-militare (composto da sei generali, due prefetti, sei funzionari e due consiglieri di Stato). Badoglio annunciò che l’Italia avrebbe continuato la guerra a fianco dei tedeschi, ma in realtà iniziò ad intavolare segretamente un armistizio con gli Alleati, rendendolo noto al Paese solo l’8 settembre10.

La reazione tedesca al “tradimento” dell’8 settembre fu immediata: le truppe del Reich disarmarono l’esercito italiano internando moltissimi soldati nei campi di concentramento (uccidendone a migliaia se solo tentavano di resistere) e occuparono di fatto tutta l’Italia centro-settentrionale (terrorizzando la popolazione inerme, scatenando feroci rappresaglie su di essa in caso di attentati compiuti dai partigiani italiani: su tutte si ricordano le stragi di Marzabotto e delle fosse Ardeatine a Roma, grandi massacri compiuti dalle truppe di occupazione della Germania nazista, ai danni di civili italiani, fra gli eventi simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell’occupazione), dove non erano ancora giunti i soldati Alleati. L’esercito italiano era ormai allo sbando, mentre tutto il Paese precipitava nel caos. In questa situazione il Re e il capo del Governo Badoglio, anziché organizzare la guerra contro la Germania, fuggirono da Roma rifugiandosi a Brindisi (in territorio non occupato dai tedeschi), costituendo quello che gli storici chiameranno “Regno del Sud”.

Il 12 settembre un commando delle SS liberò Mussolini dalla prigione del Gran Sasso in cui era tenuto e lo consegnò a Hitler. Il Duce, ormai ostaggio dei tedeschi, fu posto a capo della Repubblica Sociale Italiana (detta anche Repubblica di Salò), un governo fantoccio che raccoglieva le forze superstite del Fascismo ma che si reggeva di fatto sull’organizzazione militare del Reich. Furono perciò giustiziati coloro che avevano votato contro Mussolini nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio.

L’Italia rimase perciò divisa in due: quella meridionale, occupata dagli Alleati (che si avvalsero della “cobelligeranza” italiana, che comunque ebbe un apporto trascurabile), e quella centro-nord tenuta in pugno dai tedeschi. Nell’Italia del nord molti giovani organizzarono la Resistenza al Nazifascismo: il Paese sarebbe quindi piombato in una sorta di guerra civile combattuta fra nazifascisti ed antifascisti (perlopiù comunisti) della stessa nazionalità; i Partigiani riuscirono a liberare interi territori, ma in molti casi si macchiarono di delitti atroci…. Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu in seguito organizzato dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che presto (nel giugno del ’44) avrebbe dato vita al Governo di unità nazionale (composto da Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito Liberale, Partito Democratico del Lavoro e Partito d’Azione) presieduto da Ivanoe Bonomi (succedendo al secondo Esecutivo Badoglio, che nel mese di aprile, dopo la “svolta di Salerno”, si era aperto ai sei partiti antifascisti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale), traghettando la Nazione verso l’immediato Dopoguerra.

Il 6 giugno ’44 gli Alleati sbarcarono in Normandia (Francia)11, dando inizio all’”Operazione Overlord” – Signore Supremo (nome in codice dell’invasione della Francia, nota anche come D-DAY, ovvero il giorno dei giorni; nelle intenzioni degli angloamericani avrebbe dovuto dare il colpo di grazia ad una Nazione, quella tedesca, già da tempo in gravi difficoltà, a causa soprattutto della logorante guerra che doveva combattere sul fronte sovietico, e che dava la sensazione di poter capitolare da un momento all’altro). Dalle spiagge francesi le forze alleate nel giro di poche settimane dilagarono in forze nel territorio francese, sino ad arrivare a Parigi, minacciando direttamente il territorio tedesco in concomitanza con l’avanzata sovietica ad est..

  • Il crollo dell’Asse e la fine della guerra

Nei primi mesi del 1945 gli angloamericani (che avevano liberato anche il Belgio) ed i sovietici strinsero la Germania in una morsa. Lo Stato Generale di Hitler, ormai rinchiuso in un bunker sotterraneo, era praticamente spacciato. Tuttavia il Fuhrer non voleva arrendersi all’evidente crollo tedesco e, in preda ad una sorta di delirio psicotico, s’illudeva di poter rovesciare le sorti del conflitto. Ordinò pertanto la mobilitazione totale, chiamando alle armi anche i giovanissimi. Per tutta risposta l’aviazione alleata attuò bombardamenti a tappeto distruggendo intere città e provocando moltissimi morti fra la popolazione civile. Dopo che i russi giunsero persino a Berlino, riducendola ad un cumulo di macerie, Hitler designò il suo successore (Karl Donitz, Capo della Marina) ed il 30 aprile si suicidò. La Germania fu perciò costretta alla resa senza condizioni (esattamente come le era capitato alla fine della Prima Guerra Mondiale). Il Mondo poteva finalmente dirsi salvo dal demonio nazista.

Il 25 aprile 1945 l’Italia, dopo mesi apocalittici, grazie all’avanzata degli Alleati fu finalmente liberata completamente dal Nazifascismo. Due giorni dopo Benito Mussolini, indossando la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme all’amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo (28 aprile) a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato alla disponibilità della folla (in quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici partigiani uccisi). Il 29 aprile la resistenza italiana ebbe formalmente termine, con la resa incondizionata dell’esercito tedesco, e i partigiani assunsero pieni poteri civili e militari. Nelle zone di Trieste e Gorizia (che la Jugoslavia rivendicava), con l’arrivo delle truppe jugoslave di Tito si ebbero episodi di incredibile crudeltà: civili e militari furono uccisi a migliaia e precipitati in fosse comuni (foibe) di tale profondità da renderne impossibile il recupero.

Ma la guerra non era ancora conclusa. Infatti c’era ancora il Giappone12 che non voleva saperne di arrendersi agli USA (frattanto il 12 aprile 1945 Roosevelt era morto ed il suo posto era stato preso da H. Truman), intestardendosi stupidamente (molte città nipponiche erano già state pesantemente bombardate) a prolungare un conflitto dall’esito ormai segnato. Così gli americani, per piegarlo in tempi brevi e porre finalmente fine ad un conflitto interminabile (dopo aver scartato l’ipotesi di uno sbarco in terra nipponica), presero la decisione estrema di sganciare, prima su Hiroshima (il 6 agosto) e poi su Nagasaki (il 9 agosto), la Bomba Atomica, l’arma più micidiale che l’uomo abbia mai adoperato: in pochi istanti le città furono incenerite, provocando effetti orribili (degni da film horror), dovuti alle radiazioni, sulle popolazioni sopravvissute, che ebbero effetto immediato ed a medio e lungo termine. Si concludeva così, nel modo più mostruoso possibile, il secondo conflitto mondiale, la più grande catastrofe nella storia dell’umanità, che aveva provocato oltre 70 milioni di vittime, di cui 50 milioni fra i civili, che per la prima volta erano stati coinvolti in massa in un conflitto bellico.

Sicuramente tra le ragioni che decretarono l’esito del conflitto fu fondamentale il fatto che gli Alleati (ovvero USA, Canada, URSS, Gran Bretagna e Francia in primis) ebbero a disposizione molte più risorse produttive rispetto all’Asse (cui, ricordiamolo, facevano parte principalmente Germania, Italia e Giappone), e furono in grado di utilizzarle efficacemente a sostegno dello sforzo bellico. Gli Stati Uniti (che praticamente non subirono attacchi sul proprio territorio continentale, grazie alla separazione geografica del continente dai principali teatri bellici in Europa e in Asia13) ebbero un ruolo-chiave in questa dinamica economica e tecnologica.

Dopo il conflitto l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia la città di Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa, gran parte dell’Istria, del Carso triestino e goriziano e l’alta valle dell’Isonzo, e alla Francia territori nell’area alpina. Le colonie africane furono ovviamente perdute. L’Unione Sovietica, che ebbe un ruolo preponderante nella distruzione del Nazismo, invece, ottenne in primis dalla Germania gran parte della Prussia orientale.

Poco dopo la fine del conflitto, nel ’45 fu fondata l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), con lo scopo di dirimere controversie fra Stati senza ricorrere a guerre.

