Italia, un paese di comandanti Schettino.

di Massimo Negrisoli. Ormai da tempo il nostro Bel Paese, perennemente occupato nelle manovre di ‘Inchino’ ai vari grandi d’Europa e non, sta navigando in cattive acque. Purtroppo questa situazione globale è frutto della mentalità tutta italiana di affrontare le emergenze: metterci una pezza e tirare avanti, magari anche con la buona intenzione di cercare una migliore soluzione in tempi più tranquilli. Insomma, grazie a questo sistema la corazzata Italia sulla quale siamo tutti imbarcati è piena di toppe e inizia a fare acqua da tutte le parti. C’è qualcosa che si è guastato, la gente è stanca e schifata. Il nostro paese è ormai una vasca dalla quale è stato tolto il tappo e per tenerla a livello si continua ad aprire sempre più il rubinetto, aumentando prelievi e chiedendo sacrifici. Ma a chi si chiedono i sacrifici? E’ questo l’atteggiamento mentale che ormai è diventato la regola. Perché perdere tempo a cercare il tappo o chiudere la falla, per il momento limitiamoci ad aumentare la portata e il contenitore rimane a livello. Questo macro atteggiamento, si riflette ormai con preoccupante frequenza anche nelle microrealtà aziendali che guarda caso, costituiscono l’ossatura del nostro paese. Insomma, l’intero organismo è malato e sofferente. Questo alla faccia di chi da anni continua a menarcela sull’intravista ripresa che continua a mandare segnali incoraggianti, che dovrebbe partire da un momento all’altro ma che guarda caso continua a farsi attendere. L’Italia è piena di allenatori improvvisati, imprenditori e manager approssimativi e capitani d’acqua dolce, più occupati a esibirsi come pavoni e a cercare d’impressionare chi si trovano davanti, per coprire il nulla che li permea. Le aziende e i centri di ricerca italiani sono contrariamente ricchi di professionisti capaci, menti brillanti e persone in grado di fare la differenza in qualsiasi azienda, che purtroppo vengono ignorati e sacrificati sull’altare dell’inefficienza, dell’ottusità e dell’incompetenza di dirigenti opportunisti, ciechi e sordi a qualunque cosa non rientri nella sfera del tornaconto personale o del ‘tirare a campare’. Imprenditori che in tempi di vacche grasse invece di immaginare e costruire un futuro credibile si sono limitati a seguire il vento della convenienza, delle sovvenzioni e degli incentivi oggi chiedono nuovamente allo Stato di farsi carico dei loro errori, delle loro valutazioni sbagliate e del loro opportunismo e della loro inefficienza. Oggi con la scusa della crisi, sempre più aziende ricorrono alla cassa integrazione, alle procedure di mobilità, ai fallimenti pilotati, alle cessioni di rami aziendali, trovando così una comoda scorciatoia per riparare agli errori commessi in precedenza, guidati dall’inesperienza, dall’arroganza e dall’ottusità. Intendiamoci, la crisi c’è, è grave ed è globale, ma c’è chi la usa con coraggio cambiando rotta, allontanandosi dagli scogli e reinventando se stesso e la propria azienda. C’è invece chi (e sono tanti) usa la crisi come tappeto sotto al quale nascondere i propri errori, persegue lungo l’unica rotta che conoscono e che ‘gli conviene’ e mentre la nave affonda contro gli scogli, casualmente scivola in una delle scialuppe di salvataggio. Per uscire veramente dalla crisi e da questa situazione di stallo è necessario rivedere radicalmente tutto il meccanismo, identificare sistemi di valutazione e premi per gli imprenditori e i manager più illuminati, togliendo le coperture di comodo che possono essere utilizzate all’occorrenza per nascondere le magagne. Sono da rivedere i super premi e i mega stipendi. Sono da penalizzare e rendere sconvenienti ‘le fughe all’estero’, sono da incentivare e premiare le eccellenze nazionali, sono da attivare meccanismi meritocratici in grado di garantire in ogni settore (perché non anche nell’istruzione) l’emersione e la premiazione dei dipendenti meritevoli. In questo processo devono mettersi in gioco gli stessi sindacati, rimettendosi in discussione e comprendendo che le regole sono cambiate. Insomma non ho una ricetta vincente ma solo la consapevolezza che continuando così non ne usciremo interi e in poco tempo. Purtroppo continuo a non intravvedere segnali di cambiamento convinto e inizio a disperare, che il nostro paese sia in grado di comprendere la situazione e reagire nel modo corretto.

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