La questione di Gerusalemme

di Salvatore Falzone. Il conflitto arabo-israeliano-palestinese nasce da uno scontro nazionale e religioso. Da un punto di vista nazionale lo scontro in fase iniziale, negli anni ’20 fino al ‘67, verte tra il movimento nazionale ebraico, il sionismo, e il nazionalismo arabo-palestinese. Invece da un punto di vista religioso la Terra assume una connotazione sacra tanto per l’Ebraismo che per l’Islam. Terra inalienabile discendente da un patto con Dio quindi incontestabile. Sebbene, ad oggi il principio “due popoli per due Stati” sia il cardine sul quale far girare tutta la questione per trovare una giusta soluzione, quest’ultima connotazione rappresenta un vero punto di scontro. In particolare la formula espressa di uno Stato d’Israele riconosciuto che viva con uno Stato di Palestina su Gaza e Cisgiordania, trova uno dei tanti suoi nodi sulla questione di Gerusalemme. Gerusalemme è la Città Santa per eccellenza: santa per la religione ebraica, santa per la religione cristiana e santa per la religione islamica. Come dire il contrario se quel luogo rappresenta il patto tra popolo prescelto e Dio? La predicazione di Gesù e le sue entrate al Tempio? II viaggio del Profeta Maometto dove ricevette la rivelazione? La Città di Gerusalemme da un punto di vista strategico non è fondamentale; essa è situata lontano dal mare, senza corsi d’acqua e sorge su una collina. Intorno all’anno 1000 a.c. re David ne cambiò il destino dopo la sua decisione di erigere un altare al Signore; Salomone fece costruire il Tempio trasformando Gerusalemme in capitale politica a città santa ebraica. Intorno al 70 d.c. i romani rasero al suolo il Tempio e sessantacinque anni dopo fecero lo stesso con la città mutandone il nome in Aelia Capitolina. Non si limitarono al solo cambiamento del nome ma si attivarono per cacciare gli ebrei ed erigere un tempio a Giove. L’intento dei romani non produsse l’effetto sperato: cancellare l’identità ebraica, anzi il legame tra città e spiritualità ebraica rimase inalterato. Ben presto ripresero le lotte e le varie battaglie. Nel frattempo la Città era diventata il fulcro spirituale anche per i cristiani e gli islamici, da qui le crociate, fino al 1517 quando, la città, diventò una provincia dell’Impero Ottomano fino alla sua disintegrazione durante il primo conflitto mondiale. Dopo la Dichiarazione Balfour del 1917 e la sostituzione dal dominio ottomano con quello inglese la situazione subì un inasprimento, dovuto alla paura araba di una costituzione di uno Stato ebraico e la rivendicazione della Terra o parte di essa per costituire un proprio Stato per gli ebrei. Gli inglesi decisero di passare tutto all’Organizzazione delle Nazioni Unite, che stabilirono con la Risoluzione 181 del 29 novembre del 1947 la creazione di due stati uno ebraico e l’altro arabo, trasformando la Città di Gerusalemme in un “corpo separato” da sottoporre sotto un’amministrazione internazionale. Al Consiglio di amministrazione veniva dato il potere di redigere uno statuto per la città, inoltre dopo 10 anni la popolazione avrebbe dovuto esprimersi per il futuro mediante un referendum. Le cose andarono diversamente a seguito del primo conflitto arabo–israeliano, dove per gli ebrei si trattò della prima guerra d’indipendenza mentre per gli arabi palestinesi si trattò della “Nakba” ossia catastrofe. Sul terreno le cose cambiarono: Gerusalemme venne tenuta nella parte occidentale da Israele mentre la Legione araba penetrò nella parte orientale della città, inclusa la Città Vecchia. Gli accordi di armistizio tra Israele e Giordania prevedevano il diritto degli ebrei a recarsi al Muro del Pianto e al Monte degli Ulivi, dove vi è il cimitero ebraico, in realtà i giordani non permisero l’applicazione di quanto stabilito collegando la questione al ritorno dei rifugiati palestinesi alle loro terre. Gli israeliani non poterono recarsi sul Monte del Pianto e gli arabo-israeliani non poterono recarsi sulla Spianata delle Moschee. La posizione dei giordani si trasformò poi scempio quando il cimitero ebraico venne profanato. Dal canto suo Israele decise di trasferire i propri ministeri e il Parlamento, Knesset, in città dove