  • Il processo ai criminali nazisti

Le principali potenze del tempo di guerra (in primis Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna), si accordarono sul metodo per punire i responsabili dei crimini commessi durante la guerra, decidendo che costoro avrebbero dovuto subite un regolare processo. Le udienze si tennero nella città tedesca di Norimberga (Nürnberg) dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946 nel Palazzo di Giustizia di Norimberga (l’unica corte tedesca abbastanza grande da poter contenere l’evento e che non fosse stata distrutta dai bombardamenti Alleati). Il processo si basò in gran parte su prove schiaccianti, costituite da documenti militari e diplomatici caduti nelle mani delle forze alleate dopo il crollo del governo tedesco, che dimostravano in modo incontrovertibile l’entità delle violenze e delle brutalità compiute. Più di sei milioni di persone erano state deportate nei campi di concentramento, dove ebrei, rom, disabili, omosessuali, oppositori politici, religiosi erano stati uccisi e torturati nella maniere più disparate, violando palesemente i principi cardine della Convenzione di Ginevra stipulata nel 1864, che tutelava in ambito bellico i diritti dell’uomo e delle Nazioni. Il tribunale scoprì e dimostrò inoltre che tali atrocità erano state commesse su larga scala e in base a un preciso programma chiamato “soluzione finale”. Molti degli imputati furono perciò condannati a morte per impiccagione (fra cui Alfred Rosenberg, ideologo del Partito Nazista e padre delle teorie razziste; Joachim von Ribbentrop, Ministro degli Esteri ed Hermann Göring, capo della Luftwaffe, suicidatosi prima dell’esecuzione) mentre alcuni furono incarcerati a vita (Rudolf Hess) o comunque per parecchi anni (Albert Speer, Karl Donitz). Il Partito nazionalsocialista, le SS e la Gestapo furono dichiarati organizzazioni criminali.

La sentenza, fra l’altro, riconobbe il principio secondo il quale progettare una guerra d’aggressione costituisce un crimine internazionale. Il processo di Norimberga diede il via a movimenti che portarono cinquant’anni dopo all’adozione dello statuto della “Corte penale internazionale”.

1 Un conflitto in cui saliranno alla ribalta gli aerei – ed i relativi bombardamenti – ed i mezzi corazzati, che nella “Grande Guerra” avevano avuto un ruolo marginale.

2 Danimarca e Norvegia furono invase per “proteggere” la “strada” che portava il ferro svedese alla Germania, fondamentale per la guerra, e per assicurarsi porti per la sua flotta e basi per lanciare attacchi aerei sulla Gran Bretagna.

3 L’Italia rimedierà cocenti sconfitte su quasi ogni fronte, e le poche ed effimere vittorie iniziali (specie in Africa, Jugoslavia e in Grecia) furono ottenute con il decisivo apporto dei tedeschi … La Gran Bretagna sostanzialmente non fu “toccata” dalle incursioni aeree (vi furono perlopiù battaglie navali con esito avverso). L’unico risultato confortante fu conseguito sulla Francia (che era in procinto di capitolare grazie all’invasione tedesca): dopo la battaglia combattuta sul fronte alpino (durata circa 3 giorni) e qualche bombardamento aereo, fu firmato l’armistizio, che previde l’occupazione da parte italiana di alcuni territori francesi di confine e poco altro.

4 Hitler decise d’invadere l’URSS sostanzialmente per 3 motivi: 1 Il Fuhrer era un nemico giurato del Comunismo e della “razza” russa, che riteneva inferiore 2 L’URSS era ricca di materie prime, di cui la Germania necessitava, specie se fossero “scesi in campo” gli americani 3 L’obiettivo di Hitler era di diventare il padrone dell’intera Europa.

5 Così come avvenuto durante la Prima Guerra Mondiale, gli USA non entrarono in guerra mirando ad acquisizioni territoriali, ma per liberare l’Europa dalla pericolosissima espansione nazista, che minacciava la libertà e la coesistenza pacifica dei popoli. Anche prima dell’entrata in guerra gli americani avevano iniziato a sovvenzionare economicamente le Nazioni che combattevano contro i nazifascisti.

6 Ma perchè il Giappone decise di entrare in guerra contro gli USA? E’ presto detto. Quando nel luglio ’41 i giapponesi invasero l’Indocina francese, USA e Gbr reagirono decretando il blocco delle esportazioni verso il Giappone. L’impero asiatico – paese industrialmente sviluppato ma povero di materie prime – decise perciò di scatenare la guerra.

7 Stalingrado rappresentava un punto strategico di notevole importanza: vincere quella battaglia avrebbe significato liberarsi la strada verso il Caucaso, ovvero verso i giacimenti petroliferi. Ma voleva dire anche impadronirsi di un importantissimo centro industriale nonché impedire ai russi di rifornirsi dei rifornimenti di carburante e legname che arrivavano dal porto del Volga, necessari per continuare la guerra contro il Reich. Perciò se la Battaglia l’avessero vinta i tedeschi, il conflitto avrebbe preso un’altra piega…

8 Inizialmente fu l’Italia ad aprire quel fronte, attaccando dalla Libia (già suo possedimento) all’Egitto (in mano inglese). Per l’Italia conquistare l’Egitto (ed eventualmente il Sudan) sarebbe stato molto importante perché avrebbe permesso di unificare i domini italiani in Africa (dall’Etiopia alla Libia, appunto) e di controllare il Canale di Suez, strategicamente assai rilevante. Il cattivo andamento di questa campagna, poi, obbligò Hitler a intervenire a supporto dell’Italia perché se gli inglesi avessero conquistato la Libia, avrebbero avuto un facile avamposto da cui partire per attaccare l’Europa da sud.

9 L’11 luglio un forte bombardamento aereo aveva permesso agli Alleati di espugnare l’isola di Pantelleria. Il giorno dopo sarebbe stata conquistata anche Lampedusa. È il preludio allo sbarco in Sicilia. Lo sbarco sull’isola avverrà, infatti, pochissimi giorni dopo: una sterminata flotta composta fra l’altro da 280 navi riversa sulla costa dell’isola l’armata d’invasione, la cui prima ondata d’attacco è costituita da 150.000 uomini: la VII armata americana sbarca fra Licata e Pozzallo, l’VIII armata britannica fra Capo Passero e Siracusa..

10 Il 19 luglio vi fu una massiccia incursione aerea persino su Roma, provocando migliaia di vittime innocenti. Il Re si reca sul luogo del bombardamento: la sua auto è però presa a sassate dalla gente infuriata dal protrarsi di una guerra ritenuta ormai controproducente per l’intera Nazione. È il chiaro segnale che la Monarchia ed il Duce non riscuotono più il favore della popolazione.

Il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, resosi conto della brutta piega che la Guerra stava prendendo, al fine di risparmiare al Paese ulteriori ed inutili perdite e di sottrarre la popolazione ad ulteriori immani sacrifici, decide di sfiduciare il Duce Benito Mussolini, reo di aver mandato una Nazione allo sbaraglio, coinvolgendola in un conflitto dalle proporzioni gigantesche. I membri del “direttorio” hanno perciò l’intenzione di chiedere al più presto la fine delle ostilità agli anglo-americani. Mussolini viene pertanto tratto in arresto dal Re Vittorio Emanuele III, che affida al maresciallo Pietro Badoglio la carica di Capo del Governo, con il compito principale di traghettare il Paese verso la pace. Badoglio però si affretta ad annunciare alla Nazione che nonostante la destituzione del Duce (cui seguirà presto lo scioglimento del PNF e di tutte le organizzazioni collaterali, nonché il ripristino di varie forme di libertà che con Mussolini erano state soppresse) la Guerra continuerà regolarmente a fianco della Germania.

In realtà egli sta iniziando trattative segrete con gli Alleati per un prossimo armistizio. Inizialmente Badoglio, di concerto con gli alti comandi, decide di non rendere noto codesta intenzione, conscio delle reazioni pericolose che una notizia del genere potrebbe scatenare su diversi fronti, a partire da quello tedesco, la cui vendetta non si farebbe attendere, e sarebbe scevra di rappresaglie terribili. Frattanto nel Paese hanno inizio reazioni contrastanti. C’è chi inneggia al Re (scorgendo nella sua decisione i prodromi dell’uscita da un conflitto disgraziato); c’è chi serba azioni di rivalsa nei confronti di coloro che hanno tradito il Duce ed il Fascismo; c’è chi si sente legittimato ad agire violentemente contro i fascisti, ormai defraudati. Ma soprattutto ci sono gli antifascisti, che dopo anni di clandestinità o di carcere (o confino giudiziario) ritornano prepotentemente alla ribalta, confluendo in un’unità d’intenti: riprendersi la guida del Paese, un Paese lacerato nel corpo e nell’anima da 3 anni di guerra e sofferenze indicibili.

In primis, fra gli antifascisti, vi sono i membri dell’ex Partito Comunista che, sfidando il nuovo Governo (anch’esso, come la vecchia e tramontata dirigenza fascista, avverso ai comunisti), predica più o meno nell’ombra il disfattismo, inducendo scioperi ad oltranza, specie nelle fabbriche a produzione bellica, con l’obiettivo mai celato di paralizzare la fabbricazione di armi e quindi costringere l’Italia alla resa, uscendo da un conflitto le cui conseguenze per la popolazione si stanno facendo troppo gravose per essere ancora tollerate e sopportate. Al fine di convincere gli operai, in gran parte di mentalità fascista e pregnanti di Patriottismo esasperato, i comunisti fanno leva sulle condizioni degli stessi, deprecabili di certo sotto vari aspetti, e naturalmente sulla penuria di viveri, imputabile proprio al prolungarsi del conflitto. Essi vogliono infondere nella classe lavoratrice un forte sentimento di odio nei confronti della classe dirigente, e in particolare del Governo, che si ostina a continuare una Guerra impari, inutile e tanto disastrosa, che sta riducendo il popolo alla fame. E, dopo tanti sforzi profusi in questa direzione, vi riescono. Sono tante, infatti, le fabbriche che aderiscono agli scioperi, arrestando drasticamente la produzione bellica, inducendo perciò il Capo del Governo dapprima ad accogliere la collaborazione dei comunisti (che minacciano di far collassare l’economia del Paese) a livello governativo, quindi ad affrettare il passo verso l’armistizio.

