Eutanasia e cannabis.

di Luciana Piddiu. A leggere l’articolo ‘Eutanasia e cannabis, successo on line’ (Avvenire -19 Settembre 2021) si prova una sorta di incredulità. Colpisce lo stupore espresso dal redattore per la rapida e massiccia adesione del mondo giovanile alla raccolta di firme per la legalizzazione della cannabis e dell’eutanasia.

Se si riflettesse sui fatti di cronaca che si ripetono con cadenza regolare, ci dovremmo stupire del contrario. Non è un caso che sulla buona morte i radicali – con Emma Bonino in prima fila – rivendichino con orgoglio il successo delle loro campagne politico-mediatiche.

Sdoganare la morte, somministrata dallo stato, su richiesta di chi è colpito da malattie incurabili è diventato un dogma.

Mentre si nega il potere di dare la morte a chi abbia commesso gravi crimini (‘Nessuno tocchi Caino’, il fortunato slogan che ha raccolto consensi e plauso) si invoca paradossalmente dallo stato il diritto di ricorrere all’eutanasia.

Tuttavia la rivendicazione del diritto di disporre liberamente del nostro corpo appare irricevibile. Si basa infatti sul presupposto che possiamo brutalmente riassumere cosi: ‘La tua vita è tua e nessuno puo’ impedirti di disporre di te come credi’.

Ma sappiamo bene che siamo solo un anello della lunga catena genealogica che ci ha prodotto. Non siamo venuti al mondo per un atto astratto della nostra volontà in un processo di autopoiesi. Senza contare che un diritto non è efficace di per sé ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde. L’adempimento di un diritto non proviene da chi lo possiede ma da coloro che si riconoscono nei suoi confronti obbligati a qualcosa.

Chi puo’ sentirsi obbligato a dare la morte ad un altro vivente? Un medico?

Certo rimane aperta la questione del dolore.’Nessuno sano di mente vuole soffrire’, sottolinea.
Ognibene e tuttavia ogni vivente fin dalla nascita sperimenta il dolore nel passaggio dal corpo materno caldo e protetto al mondo esterno. Attenuare la sofferenza fisica e psichica è possibile e desiderabile. La medicina moderna e la ricerca hanno fatto passi da gigante in questa campo e gliene siamo profondamente grati ma far credere che la vita sia un parco giochi dove l’unico imperativo è il piacere, il godimento senza fine dal primo vagito all’ultimo respiro è tutta un’altra storia. Averlo fatto credere è per l’appunto una delle ragioni dell’enorme diffusione dell’uso di droghe.

Le generazioni passate erano ben consapevoli che la vita è una faccenda seria. Essa comporta impegno, sacrifici, rinunce, fatica, frustrazioni. Certo anche gioie e soddisfazioni ma non esclude dall’orizzonte del vissuto i dolori. Questa consapevolezza si è persa. I genitori non la trasmettono più ai loro figli. Al contrario nell’entusiasmo seguito alle rivolte giovanili degli anni ’60 all’insegna del ‘Vietato vietare’ si è imboccata la strada del ‘tutto è possibile’; non si devono porre limiti al desiderio di onnipotenza in un crescendo rossiniano di delirio narcisistico.

E da qui non solo lo sdoganamento di alcool e droga fin dalla prima adolescenza ma anche la diffusione dei cosiddetti rave per cercare di prolungare all’infinito lo sballo.

In questa deriva la politica, incurante del bene comune, ha svolto il ruolo di cattiva consigliera. Ha contribuito a far perdere l’orientamento attraverso la diffusione di programmi televisivi e film ha dato credibilità alla pedagogia pret à porter secondo cui lo studio deve essere soprattutto ‘divertente’. Del resto lo sviluppo dell’economia mondiale globalizzata ha bisogno non di donne e uomini consapevoli ma di consumatori ciechi.

Vogliamo finalmente invertire la rotta?

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1 Response

  1. Attilio ha detto:

    Voglio sperare che si tratta solo
    di minoranze. Tanta gente sa che solo con i sacrifici si ottengono le cose. Difficilmente il referendum sull’eutanasia porterà il 50% degli a enti dirotto a votar. A meno che non ci sia una campagna mediatica tutta a favore del referendum. I media sono il quarto potere, non dimentichiamolo

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