nel 1950 con una risoluzione fu dichiarata capitale dello Stato. Nel 1967 con la guerra dei Sei giorni le truppe israeliane penetrarono nella parte orientale e nella Città Vecchia. Il comandante dei paracadutisti, Motta Gur, fece sventolare la bandiera con la Stella di David sul Monte, ma Dayan ne ordinò subito il ritiro. Gli ebrei poterono andare a pregare liberamente al Muro del Pianto e gli arabi residenti in Israele alla Spianata. Il governo di Levi Eshkol rassicurò i credenti di tutti i culti che avrebbe garantito l’accesso libero a tutti i luoghi Santi, inoltre l’amministrazione della Spianata delle Moschee fu lasciata in mano ai capi spirituali musulmani, per non provocare i risentimenti del mondo arabo e musulmano. Nel frattempo furono rimosse le barriere di divisione tra le due parti della Città e di fronte al Muro del Pianto furono espropriate diverse abitazioni per permettere ad un maggiore numero di fedeli di pregare di fronte al Muro. Il 27 giugno la Knesset approvò varie leggi che estendevano il diritto e l’amministrazione israeliana su Gerusalemme Est, quindi la costruzione di insediamenti attorno alla Gerusalemme abitata dagli arabi, e il 30 giugno 1980 la Knesset approvò un’altra legge che esplicitamente dichiarava che Gerusalemme era la capitale indivisa dello Stato. Quando iniziarono i colloqui, che avrebbero portato alla Dichiarazione dei Principi nel ‘91, la questione di Gerusalemme -insieme ad altre come profughi, coloni, confini- veniva derogata a varie commissioni di lavoro che agirono in gran segreto per evitare le pressioni delle proprie opinioni pubbliche. Particolarmente interessante era l’accordo Beilin-Abu Mazen, che prendeva il nome dai due negoziatori di rilievo delle due parti. Il piano avrebbe dovuto servire come cornice in vista di una pace definitiva. L’accordo prevedeva una Città di Gerusalemme indivisa e aperta, con la costituzione di due municipalità con estensione sui vari insediamenti e aree palestinesi, con ampi poteri. L’organismo sarebbe stato eletto separatamente dagli abitanti dei quartieri palestinesi e israeliani. Israele avrebbe riconosciuto la parte amministrata dai palestinesi come la capitale dello Stato di Palestina (Al Quds) e i palestinesi avrebbero riconosciuto la parte amministrata dagli israeliani come la capitale dello Stato d’Israele (Yerushalayim). La parte della Città Vecchia e le restanti sezioni della parte orientale sarebbero state oggetto di studio di varie commissioni. Sui Luoghi Santi le parti si impegnavano a riconoscere e garantire la libertà di culto e di accesso nonchè veniva previsto uno status speciale sulla Città Vecchia con responsabilità delle due municipalità: ai palestinesi sarebbe stata riconosciuta la sovranità extraterritoriale sull’Haram Al Sharif con l’amministrazione del Consiglio musulmano (Waqf). L’accordo Beilin–Abu Mazen veniva completato pochi giorni prima dell’uccisione di Rabin e sotto l’offensiva terroristica di Hamas e Hezbollah. Solo nel 2000 a Camp David la questione veniva riproposta, il presidente Clinton arrivava a proporre un accordo in base al quale ai palestinesi sarebbe stato riconosciuto l’Haram e i quartieri musulmani e cristiani, mentre agli israeliani sarebbe stato riconosciuto il Muro Occidentale e i quartieri ebraici e armeni. Clinton usava espressioni letterali di sovranità, autorità funzionale, simbolo di sovranità. Davanti alle resistenze di tutte le parti in causa con il fallimento del vertice si arrivava a nuovi incontri fino a sfociare nell’incontro di Taba del gennaio 2001 dove fu trovata l’intesa: i Luoghi Santi arabi sotto controllo palestinese e i Luoghi Santi ebraici sotto controllo israeliano con vari gradi di estensione (sotto e sopra i Luoghi). Ma oramai sotto l’impulso della violenza, nel frattempo era scoppiata la seconda intifada, tutto si complicava fino a raggiungere la più totale stasi e riporre i suddetti programmi/accordi a giacere nella speranza di un futuro migliore. Eppure quei vertici e quelle discussioni hanno infranto diversi tabù in maniera tale che ogni nuovo accordo definitivo deve necessariamente partire da quei punti discussi.

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