11 Ma perchè, è lecito chiedersi, gli Alleati prevalsero? Beh, le concause furono tante, e noi qui ci limiteremo a ricordarne alcune, le tre principali. Una fu di certo l’assenza d’informazioni sul luogo esatto dove sarebbe avvenuto lo sbarco in terra francese. La Germania, infatti, attendeva da tempo la controffensiva angloamericana, ma non sapeva dove essa sarebbe avvenuta precisamente, e ciò impedì ai tedeschi di “accogliere” a dovere gli avversari. Poi giocò a favore degli Alleati la guerra che la Germania stava combattendo sul fronte orientale, che la costrinse ad impiegare ingenti risorse umane e le migliori armi belliche a scapito del fronte francese. Infine, un altro ruolo cardine lo giocò lo spionaggio, che in ambito tedesco non funzionò a dovere, contrariamente a quanto avvenne fra gli Alleati, che proprio in virtù di un ingegnoso sistema di spie riuscì a vanificare gran parte delle contromisure. Svolse un ruolo importante anche la resistenza francese. L’Operazione Overlord è considerata la più gigantesca operazione militare aeronavale di sempre.

12 E’ lecito chiedersi cosa abbia spinto il Giappone a sfidare una super potenza come gli USA. Ovvero, come credevano di spuntarla? In verità i nipponici speravano sul fattore tempo: distruggendo la flotta USA alle Hawaii, pensavano di avere un anno di vantaggio, perché gli americani avrebbero impiegato mesi a ricostruirla per poter essere di nuovo competitivi sui mari. E nel giro di un anno i giapponesi avrebbero assunto una posizione di forza che poi avrebbe permesso loro di trattare con gli USA una pace comunque favorevole. Invece fecero male i conti, perché gli USA riuscirono ad essere pronti prima del previsto e soprattutto non avevano nessuna intenzione di scendere a compromessi.

13 https://it.wikipedia.org/wiki/Attacchi_sul_Nord_America_durante_la_seconda_guerra_mondiale?fbclid=IwAR0yk7enU12jPRZRmj7OYFghhVAvUQdzUNV5foWLjKr3whgO2Nie3QW_Eoc#L’attacco_di_Nobuo_Fujita

VENTITREESIMA PUNTATA

IL SECONDO DOPOGUERRA

USA e URSS si spartiscono il Mondo: è Guerra Fredda

Nel ’45 due grandi potenze, la Germania e il Giappone, in pratica non “esistevano” più, l’Europa era un cumulo di macerie e due nuovi protagonisti occupavano la scena mondiale, gli USA e l’URSS. Dopo secoli di dominio incontrastato, il vecchio continente perdeva così il suo ruolo di “Signore del Mondo”. Gli effetti di questo declino sarebbero stati enormi: molte Nazioni asiatiche ed africane, soggette fino ad allora agli europei, avrebbero rivendicato e ottenuto la libertà (nel solo 1960 ben 16 Paesi africani otterranno l’indipendenza), mentre le due nuove grandi potenze avrebbero realizzato un nuovo ordine planetario che presto sarebbe sfociato nella “Guerra Fredda”.

Con l’espressione “Guerra Fredda” s’intende la contrapposizione politica, ideologica e militare che venne a crearsi alla fine della seconda guerra mondiale tra due blocchi internazionali: da una parte vi erano, alleati degli USA, quasi tutti gli Stati europei occidentali (che dal ’49 saranno legati dal Patto Atlantico), di stampo democratico, dipendenti economicamente proprio dagli Stati Uniti (in virtù degli aiuti post-bellici riconducibili al Piano Marshall), e dall’altra quasi tutti i Paesi dell’Europa d’Oriente, facenti capo all’URSS, cioè i paesi “satellite” soggetti al dominio comunista (che dal ’55 saranno legati fra loro dal Patto di Varsavia). In sostanza, una volta sconfitti Hitler, le grandi potenze avevano deciso di condizionare la vita dei popoli che dovevano loro la liberazione. Così il Mondo si era così diviso in due blocchi contrapposti, separato da una “cortina di ferro” (copyright W. Churchill).

I due blocchi si fronteggiarono a lungo in una “guerra” fatta di corsa agli armamenti – per alcuni anni vi sarà persino l’incubo della 3^ Guerra Mondiale, specie nel ‘62, con la “crisi di Cuba” innescata dal dittatore Fidel Castro -, attacchi ideologici, minacce nucleari (sia Usa che URSS, infatti, erano in possesso della bomba atomica), sfide economiche, sportive (l’Unione Sovietica per diversi decenni sarà una super potenza in quasi ogni sport) e tecnologiche. Persino spaziali: l’URSS nel ’61 mandò il primo uomo sullo spazio (Yuri Gagarin), gli USA addirittura “conquistarono” il suolo lunare (avvalendosi perlopiù di ex scienziati al servizio del Terzo Raich)era il 21 luglio ’69, e Neil Armstrong diventava il primo umano a compiere “un piccolo passo per un uomo ed un grande passo per l’umanità”. Frattanto, nel 1963, gli Usa ed il Mondo rimanevano shoccati per l’attentato (compiuto da uno psicolabile, per motivi ancora avvolti nel mistero) che costava la vita al capo della “Casa Bianca” J.F. Kennedy, che con la sua condotta aveva contribuito a distendere il clima fra Occidente ed Oriente. Egli, infatti, aveva improntato la sua politica sulla democrazia, sull’uguaglianza (si batté per la fine della discriminazione razziale), sulla libertà e sul dialogo, rimanendo nel cuore della popolazione americana, che sinora lo ricorda con affetto e riconoscenza.

Frattanto l’Europa occidentale nel ’57 aveva dato vita alla CEE (Comunità Economica Europea, inizialmente vi aderirono soltanto Francia, Germania, Italia e Benelux), una sorta di “Stati Uniti d’Europa” cui oggi – sotto il nuovo nome di Unione Europea – fan parte quasi tutti i paesi (27) del vecchio continente (fra il 2016 ed il ’20 ne sarebbe uscita la Gran Bretagna).

La dissoluzione dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda

Se questa venisse a cessare, se la tensione nel mondo si allentasse, se le paure e le apprensioni diminuissero, io credo che potremmo progredire assai più rapidamente. Se il denaro oggi destinato agli armamenti venisse invece impiegato ad altri scopi, non vi sarebbe alcun sovraccarico addizionale per per le popolazioni. Si risparmierebbe tanto denaro, in questo modo. Se si potesse usufruire anche soltanto del dieci o del venti per cento del denaro ora speso in armamenti, sarebbe già una grossa somma”. [Jawaharlal Nehru]

Già dai primi anni Ottanta i due Blocchi avviarono un graduale processo di distensione e disarmo e in Unione Sovietica l’amministrazione Gorbačëv – che aveva ereditato uno Stato alle prese con serissimi problemi di varia natura – iniziò una graduale ristrutturazione del sistema politico, economico e sociale (perestrojka), facendosi così interprete delle spinte sotterranee che percorrevano da anni la società sovietica.

La nuova politica di matrice liberale e democratica di Gorbačëv in ambito economico non diede i risultati sperati mentre in ambito sociale creò l’effetto indesiderato di risvegliare un nazionalismo da lungo tempo sopito di varie Repubbliche dell’Unione Sovietica. Le richieste di maggiore indipendenza dal governo di Mosca crebbero sempre di più, specialmente nelle Repubbliche Baltiche di Estonia, Lituania e Lettonia, che erano state annesse all’Unione Sovietica da Stalin nel 1940, e negli Stati “satellite” come Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Questi movimenti nazionalisti vennero fortemente rafforzati dall’economia sovietica in declino, per cui il governo di Mosca divenne un utile capro espiatorio per i problemi economici. Nei tardi anni ’80 il processo di apertura e democratizzazione iniziò ad andare fuori controllo, e andò ben oltre le intenzioni di Gorbačëv, che aveva sì auspicato e favorito una certa indipendenza delle Repubbliche sovietiche, ma che non immaginava che essa avrebbe portato alla disintegrazione dell’URSS. Nel maggio del 1990, con l’assenso dell’URSS, la Germania, dopo il crollo – a seguito di varie sommosse popolari – del regime della DDR (e del muro di Berlino, dal 1961 simbolo della guerra fredda), fu riunificata1 (su proposta della Ger Ovest). Fra il 1990 ed il ’91, sempre dopo delle insurrezioni di massa, otterranno l’indipendenza tutte le altre repubbliche comuniste: ne usciranno tantissime Nazioni indipendenti, fra cui Russia (con a capo B. Eltsin), Kazakistan, Ucraina, Bielorussia, Lituania, Estonia, Lettonia, Azerbaigian, Georgia, Moldova, Uzbekistan ed Armenia. L’URSS finirà ufficialmente di esistere nel dicembre ’91. Più o meno nello stesso periodo si dissolveva anche la Jugoslavia: oggi le Nazioni che erano inglobate nel territorio slavo sono Serbia, Montenegro, Croazia, Slovenia, Macedonia del Nord (da non confondere con l’altra Macedonia, che è una regione della Grecia), Kosovo, Bosnia.

