La società non cresce con il lavoro, ma attraverso l’emancipazione di coloro che la compongono.
Quello a tempo determinato e saltuario? Quello mal pagato o svolto in condizioni di insicurezza? Quello del caporalato o del lavoro nero?
Oggi la maggior parte delle nuove occupazioni sono caratterizzate da un’incertezza crescente e da sfruttamenti sempre più indiscriminati dei lavoratori.
Quindi, detto questo risulta un po’ arduo pensare al lavoro come volano di crescita se non per coloro che lo sfrutteranno (come al solito) e non certo per coloro che lo svolgeranno.
Quindi anche (e soprattutto a Sinistra) sarebbe ora di ripensare il fattore “lavoro” in quanto dovrebbe innanzitutto essere un volano fondamentale per l’emancipazione di ogni essere umano, elemento (questo sì) imprescindibile da una crescita autentica della società, vista non soltanto dal punto di vista economico ma soprattutto umano.
Il lavoro non più inteso come numero ore da svolgere per un padrone, ma come opera da realizzare per lo stesso entro una scadenza determinata e se questa può essere raggiunta prima di quest’ultimo, allora avere la possibilità di godere di un tempo libero maggiore senza dover restare per forza sul posto di lavoro fino al compimento delle famigerate otto ore.
E se la singola opera non può essere ottenuta entro i termini stabiliti allora estendere l’attività realizzativa e altri collaboratori in un senso di solidarietà sociale che dovrebbe essere la regola anziché l’eccezione all’interno di ogni realtà aziendale.
Questa dovrebbe essere la vera svolta da dare al lavoro al fine di rimandare definitivamente i dogmi del capitalismo al Novecento e ridare quella serenità agli italiani utili per costruire una società autenticamente civile e solidale.
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