La Sinistra in Italia? Molto rumore per nulla!

di Gerardo Lisco. Uno dei tanti dilemmi che assilla la sinistra nelle sue varie espressioni è se essere di Governo o di Opposizione. Per quanto mi riguarda, ho sempre pensato che la Sinistra è di governo quando vince le elezioni, viceversa è di opposizione quando perde le elezioni. In questo dibattito si sono inseriti Napolitano e Prodi per indirizzarlo in funzione conservatrice. Alla manifestazione indetta dalla CGIL dello scorso 17 giugno sulla questione voucher è succeduta quella del 18 al Teatro Brancaccio
organizzata da Montanari e Falcone, promotori del movimento referendario, e per il primo di luglio è prevista l’iniziativa di Pisapia e del suo Campo Progressista. Visto lo stato confusionale nel quale versa la Sinistra, sembra di poter dire con Shakespeare, “Molto rumore per nulla”. Dal dato della partecipazione al referendum del 4 dicembre 2016 sulla Costituzione, e dalla vittoria del NO, è emerso in modo chiaro che esiste un elettorato di sinistra abbastanza consistente, 5/6 milioni di potenziali elettori che, chiamati a pronunciarsi, se avvertono che il loro voto ha un senso, si mobilitano e sono in grado di determinare il risultato. All’indomani della vittoria referendaria il tema era quello di offrire proprio a questo elettorato una formazione politica capace di interpretarne le istanze. Cosa non semplice, ma nemmeno impossibile come hanno dimostrato Sanders e Corbyn. Il problema è il ceto politico che in Italia si autoproclama di sinistra. La manifestazione promossa dalla CGIL contro il Governo Gentiloni e la reintroduzione dei voucher ha confermato che un popolo di sinistra esiste; quello che non c’è ancora è la classe politica in grado di rappresentarlo ed organizzarlo.
Dalle polemiche a margine dell’iniziativa organizzata il 18 giugno al Teatro Brancaccio da Montanari e Falcone e quella imminente di luglio di Pisapia, emergono i limiti del ceto politico che si dichiara di Sinistra. Di questi limiti ne sono esempi le interviste a Cofferati e Ciccio Ferrara apparse su il Manifesto e i fischi al Teatro Brancaccio contro Gotor. Pensare che i fischi a Gotor siano un episodio isolato è da sciocchi. Già da giorni si leggevano invettive contro Art.1 per il comportamento tenuto al Senato sulla questione voucher. Dalla lettura degli interventi di Montanari e Gotor non evinco differenze. Ciò che invece evinco è il tentativo da parte della Sinistra Radicale di utilizzare in modo strumentale le figure di Montanari e Falcone per acquisire un elettorato sufficiente al superamento della soglia di sbarramento che, per come stanno le cose, è del 3%. Se dovesse prevalere la strumentalizzazione di Montanari e Falcone la Sinistra Governista avrà gioco facile nello stigmatizzarli come settari e girare loro le spalle. La posizione delle due Sinistre è speculare e mira alla propria salvaguardia . Entrambe sono espressioni di un ceto politico in cerca di “autori”. Consci del dramma esistenziale che il ceto politico delle due Sinistre vive e pronti ad approfittarne, Napolitano e Prodi sono intervenuti per attribuire a ciascuna anima della sinistra la parte da recitare in funzione dell’establishment e per smorzare la spinta innovativa che viene dal movimento referendario. Il primo atto della tragicommedia della politica italiana ha riguardato il pericolo rappresentato da elezioni politiche anticipate. Un gruppo di parlamentari PD ligi alle indicazioni del Presidente emerito ha affossato il disegno di legge in discussione. Il secondo atto vede l’iperattività di Prodi. L’idea del professore è fin troppo chiara, l’ha ben esposta nell’intervista rilascia il 18 giugno all’Annunziata. Il suo modello è Macron e in Italia quel modello può essere costruito sull’asse Letta-Pisapia. Per costruirlo ha bisogno di tempo per far decantare qualsiasi movimento politico autonomo e genuinamente di sinistra e per far passare nell’oblio sia la Falcone che Montanari. Il copione scritto da Prodi prevede la presentazione di due liste di sinistra in competizione tra di loro impegnate a marcare l’elettorato perché non voti M5S. Lo spauracchio di una vittoria del centrodestra, però, non è sufficiente per convincere gli elettori di sinistra a sostenere un’alleanza di centrosinistra costruita sull’asse Letta-Pisapia funzionale agli interessi dell’establishment e di questa UE . Scommettendo su questa ipotesi Prodi dimostra quanto sia lontano dai sentimenti popolari. L’elettorato è ormai libero e, se percepisce che è in presenza della solita farsa in difesa dell’establishment, si comporterà come ha fatto alle scorse elezioni politiche, opterà tra voto al M5S e astensione facendo venir meno qualsiasi disegno conservatore. Non è più il tempo dell’Ulivo: se allora era un progetto innovativo per la società italiana e si contrapponeva alle forze anticostituzionali (Forza Italia, Lega e AN) ora, il progetto politico che propone Prodi è l’equivalente italiano di “En Marche!” di Macron, ed è chiaramente conservatore mirando a difendere gli interessi di un’Europa espressione del capitalismo finanziario. In conclusione capiremo meglio come si evolverà la situazione italiana da come i francesi reagiranno ai primi provvedimenti del Governo Macron. Allora qualcuno ricorderà a Prodi che nel 1996 votò circa l’83% degli elettori italiani, che l’Ulivo vinse con il 44% e oltre 16,8 milioni di voti. Altra cosa rispetto al 40% del PD di Renzi alle Europee o alla vittoria di Macron che vince con poco più di 8 milioni di voti ed una partecipazione che si attesta al 47% degli aventi diritto al voto.

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