Fra le personalità che contribuirono alla fine della guerra fredda (e del regime comunista) vi fu Papa Giovanni Paolo II (che salì al Pontificato nel 1978), il quale, probabilmente proprio per questo suo impegno anticomunista, subì un attentato nel maggio 1981, quando un terrorista turco (Alì Agca) gli sparò diversi colpi d’arma da fuoco che soltanto per un soffio non posero fine all’esistenza di uno dei Papi più grandi della storia, che avrebbe continuato il processo di “modernizzazione” della Chiesa già iniziato decenni prima da Papa Giovanni XXIII, traghettandola nel Terzo millennio.

1Fra le conseguenze della seconda guerra mondiale vi era stata, infatti, la divisione della Germania in due: da una parte, ad Est vi era la DDR (Repubblica Democratica Tedesca) – controllata dai russi – e dall’altra, ad Ovest, la RFT (Rep. Federale Tedesca), controllata dagli USA.

VENTRIQUATTRESIMA PUNTATA

Il nuovo Occidente

  • L’Italia è Repubblica

Frattanto il 3 giugno 1946, tramite un referendum popolare a suffragio universale (in cui votarono per la prima volta anche le donne), l’Italia scelse, col 54% delle preferenze, di porre fine al regime monarchico (Vittorio Emanuele nel frattempo aveva abdicato in favore del figlio Umberto) per trasformarsi in Repubblica Parlamentare. Le elezioni politiche tenutesi lo stesso giorno del suddetto referendum registrano il successo (35% delle preferenze) della Democrazia Cristiana (che dominerà la scena politica per quasi mezzo secolo), guidata da A. De Gasperi: egli quindi forma un governo di coalizione con democristiani, socialisti, comunisti e repubblicani, avviandosi ad elaborare la nuova Costituzione. Quindi il 28 giugno 1946 Enrico De Nicola viene eletto Capo provvisorio dello Stato dalla neoeletta Assemblea Costituente (ricoprirà tale carica sino al 31 dicembre 1947; il 1º gennaio 1948, a norma della prima disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana, eserciterà le attribuzioni e assumerà il titolo di Presidente della Repubblica Italiana, rimanendo in carica fino al successivo 12 maggio).

La nuova Costituzione (sinora vigente) entrò in vigore nel gennaio del 1948 (ed era l’espressione del popolo e non una gentile concessione del sovrano come era accaduto in precedenza) e ripristinava ogni forma di libertà abolita col Fascismo, introducendo avanzatissime norme d’uguaglianza e di salvaguardia dei diritti civili, politici, religiosi, etnici (veniva inoltre abolita la condanna a morte) ecc…, facendo dell’Italia uno Stato liberaldemocratico sotto ogni aspetto, in cui la violenza, anche quella ideologica, non era più tollerata (nella Costituzione inoltre si ripudiava la Guerra come mezzo d’offesa e si mandavano in esilio i Savoia1 e i futuri discendenti di tale famiglia reale). Per delle riforme che rappresentarono una rivoluzione socio-culturale davvero epocale, senza precedenti, e di cui si può avere riscontro ai giorni nostri.

  • La società del benessere

Intanto un po’ in tutta l’Europa occidentale, grazie al diffondersi delle politiche keynesiane (che, come avevamo visto, erano state già applicate da Roosevelt negli USA) inizia a perfezionarsi il cosiddetto Welfare State, lo “Stato sociale” (che aveva visto i primi timidi vagiti nell’Ottocento), che si assume sempre più il compito di sostenere e proteggere il cittadino per tutto l’arco della sua esistenza. Europa che pian piano – soprattutto in virtù degli aiuti americani (e del libero scambio che soppianterà il protezionismo) – inizia a riprendersi economicamente, e negli anni Cinquanta tale ripresa sarà così marcata che si parlerà di “Miracolo economico”. A trasformare in meglio la qualità di vita della popolazione, ergendola a livelli poco prima inimmaginabili, contribuiscono altresì una serie d’invenzioni straordinarie e di migliorie tecnico-scientifiche e mediche che non si registravano da tempo… A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, in un’Europa ormai fortemente industrializzata (l’industrializzazione ricevette un grande impulso dal diffondersi del “fordismo”) e “consumistica” (iniziano a sorgere i primi supermercati, emblema del consumismo), inizierà a svilupparsi vertiginosamente il settore trasporti: dall’automobile – la cui diffusione asseconderà gli spostamenti individuali e delle famiglie, favorendo fra l’altro il sorgere delle gite estive, da trascorrersi magari al mare – , al treno ed al trasporto aereo, che permetterà sì di viaggiare per lunghissimi tragitti in tempi brevi, ma soprattutto abbatterà i costi di trasporto delle merci, permettendo anche alle classi meno abbienti di comperare prodotti che sino a pochi decenni prima non avrebbero mai potuto acquistare.

Si affermeranno sempre più gli elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi, scaldabagni e lavastoviglie diverranno presenti in quasi ogni casa. La radio si diffonderà sempre più, e presto sarà affiancata dalla TV (le prime trasmissioni regolari in Italia saranno nel ’54), una delle principali invenzioni di massa di sempre, che rivoluzionerà definitivamente la vita quotidiana. Più tardi faranno l’ingresso in scena i primi rudimentali computer: calcolatori avanzatissimi oggi emblema della tecnologia ed indispensabili strumenti di lavoro (il primo personal computer fu presentato nel ’65), al cui sviluppo diedero un gran contributo Steve Jobs e Bill Gates. Poi ad inizio anni ’90 vi sarà l’invenzione di Internet (una rete di telecomunicazioni ad accesso pubblico in grado di connettere vari dispositivi o terminali in tutto il mondo, consentendo l’accesso a milioni di dati ed informazioni varie; l’inventore è ritenuto Tim Berners-Lee), la rivoluzione per eccellenza degli ultimi vent’anni. Merita una citazione l’invenzione del telefono cellulare (inventato da Martin Cooper, direttore della sezione Ricerca e sviluppo della Motorola, che fece la sua prima telefonata da un cellulare il 3 aprile 1973), che avrebbe permesso di telefonare da qualsiasi posto (più tardi si sarebbe evoluto negli odierni smartphone, una sorta di pc portatile). Inoltre si verificarono ulteriori progressi giganteschi nella chirurgia (nel 1954 sarebbe stato effettuato il primo trapianto di organi). Frattanto, assieme al settore industriale, registra una grande impennata anche il settore terziario: l’Europa rurale di un secolo prima è ormai un lontano ricordo. Parallelamente, sul fronte asiatico, iniziano ad emergere, dopo secoli di scandalosa arretratezza, Cina e Giappone, destinati a divenire in pochi decenni dei giganti economici di livello planetario

Nel 1968, intanto, a partire dalle università, una grande ondata di disordini attraversò gli USA, raggiungendo tutta Europa. Un’intera generazione, per la prima volta, non accettava più il modo di vita dei propri genitori e chiedeva un cambiamento radicale della società, dei costumi, della vita quotidiana, basando le loro idee sulla libertà assoluta (compresa quella sessuale) e sulla pace. Gli usi ed i costumi non sarebbero stati più quelli di prima…Sempre in quel periodo la musica (“pop” e “rock” in particolare, grazie in primis ad artisti come Elvis Presley ed a gruppi come i Beatles ed i Rolling Stones; poi negli anni ’80 avrebbe visto l’auge la “dance”) ed il cinema (molti registi ed attori diventarono delle autentiche celebrità) raggiunsero livelli sublimi, entrando nella cultura popolare.

  • L’Italia fra criminalità organizzata e Terrorismo

Un fenomeno tanto inquietante e tanto transitorio che ha tentato di destabilizzare a più riprese la Repubblica italiana, è stato, fra gli anni Settanta ed Ottanta, quello del Terrorismo, che assumerà varie forme, la più famosa delle quali fu quella delle Brigate Rosse, un’organizzazione armata di estrema sinistra fondata nel 1970 da Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol, che negli “anni di piombo” mise a durissima prova l’apparato democratico italiano, per una delle pagine più tragiche dell’era Repubblicana. Secondo fondatori e dirigenti, le Brigate Rosse dovevano “indicare il cammino per il raggiungimento del potere e l’instaurazione della dittatura del proletariato e la costruzione del comunismo anche in Italia”. Tale obiettivo doveva realizzarsi attraverso azioni politico-militari2Dal 1974 (anno dei primi omicidi ad esse attribuiti) al 1988 le Brigate Rosse avrebbero rivendicato ben 86 omicidi: la maggior parte delle vittime erano agenti di Polizia e Carabinieri, magistrati e uomini politici (a questi vanno aggiunti i ferimenti, i sequestri di persona e le rapine compiute per “finanziare” l’organizzazione).

