La sfida regionalista. Quale idea di sviluppo per il Mezzogiorno?

di Gerardo Lisco. Diversamente da quanto avvenuto nella storia della Spagna, il tema del modello istituzionale ha contraddistinto il dibattito politico e culturale dell’Italia sin dal Risorgimento. A partire da Antonio Genovesi e Galeani Napione nel ‘700, passando per Gioberti, Cattaneo, Ferrari, D’Errico l’idea di uno Stato Federale ha sempre animato la cultura politica italiana. La ragione è semplice:
l’Italia, a partire dalla nascita del Regnum Longobardorum, è stata sempre divisa. Ritroverà la sua unità solo con la nascita di uno Stato unitario il 17 marzo del 1861. Il nome Italia, per secoli, ha identificato solo una parte della penisola e cioè quella settentrionale con l’aggiunta della Toscana, escludendo il Mezzogiorno, la Sicilia, la Sardegna, i territori che facevano parte dello Stato Pontificio e Venezia con la sua laguna. Con la nascita delle Signorie e dei Principati anche il Regnum Italiae perdeva la sua identità unitaria. Lo Stato Unitario Italiano nasce come estensione del Regnum Sardiniae e non come erede del medievale Regnum Italiae. A differenza della Spagna, che ha una storia di Stato nazione lunga 500 anni, la Storia unitaria dell’Italia ha poco più di 150 anni. La ricchezza dell’Italia è nella sua pluralità. Il dibattito politico istituzionale che animò la politica italiana all’indomani della proclamazione dello Stato unitario sfociò nell’adozione delle Province, facendo proprio il modello centralista rappresentato dai Dipartimenti francesi. A partire dalla fine del XIX secolo e per i primi anni del ‘900 l’idea di rivedere in senso autonomista lo Stato italiano fu un tema che ritornò in auge. A porre la questione furono intellettuali meridionali e meridionalisti come Salvemini, don Luigi Sturzo, Ciccotti, solo per citarne alcuni. Il tema venne posto come questione politica a difesa del Mezogiorno contro uno Stato centralista funzionale agli interessi del Nord o come si diceva negli anni ‘60 dell’‘800 alla “piemontesizzazione” del Mezzogiorno. Il Fascismo annullò qualsiasi apertura e bisognò arrivare all’Assemblea Costituente perché il dibattito venisse ripreso. A farlo proprio fu in particolare il Partito d’Azione con Trentin, Lussu e Dorso. Alla fine prevalse l’idea regionale; ma solo nel 1970 si tennero le prime elezioni amministrative regionali dando corso all’applicazione dell’art. 117 della Costituzione. A partire dalla fine degli anni ‘80 e i primi anni ’90 del XX secolo, con la Lega Lombarda e con la Liga Veneta, il tema del Federalismo, declinato in tutte le sue sfumature fino alle rivendicazioni secessioniste, tornò ad occupare la scena politica italiana. Le ragioni sono molteplici, riconducibili però tutte alla fine delle grandi narrazioni ideologiche del ‘900, che porterà alla Globalizzazione, al superamento delle barriere rappresentate dagli Stati-Nazioni nati in età Moderna e ad un vuoto identitario che sta favorendo il revival etnico. Esempi di revival etnico sono il disfacimento dell’URSS, della Jugoslavia, la separazione consensuale della Repubblica Cecoslovacca, la trasformazione in Stato federale del Belgio, la nascita di uno Stato spagnolo fortemente regionalista, la nascita di movimenti politici localistici in Italia. L’Unione Europea favorisce per sua stessa natura rivendicazioni territoriali in senso autonomista se non addirittura indipendentista. E’ l’idea stessa di governace e di concorrenza alla base del modello rappresentato dall’UE a favorire tali rivendicazioni. La governace europea non è altro che il mercato comune nel quale interagiscono in concorrenza tra di loro imprese, territori ed esseri umani. Il principio performativo vincolante per il trasferimento delle risorse finanziarie e di competenze dallo Stato centrale ai territori diventa l’elemento che spinge ciascuna Regione a far meglio per poter accedere a risorse maggiori. Se non si ha presente questo dato qualsiasi ragionamento rispetto alle rivendicazioni della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna diventa fuorviante. In sostanza maggiore autonomia solo a patto che la Regione richiedente risulti virtuosa. Le competenze di cui le regioni rivendicano la devoluzione sono numerose. Per capire fino in fondo il senso della governance del modello europeo e degli effetti che essa sta producendo sugli Stati Nazionali è sufficiente riflettere su alcune di esse quali: lavoro; istruzione; professioni; innovazione e ricerca; fisco e finanza pubblica; sistema creditizio. Ciascuna di esse è funzionale all’idea di una regione/impresa che interagisce sul mercato in concorrenza con altri territori per intercettare risorse pubbliche e investimenti. La logica propria del mercato che alimenta un tale paradigma favorirà la diseguaglianza tra territori e pezzi di società. Per evitare l’accentuarsi delle diseguaglianze il c.d. “fondo perequativo” non è sufficiente. Soprattutto saranno le risorse finanziarie a non essere sufficienti. Sarà il mercato che sceglierà dove investire e per come stanno le cose, sta già succedendo, individuerà le aree più forti. Il tema che si pone per il Mezzogiorno e la Basilicata è quale idea di sviluppo e quali relazioni interregionali mettere in campo. Governance e mercato sono scambio e negoziazione. La domanda da porsi è quali risorse la Basilicata può scambiare? A parte acqua e petrolio, c’è un fattore che potrebbe essere vincente ed è il nostro spazio. Individuati i beni da scambiare bisogna individuare il potenziale partner con il quale mettere in campo un modello di sviluppo capace di reggere la concorrenza di altre regioni in una dimensione europea. Bisogna prendere atto che la regione con la quale bisogna immaginare politiche comuni è la Puglia. Essa è la porta di ingresso della Basilicata. Porte di accesso sono: l’aeroporto Karol Woytila di Bari e il porto di Taranto. Il mercato di consumo del nostro patrimonio ambientale e culturale è in primo luogo il mercato pugliese. L’Acquedotto Pugliese, risalente a un secolo fa, è l’esempio di complementarietà economica e sociale di due territori. Da allora molte cose sono cambiate ma ciò non toglie che l’idea continui ad essere ancora buona. Chiedere l’applicazione del 3° comma dell’art. 116 della Costituzione a tutte le Regioni vuol dire iniziare a ragionare in termini di regione/azienda che sta sul mercato e che per far fronte alle sue sfide cerca alleanze con altre regioni/aziende. Ciò che manca è un business plan per la Regione, redigerlo è compito della Politica.

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