Ma al contempo lo Stato italiano dovette (e deve tuttora) fare i conti col sempre più crescente fenomeno mafioso, specie con organizzazioni come Cosa Nostra, la Camorra e la Ndrangheta, quasi impossibili da smantellare, per via del gran numero di aderenti, del terrore che incutono su ogni strato della popolazione e per le complicità di moltissimi politici (e a volte alte cariche istituzionali), i quali garantendo l’impunità agli affiliati ottengono in cambio diversi favori. La Mafia fino agli anni ’50 era un fenomeno pressoché rurale che agiva nell’ombra, facendo affari a dismisura anche con l’estero. Col passare degli anni lo Stato, dopo decenni di connivenza, cominciò a combattere con decisione la Mafia, pagando però un pesantissimo tributo di morti che ha dell’inverosimile. Fra le ultime pagine tragiche scritte dalla Mafia Sicula ricordiamo gli assassinii dei giudici C. Terranova, G. Falcone e P. Borsellino, del generale C. A. Dalla Chiesa, del Presidente della Regione P. Mattarella (fratello dell’attuale Presidente della Rep. Sergio)… solo alcuni dei martiri sacrificati in nome del loro dovere, e che hanno contribuito all’arresto di molti esponenti di spicco dell’associazione a delinquere, come Totò Riina (catturato nel ’93), per anni spietato capo dei capi della Cupola, Bernardo Provenzano (arrestato nel 2006) e tanti altri. Oggi la Mafia fa meno paura alle istituzioni, ma non per questo ha perso il suo enorme potere, anzi continua a crescere economicamente (a spese dei commercianti), per quella che appare come un’azienda in piena regola (foraggiata da racket, sfruttamento della prostituzione, smercio di droghe come cocaina ed eroina…), per ora comandata da Matteo Messina Denaro.

L’Italia oggi

In Italia, negli ultimi trent’anni, le istituzioni ed i vari enti preposti hanno iniziato una parabola discendente che non ci permette di essere definiti un Paese pienamente civile, con sempre nuove problematiche che rimangono irrisolte e problemi endemici che vanno ad aumentare l’insoddisfazione dei cittadini, frustrati dal vedersi coinvolti in un sistema non al passo con le loro esigenze, dove la corruzione, il clientelismo, l’eccesso di burocrazia, le ingiustizie, la criminalità, la malasanità e la presenza di un Parlamento non all’altezza delle aspettative la fanno da padroni. In particolare, il sistema politico è sempre più in crisi, con i partiti spaccati al loro interno, ed i parlamentari quasi mai in grado di attuare le giuste riforme che il Paese aspetta da tanto tempo. E le vicende penali che negli ultimi decenni hanno interessato tanti esponenti politici di spicco sono la valida riprova che ci troviamo innanzi ad una classe politica da rifondare. Per non parlare della situazione economica – che ci mostra un Paese incapace di competere con gli altri Stati avanzati della Comunità Europea (specie con la Germania, Paese guida dell’Europa) – e del ritardo tecnologico che ci contraddistingue nell’occidente europeo.

Il terrorismo internazionale

L’11 settembre del 2001 le Torri Gemelle (Twin Towers) di New York collassarono su se stesse a seguito dello schianto di due arei, dirottati da terroristi islamici di Al Quaeda, un’organizzazione terroristica facente capo al potente sceicco saudita Osama Bin Laden: da quel giorno il Mondo si accorse del terrorismo internazionale di matrice islamica e dovette iniziare a far i conti con la paura. Un nemico subdolo ed imprevedibile dichiarava una strana guerra all’Occidente (imputato più che altro di essere di religione cristiana…), che non esitava a rispondere con le armi, dichiarando guerra (USA in testa) ai cosiddetti “Stati canaglia”, come l’Iraq e l’Afghanistan, imputati di essere la culla dei più pericolosi terroristi del Pianeta. Negli anni successivi si susseguiranno numerosi attentati, colpendo persino capitali importantissime d’Europa, creando un perenne stato di tensione ed insicurezza fra le varie Nazioni. Attorno al 2013 salirà alla ribalta un nuovo gruppo terroristico di fondamentalisti islamici, originario della Siria, l’ISIS, che scioccherà il Mondo con le sue barbarie commesse nel nord Africa, in medio-Oriente e persino nel vecchio continente (come quando a Parigi, il 13 novembre del 2015, un commando di una decina di fanatici irruppe nel teatro Bataclan sparando senza pietà sulla folla inerme, provocando oltre 130 vittime e decine di feriti, colpevoli soltanto di non essere musulmani).

La “guerra” al Pianeta Terra

Un problema che è persino più grave del Terrorismo è sicuramente quello ambientale. Come già accennato nei paragrafi precedenti, dopo la “Prima Rivoluzione Industriale” iniziò a presentarsi, soprattutto nelle prime grandi metropoli, la cosiddetta questione ambientale, che più tardi, specie nel Dopoguerra, sarebbe prepotentemente salita alla ribalta, divenendo un vero e proprio fenomeno globale. Lo sviluppo industriale non eco-sostenibile l’avrebbe fatta sempre più da padrone quasi incontrastato, con l’intero Pianeta inquinato, dai fiumi agli oceani, dai mari all’aria. Col tempo l’inquinamento avrebbe addirittura provocato importanti cambiamenti climatici, che nell’ultimo ventennio sono diventati di tale gravità da richiedere l’intervento urgente e non più procrastinabile di tutte le Nazioni, specie quelle industrialmente più avanzate. Sebbene negli ultimi anni sia aumentata la sensibilità della popolazione e delle istituzioni, ben poco si è fatto e si sta tuttora facendo per non violentare la natura e quanto di più prezioso la Terra ci offre, dall’aria all’acqua. Si stanno sviluppando, è vero, sempre più tecnologie ecocompatibili, si stanno sfruttando energie rinnovabili come quelle provenienti dal sole e dal vento, si stanno varando alcune riforme in materia ambientale, ma il tutto è ancora allo stato embrionale o quasi, e si ha la sensazione che i grandi della Terra non si vogliano ancora render conto appieno della gravità della situazione, nonostante il clima stia facendo di tutto per attirare su di sè l’attenzione di chi si ostina a non voler vedere. Un clima che è la vera cartina di tornasole di una natura ormai stanca di essere maltrattata in maniera indiscriminata, come confermano i sempre più frequenti uragani, alluvioni, esondazioni, tornado…per delle “intemperanze atmosferiche” con cui si rischia di dover convivere da qui ai prossimi decenni, se non addirittura secoli, per un Pianeta che di questo passo diverrà quasi invivibile…

L’uomo sta venendo contro il suo stesso principio implicito che ha iniziato a perseguire sin dalla preistoria, ovvero vivere meglio, sempre meglio. Vivere meglio, infatti, non vuol dire soltanto possedere un’automobile costosissima o divertirsi la sera andando al cinema o in discoteca, ma poter fare una passeggiata all’aperto senza mascherina, potersi fare un bagno al mare senza timore che vi siano metalli pesanti, bere acqua senza avvelenarsi. Se ci sono vietate queste cose, persino respirare aria pura e bere acqua potabile – che sono l’essenza della vita – allora vuol dire che la storia dell’uomo sta proprio degenerando, rischiando d’inabissarsi per sempre fra i veleni di un Pianeta che negli ultimi cent’anni non abbiamo fatto altro che “offendere”. Se un tempo la Terra rischiava di scomparire per guerre nucleari, adesso rischia di morire per l’inquinamento. Ed il comune denominatore è sempre lo stesso: l’uomo, il più pericoloso ed improvvido degli esseri viventi. Che in questi ultimi decenni sembra aver dichiarato una guerra assurda e del tutto controproducente: una guerra al Pianeta Terra.

Questi sono solo seri aspetti di una civiltà sì progredita ma con tante contraddizioni ed ancora alle prese con serissimi problemi di svariata natura.

Bene, carissimi lettori, siamo giunti alla conclusione di questa straordinaria avventura. Spero sia stata di vostro gradimento. Per chi fosse interessato alla stampa può inviarmi una e-mail ad albertosigona@gmail.com. Grazie per l’attenzione!

1I Savoia regnavano in Italia dal 1563, quando Emanuele Filiberto spostò la capitale dei propri domini da Chambery a Torino, governando il Regno di Sardegna prima e l’intera penisola a partire dall’unità d’Italia.

2 La prima azione condotta contro un esponente dello Stato fu il rapimento del sostituto procuratore Mario Sossi, avvenuto a Genova, il 18 aprile del 1974. Sossi, che era stato Pubblico Ministero nel processo contro il gruppo armato genovese della “XXII Ottobre”, fu rapito e tenuto prigioniero in un villa vicino Tortona. Sossi fu sottoposto a “processo” dai brigatisti e venne condannato a morte. I brigatisti, però, offrirono allo Stato un’opzione, ovvero chiesero in cambio della sua liberazione la scarcerazione dei membri della “XXII Ottobre” detenuti, in una sorta di “scambio di prigionieri” tra BR e Stato. Durante il sequestro Sossi “collaborò” con i suoi carcerieri, svelando i retroscena d’inchieste insabbiate dalla Questura genovese: dettagli che le BR resero pubblici. Arrivò l’offerta del Tribunale di Genova di rivedere la posizione dei detenuti della “XXII Ottobre” sfruttando le possibilità offerte dalle norme processuali. Sossi venne così liberato a Milano il 23 maggio 1974. Il Procuratore della Repubblica Francesco Coco però non manterrà fede all’impegno e verrà successivamente ucciso l’8 giugno 1976 insieme a due uomini della scorta. Si trattò della prima azione BR pianificata per uccidere, che inaugurò una lunga serie di omicidi politici. Nel ’78 avverrà l’omicidio più noto, quello del Presidente della DC Aldo Moro. Alcuni terroristi, contrari all’uccisione di Moro e alla campagna di sangue in corso, abbandonarono il movimento, segnando l’inizio dell’indebolimento delle BR, che così si esporranno maggiormente all’azione repressiva dello Stato. L’organizzazione fu smantellata principalmente grazie alla promulgazione di una legge dello stato che concedeva cospicui sconti di pena ai membri che avessero rivelato l’identità di altri terroristi.

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39 Responses

  1. L'AUTORE Alberto Sigona ha detto:

    E’ vero, l’ultima lettrice che si è complimentata con me ha ragione, c’è stata una piccola svista nel 1° paragrafo relativo alla grande guerra: la Serbia non era sotto l’impero austroungarico. Spero che FreeSkipper possano cancellare l’errore…

  2. Giorgia ha detto:

    Sono una vostra lettrice affezionata. Vi scrivo per farvi i complimenti per il sito. Vi sono veramente tanti bei articoli. In particolare apprezzo quelli di Renzi, Veneziani. Mi piace tanto pure un certo Sigona (che non conoscevo prima), soprattutto quando si occupa di storia. Recentemente ho concluso la lettura della Storia dell’uomo e mi sono sorpresa (anche mio marito che è un prof. di storia l’ha molto apprezzata): vi è proprio la sintesi di tutto, ed è scritta veramente bene, non ci sono errori (e vista la lunghezza è già un’impresa non farne nessuno), a parte una piccola imprecisazione – forse un lapsus di distrazione – nel paragrafo ” L’assassinio dell’arciduca Ferdinando accende la miccia “, relativo alla Prima Guerra Mondiale, quando scrive tra parentesi che la Serbia era sotto il dominio austro-ungarico (invece era indipendente). Per il resto è un capolavoro.

  3. L'AUTORE Alberto Sigona ha detto:

    La Serbia aspirava a unire in un solo Stato gli slavi del Sud, fra cui croati, sloveni e bosniaci, ma su questa strada trovava naturalmente l’opposizione dell’impero austroungarico. L’attentato di Sarajevo fu perciò la conseguenza di tale aspirazione unificatrice.

  4. L'AUTORE Alberto Sigona ha detto:

    I GRANDI IMPERATORI DI ROMA

    AUGUSTO (27 a.C./14 d. C.)
    Fu il primo Imperatore di Roma, nonché il più grande e longevo governatore romano che la storia ci abbia tramandato. Egli, una volta al potere, prima di tutto sottomise il Senato, concentrando tutto il comando su di sé, poi provvide all’espansione dell’Impero tramite varie campagne belliche, le quali precedettero un lungo periodo di pace. Fra i meriti principali di Augusto (e furono davvero tanti), infatti, vi fu proprio quello di aver regalato all’Impero un duraturo tempo di quiete, da cui sarebbe derivata una grande prosperità. Egli inoltre fu autore di diverse riforme che investirono praticamente ogni area, da quella amministrativa (grazie alla creazione di ventotto colonie e numerosi municipi che favorirono la romanizzazione dell’intero bacino del Mediterraneo) a quella armata (con l’introduzione di milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell’Urbe, come le coorti urbane e la guardia pretoriana), sino a quella economica (grazie alla pacificazione dell’intera area mediterranea ed alla costruzione di porti, strade, ponti…).

    TIBERIO (14 d. C./37 d.C.)
    Pose fine alla politica di espansione militare e rafforzò i confini dell’Impero. Favorì un’oculata amministrazione.

    CALIGOLA (37-41)
    Attuò una politica del terrore, cancellando le ultime vestigia democratiche che rimanevano nel governo romano. La sua tirannia unita ad una gestione finanziaria capricciosa e ad una inettitudine politica furono i “cardini” del suo Impero.

    CLAUDIO (41-54)
    Fu un governatore saggio, clemente ed estremamente erudito per i canoni dell’epoca. Si distinse inoltre per il compimento di grandi opere di ingegneria e per la conquista della Britannia.

    NERONE (54-68)
    Il suo governo per certi aspetti, specie quelli negativi, somigliò molto a quello di Caligola. Grande amante dell’arte e persecutore dei cristiani, ebbe se non altro il merito di esser riuscito a ricostruire Roma dopo il grande incendio che la colpì nel 64.

    VESPASIANO (69-79)
    Ebbe il merito indiscusso di ridare slancio e splendore ad un Impero in crisi (reduce dal caos finanziario e politico causato da Nerone), rivitalizzandolo sotto diversi punti di vista, in primis sotto l’aspetto economico. Con lui inoltre ebbe inizio la politica dei limes militarizzati, che diedero maggior sicurezza ai confini di un Impero sempre più oggetto di minacce esterne. Fu nota anche la sua politica urbanistica, che comprese la realizzazione di innumerevoli opere pubbliche, su tutti il celeberrimo COLOSSEO.

    DOMIZIANO (81-96)
    Buon amministratore, cercò di migliorare le condizioni economiche dei sudditi e abbellì Roma con una lunga stagione di lavori pubblici. Non mirò all’espansione dell’Impero ma a difenderne i confini.

    TRAIANO (98-117)
    Sotto il suo comando supremo l’Impero romano raggiunse la sua massima estensione territoriale (6,5 milioni di chilometri quadrati), incorporando la Dacia e la Mesopotamia. Esaltato già dai contemporanei e dagli storici antichi come Optimus princeps, da molti storici moderni ed esperti è considerato, in virtù del suo operato e delle sue grandi capacità come comandante, amministratore e politico come uno degli statisti più completi e parsimoniosi della storia, e uno dei migliori imperatori romani.

    ADRIANO (117-138)
    Il suo governo fu caratterizzato da tolleranza, efficienza e splendore delle arti e della filosofia. Si preoccupò particolarmente di proteggere le frontiere costruendo grandi muraglie (come il celebre Vallo di Adriano). Fu famoso altresì per la sua propensione a viaggiare, constatando di persona le condizioni dei territori imperiali.

    ANTONINO PIO (138-161)
    Antonino fu un ottimo gestore dell’economia dell’Impero e, nonostante le numerose campagne edilizie, riuscì a lasciare ai suoi successori un patrimonio di oltre due miliardi e mezzo di sesterzi, segno evidente dell’ottima cura con cui resse le redini dello stato. Fu altresì noto per la sua bonarietà, che lo portò ad esempio ad introdurre pene più lievi per coloro che si macchiavano di reati (introdusse la presunzione d’innocenza e limitò l’uso della tortura). Ottimi i suoi rapporti col Senato, che mai come durante il suo governo avrebbe avuto una tale voce in capitolo.

    MARCO AURELIO (161-180)
    È considerato dalla storiografia tradizionale come un sovrano illuminato. Il suo regno fu tuttavia funestato da conflitti bellici (guerre partiche e marcomanniche), da carestie e pestilenze.

    DIOCLEZIANO (284-305)
    Con l’avvento di Diocleziano, grazie ad innumerevoli riforme di varia natura, ebbe fine il periodo noto come crisi del terzo secolo, caratterizzato dal punto di vista politico da una fase di torbidi interni (Anarchia militare), protrattasi per quasi un cinquantennio, che vide succedersi un elevato numero di imperatori la cui ascesa e permanenza al potere dipese esclusivamente dalla volontà dell’esercito. Al fine di governare al meglio un Dominio divenuto troppo grande, istituì fra l’altro la tetrarchia, preludio alla futura scissione che avrebbe poi caratterizzato gli ultimi decenni dell’Impero. Fu tristemente noto per la sua persecuzione cristiana.

    COSTANTINO IL GRANDE (306-337)
    Costantino è una delle figure più importanti dell’Impero romano, che riformò largamente. Tra i suoi interventi più significativi: la riorganizzazione dell’amministrazione e dell’esercito, la creazione di una nuova capitale a Oriente (Costantinopoli) e la promulgazione dell’Editto di Milano sulla libertà religiosa.

    TEODOSIO (379-395)
    Fu l’ultimo Imperatore a regnare su di un impero unificato (prima della sua morte lo divise fra i due figli, Onorio ed Arcadio) e fece del Cristianesimo la religione unica e obbligatoria dell’Impero.

  5. Alberto Sigona ha detto:

    Ecco in maniera sintetica e schematica quanto avvenne negli anni Novanta in Jugoslavia

    Slovenia e Croazia proclamano l’indipendenza dalla JUGOSLAVIA (dove dominava politicamente la Serbia di S. Milosevic).
    Inizio bombardamenti jugoslavi contro la Croazia
    Inizio della guerra civile in Croazia (fra serbi e croati)
    Dichiarazione d’indipendenza in Bosnia
    Inizio bombardamenti jugoslavi contro la Bosnia
    Inizio della guerra civile in Bosnia (in cui c’è un guazzabuglio di etnie)
    NATO bombarda Serbia, inducendola alla resa.

  6. Alberto Sigona ha detto:

    Cari lettori,
    ci avviciniamo ad ampie falcate verso la fatidica conclusione di questa fantastica avventura, una sorta di viaggio nel tempo che ci ha permesso di visitare a grandi linee l’intera storia dell’umanità.
    Vi anticipo che la 21^ puntata sarà dedicata ai due più feroci dittatori della storia contemporanea. Poi la 22^ sarà interamente incentrata sulla Seconda Guerra Mondiale, a cui dedicherò una sintesi molto estesa e piena di glosse.

  7. Alberto Sigona ha detto:

    Il Regno delle due Sicilie fu il risultato della fusione fra Regno di Napoli e Regno di Sicilia.

  8. LoZio ha detto:

    NOOOOOOOOOOOOO Albe’ te prego, FERMATEEEEE abbi pietà di noi!

  9. Alberto Sigona ha detto:

    E con il Risorgimento (un argomento molto complesso che ho cercato di semplificare il più possibile) si conclude la Storia Moderna. Dalla prossima puntata (17^), a Dio piacendo, c’immergeremo nella STORIA CONTEMPORANEA. Ci sarà da “divertirsi”. Per info: albertosigona@gmail.com

  10. Anonimo ha detto:

    La verità? …du palleeeeeee

  11. Giacomo-TO ha detto:

    Sincerità? Sicuramente ti leggo più volentieri quando sei meno…. palloso con le tue interminabili storie! E poi chiedi a noi lettori un giudizio…. basta che guardi la tua pagella!!!!

  12. Leo-GE ha detto:

    Competenza. Conoscenza. Scrittura.

  13. Bea'80 ha detto:

    …ma per curiosità quante puntate mancano alla fine?

  14. Piva Mario ha detto:

    …francamente? la pallosità, ma io sono un povero contadino… poco istruito, anzi per niente e cerco di saperne di più leggendi le tue stroire

  15. Alberto Sigona ha detto:

    Cari lettori, nei prossimi giorni vedrete la 16^puntata… Spero che possa riscuotere il vostro consenso entusiasta…A proposito, posso chiedervi qual è la cosa che più apprrezzate della mia storia?

  16. Alberto Sigona ha detto:

    Cari lettori, mi fa piacere ricevere tutti questi complimenti. a proposito di storia, non perdetevi la mia intervista al prof E. Ferretti https://freeskipper.altervista.org/intervista-di-a-sigona-al-divulgatore-storico-prof-ermanno-ferretti/

  17. Ivana T. ha detto:

    Eccezionale testimonianza del sapere umano. Stampo questa dissertazione e la propongo al mio Prof per la tesi di laurea!

  18. Vale'80 ha detto:

    NOOOO ti prego, ti scongiuro, non fermarti… continua con la tua storia!

  19. Ernesto SP ha detto:

    Una storia infinita: confido nell’estro dell’Autore affinchè continui la sua pregevole narrazione non fermandosi al 2021, ma andando oltre…. sento già che mi mancheranno i suoi travolgenti racconti. Complimenti caldissimi!

  20. Giusy BO ha detto:

    Stupefacente! Spero che ci siano ancora altre puntate e che continui la tua storia raccontandoci il futuro!

  21. Elena S. ha detto:

    …la tua storia è talmente affascinante che spero seguano altre ed altre ed altre puntate ancora!

  22. Alberto Sigona ha detto:

    Cari Lettori,
    siamo giunti a buon punto della “nostra” storia. Per qualsiasi dubbio o se avete bisogno di qualche lezione privata on line o per telefono, io sono disponibile GRATIS. Per me sarà un vero piacere! Potrete contattarmi anche su what’s app.

  23. Alberto Sigona ha detto:

    Durante i giorni convulsi della Rivoluzione, quando ci si apprestava a decidere le sorti del Re, mi sono preso la briga d’intervistare Robespierre. Ecco quanto ci dichiarò.

    Cittadino Robespierre: Voi affermate in uno dei vostri innumerevoli discorsi pubblici come la bilancia della giustizia dovrebbe pendere in favore dei cittadini meno agiati anziché dei ricchi. Come mai?

    Io sono del parere che le leggi abbiano il “compito” primario di proteggere la debolezza contro l’ingiustizia e l’oppressione. Riporle nelle mani dei ricchi è contravvenire tutti i più elementari princìpi sociali. Il popolo chiede solo il necessario, vuole giustizia e tranquillità; i ricchi, invece, vogliono tutto, dominare tutto. Gli abusi sono l’opera ed il dominio dei ricchi, e sono il flagello dei popoli: l’interesse del popolo è l’interesse generale, quello dei ricchi è l’interesse particolare.

    Voi vi siete dichiarati assolutamente contrari all’inviolabilità regale. Ma come giustificate la vostra idea?

    Io chiedo a voi: se un Re sgozzasse i vostri figli sotto i vostri occhi, se oltraggiasse vostra moglie, gli direste forse: <> Il Re è inviolabile! Ma non lo sono forse anche i popoli? Il Re è inviolabile grazie ad una finzione, mentre i popoli lo sono per diritto sacro della natura. L’uguaglianza assoluta presuppone che anche il Re debba rispettare la legge, a maggior ragione se è stato lui stesso ad emanarla. Altrimenti mi spiegate che società potrebbe mai essere quella in cui al Re è permesso tutto? Proprio lui, che dovrebbe essere il garante per eccellenza? Se il Re infrange la legge dovrà essere punito come tutti, anzi, dovrà essere punito con maggior severità. Nella migliore delle ipotesi perderebbe il diritto a governare.

    Voi citate la legge, ma nel contempo auspicate la morte della Monarchia in favore della Repubblica. E chi legiferà?

    Vi è solo un tribuno del popolo in cui io possa confidare ed è il popolo stesso. Non vi dovrà più essere una sola persona a legiferare, ma un’assemblea di rappresentanti del popolo, che a sua volta dovrà essere sotto il diretto controllo dei deleganti. Dovrà essere scongiurata ogni forma d’indipendenza dei legislatori. Tanto un’assemblea sarà indipendente, tanto si allontanerà dai propri doveri. Ed inoltre sarà fondamentale la divisione di ogni forma di potere, da quello esecutivo a quello giudiziario. Mai più più poteri dovranno essere concentrati in unico organismo. Soltanto così prenderà forma la democrazia, la pura democrazia.

    Cos’è per Voi la democrazia?

    Oh, la democrazia, che magnifica invenzione. La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso.

    Capisco. E del Re cosa si dovrà farne? Verrà processato immagino…

    No di certo. Proporre di fare il processo a Luigi significa mettere in contraddizione la stessa rivoluzione. E infatti, se Luigi può essere ancora ancora l’oggetto di un processo, egli può essere anche assolto. Ma in tal caso tutti i difensori della libertà diverrebbero calunniatori. La stessa detenzione che Luigi ha subìto sino ad oggi sarebbe una vessazione ingiusta. Egli avrebbe il diritto di chiedere la scarcerazione, i danni e gli interessi. Ci manca che tutti corriamo da lui ad invocare la sua clemenza! Luigi non può dunque venire giudicato poiché è già condannato, oppure la Repubblica non è ancora assolta. Luigi deve morire, perchè occorre che la Patria viva!

    Capisco. E che mi dice della guerra?

    Ci sarebbe tanto da dire, ma poiché abbiamo poco tempo mi limiterò a enunciare quanto segue. La guerra è sempre il principale desiderio di un governo potente che vuole divenire potente. È proprio durante la guerra che il governo sfinisce completamente il popolo dissipando le sue finanze, è proprio durante la guerra che egli copre con un velo impenetrabile i suoi ladrocini ed i suoi errori. È durante la guerra che il popolo dimentica le deliberazioni che riguardano essenzialmente i suoi diritti civili e politici, per occuparsi di altro. A Roma, quando il popolo, stanco della tirannia e della superbia dei patrizi, reclamava i suoi diritti, il senato dichiarava la guerra. Ed il popolo si dimenticava dei suoi diritti per accorrere sotto gli stendardi dei patrizi e preparare pompe trionfali ai suoi tiranni.

    In molti vi accusano di esagerare con le esecuzioni dei cosìddetti cospiratori della Rivoluzione.

    Chi afferma questo è in mala fede oppure non ha capito il vero scopo della ghigliottina. A mali estremi si devono adottare estremi rimedi. Senza il Terrore la Rivoluzione sarebbe già morta. Soltanto col il Terrore, purchè sia accompagnato dalla Virtù, si potrà purificare la società dalle persone infide e tenere in piedi la Rivoluzione. Siamo alle prese con un momento storico particolarmente importante, che esige decisioni che a volte possono sembrare esagerate. Con la clemenza si darebbe un grande vantaggio ai controrivoluzionari. Tuttavia le assicuro che un solo uomo che non sia stato ritenuto colpevole sia mai salito al patibolo.

    Ma così il popolo rischia di diventare esso stesso un tiranno.

    No di certo. Bisogna avere del sangue freddo per ascoltare il resoconto degli orrori commessi dai tiranni contro i difensori della libertà. Le nostre donne orribilmente mutilate; i nostri figli massacrati sul seno delle loro madri; i nostri prigionieri costretti ad espiare in orribili tormenti il loro eroismo commovente e sublime. E si osa denominare orribile macello la punizione di alcuni mostri che si sono ingrassati con il sangue più puro della nostra Patria!? Le dirò di più. Il governo rivoluzionario ha bisogno di un’attività straordinaria, perchè si trova in stato di guerra. Esso è sottomesso a regole meno uniformi e rigorose, perchè le circostanze in cui si viene a trovare sono tempestose e mobili, e soprattutto perché esso è costretto ad impiegare incessantemente risorse nuove e rapide, per pericoli nuovi e pressanti. Il governo rivoluzionario deve dare ai buoni cittadini tutta la protezione nazionale, ma ai nemici del popolo deve dare soltanto la morte. Inoltre…

    Mi scusi ma la devo stoppare, il tempo è tiranno (tanto per restare in tema) e dobbiamo proseguire con l’ultima domanda. Vi chiedo: non temete che un giorno tanta inflessibilità vi si potrà ritorcere contro? Teme mai per la sua vita?

    Oh, la vita! L’abbandonerò senza rimpianto! Quale amico della Patria potrà mai sopravvivere nel momento in cui non gli è più permesso di servirla né di difendere l’innocenza oppressa? Perchè mai vivere in un ordine di cose in cui l’intrigo trionfa continuamente sulla verità?

  24. Amintore'52 ha detto:

    A gente come Sandro FI rispondo che scrivere di storia è cultura! Ma per taluni è come dare le perle ai porci.
    Con il massimo rispetto per i “porci”, naturalmente, le cui carni sono preziose e viepiù gustosissime!

  25. Sandro FI ha detto:

    …un polpettone senza fine: che pesantezza infinita! CHE PALLLE!!!
    E prima con gli dei dello sport e poi con la storia dell’arte e adesso pure quest’altro pippone.
    Mi rivolgo alla Redazione: abbiate pietà di noi poveri “lettori”…… nun se ne pò piùùùùù

  26. Alberto Sigona ha detto:

    Grazie a tutti!!! In particolare Grazie Micra.Quando finirà, se lo vorrai, ti potrò inviare per e-mail la versione originale con cartine annesse. Nel frattempo se hai bisogno di ulteriori chiarimenti non esitare a contattarmi E lo stesso ovviamente vale per tutti i lettori. La mia e-mail è: albertosigona@gmail.com Facebook: https://www.facebook.com/alberto.sigona.9/

  27. Caterina GE ha detto:

    Trattasi di un evento complessissimo e parecchio articolato nelle sue varie fasi, le conseguenze principali e più immediate sul contesto socioeconomico e politico furono l’abolizione della monarchia assoluta capetingia con la subitanea proclamazione della repubblica, l’eliminazione delle basi economiche e sociali dell’Ancien Régime, ovvero del sistema politico e sociale precedente, ritenuto responsabile dello stato di disuguaglianza e povertà della popolazione subalterna, e l’emanazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, futuro fondamento delle costituzioni moderne.[

  28. Micra Helcan ha detto:

    Complimenti per l’ottimo lavoro: aspetto la fine per stamparlo e farci la mia tesi di laure in storia moderna.
    Grazie, infinite.

  29. Alfred H. ha detto:

    La Rivoluzione francese (chiamata anche Prima rivoluzione francese o Grande rivoluzione francese, per distinguerla dalla Rivoluzione di luglio del 1830 e dai moti rivoluzionari francesi – episodio locale in seno al ben più ampio contesto di rivolte e insurrezioni sociali europee passate alla storia come la Primavera dei popoli – del 1848, chiamate rispettivamente Seconda e Terza rivoluzione francese) fu un periodo di radicale e a tratti violento sconvolgimento sociale, politico e culturale occorso in Francia tra il 1789 e il 1799, assunto dalla storiografia come lo spartiacque temporale tra l’età moderna e l’età contemporanea.[

  30. Alberto Sigona ha detto:

    Grazie Giusy 🙂

  31. Giusy BO ha detto:

    Stroia interessantissima, non vedo l’ora di leggere come andrà a finire: speriamo solo che sia una storia a “lieto fine”!

  32. Alberto Sigona ha detto:

    Vedo che la mia storia sta suscitando l’interesse degli appassionati 🙂

  33. Giusy BO ha detto:

    Cari amici miei, di fronte al disastro che il Cattolicesimo stava subendo in tutta Europa a causa dell’avanzata del movimento protestante, la gerarchia romana cominciò a preparare una controffensiva.

    Papa Clemente VII, memore del conciliarismo affermatosi a Costanza e a Basilea nel secolo precedente, preferì non convocare alcun concilio ecumenico, timoroso che questo potesse mettere in discussione il primato petrino.

    La situazione cambiò con Paolo III (1534-1549), il quale affidò ai cardinali Contarini e Pole di mettersi d’accordo con l’imperatore Carlo V per trovare una città dove i luterani e i cattolici potessero confrontarsi.

    Si scelse Trento per due motivi: apparteneva all’Impero ed era geograficamente vicina alla Germania luterana.

    Il percorso fu lungo e travagliato: convocato prima per il 1542, fu poi definitivamente convocato dal pontefice per il 1545 con la bolla Laetare Jerusalem.

    I lavori furono interrotti a seguito di contrasti con l’Imperatore e ripresero con Giulio III (1550-1555), mentre l’intransigente Paolo IV (1555-1559) non volle che si continuasse in quanto riteneva che spettasse solo alla sede romana il compito della Riforma.

    Ripreso sotto Pio IV (1562), si concluse soltanto nel 1563.

  34. Valeria Ventura ha detto:

    Per riforma cattolica, o controriforma, si intende quell’insieme di misure di rinnovamento spirituale, teologico, liturgico con le quali la Chiesa cattolica riformò le proprie istituzioni dopo il Concilio di Trento.
    Già durante il Concilio di Costanza i padri conciliari avevano auspicato una riforma «nel capo e nelle membra»; ma fu solo in seguito alla Riforma protestante iniziata da Martin Lutero, un monaco agostiniano, che tale esigenza si fece urgente, concretizzandosi nell’applicazione delle disposizioni conciliari tridentine.

  35. Andrea C. ha detto:

    Il concilio di Trento o concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa. L’opera svolta dalla Chiesa per porre argine al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma.

    Il concilio di Trento si svolse in tre momenti separati dal 1545 al 1563 e durante le sue sessioni a Roma si succedettero cinque papi (Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV e Pio IV). Produsse una serie di affermazioni a sostegno della dottrina cattolica che Lutero contestava. Con questo concilio la Chiesa cattolica rispose alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo.

    L’aggettivo tridentino viene ancora usato per definire alcuni aspetti caratteristici del cattolicesimo ereditati da questo concilio e mantenuti nei secoli successivi sino al concilio Vaticano I ed al concilio Vaticano II.

  36. Alberto Sigona ha detto:

    Carissimi Lettori: nel paragrafo la “Chiesa occidentale si divide fra cattolica e protestante” io cito il concilio di Trento e poi parlo di Controriforma. Attenzione a non confonderVi le idee. Non sono due cose differenti. La Controriforma della Chiesa Cattolica fu attuata mediante il Concilio di Trento.
    Comunicazione di servizio (rivolta a FREESKIPPER): per scongiurare la confusione, potreste cancellare la frase ” con la Controriforma (1550 circa)” e lasciare “Inoltre si volle porre un freno”. Scusate, ma quando si tratta di redarre un’opera ciclopica come LA STORIA DELL’UOMO è facile incorrere in qualche refuso o piccole imprecisioni. Specie quando si è da soli…Certo della comprensione, dei lettori e della redazione, vi auguro buona lettura. E per dubbi e curiosità non esitate a contattarmi. Grazie

  37. l'autore ha detto:

    Per quanto concerne la Bibbia, ho scritto che è ritenuto il primo libro stampato con la nuova tecnica. Intendevo, il primo libro EUROPEO.

  38. carletto-rm ha detto:

    Non è mio costume offendere nessuno, ma questo signore non sa che hanno inventato Wikipedia prima di lui!?

  39. Dany'70 ha detto:

    Che noioso…

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