Velocità e frenesia, nemici della comunicazione. di Franco Amarella

di Franco Amarella. Un gioco che ci fa sentire apparentemente vivi ed al passo con i tempi. In verità un gioco a perdere per la nostra capacità di ponderare e riflettere. I ritmi dettati dall’elettronica non possono risultare compatibili con i ritmi naturali dell’uomo. Non possiamo concorrere con gli elettroni rispondendo ad un ‘sms’ e contemporaneamente effettuare un sorpasso in auto, controllare l’impianto satellitare sul cruscotto e magari sintonizzare anche lo stereo. E purtroppo l’impennata delle indicazioni di mercato ci fornisce proprio questo segnale. Altro che crisi dei consumi! Certo, si acquistano meno abiti o meno bicchieri, si preferiscono i discount; ma notebook con videocamera, palmari e telefonini intelligenti poi fanno saltare il banco. E dunque se tanta copiosa tecnologia viene impiegata per comunicare, la nostra società dovrebbe ritenersi più raccordata, più affratellata, più sinergica. Non è così.
Padroni dell’illusione di governare la tecnologia, abbiamo inconsapevolmente acceso una lotta intima, ciascuno con sè stesso. Da una parte lamentiamo la sovrabbondanza di antenne ripetitrici di segnali e facciamo cortei contro l’inquinamento elettromagnetico; dall’altra imprechiamo se il segnale del telefonino non è perfettamente efficiente in quanto non supportato a dovere a causa della carenza di antenne ripetitrici. E’ follia.
E che dire della sindrome da “zero canone”, che prende giovani e meno giovani in un vortice di offerte: per telefoni cellulari, per telefoni fissi, per TV satellitari, per forniture di energia, per domini internet e forniture di nuove APP! Offerte ad ogni ora del giorno, ad ogni angolo di centri commerciali. Un’offensiva sparata da centinaia di call-centers che, invadendo la privacy di milioni di utenti, mette in moto calcoli e contro calcoli nelle case, negli uffici, nelle sale d’attesa, al bar, per strada. E tutti a scambiarsi le combinazioni promozionali di Sky e poi di Infostrada e poi di Wind ed Eni e Tim, e poi del nuovo Vattelappesca di turno, nuovo gestore il più economico di tutti. E tutti a correre dietro al “mezzo”, ora lo smartphone, ora la pay Tv, ora il dominio, oppure l’orologio lettore… “tutto compreso”. A correre dietro al mezzo e non a quello che il mezzo veicola.
Centinaia di ragazzi camminano con il capo reclinato in avanti, senza guardare la strada senza guardare nessuno. A vederli di spalle sembrano l’icona della riflessione e della meditazione. No. Stanno digitando messaggini con concentrazione, con avidità, con un pollice che ormai è uno scoiattolo. E per dialogare abbreviano il lessico, tagliano, siglano. E’ nato perfino un gergo da Sms. Un gergo codificato e riconosciuto. Ma allora i ragazzi comunicano? Allora i ragazzi si trasmettono emozioni e pulsioni in tempo reale? Può anche darsi.
Ma una cosa è chiara: la velocità di elaborazione del pensiero unita alla frenesia di trasmetterlo non può certo toccare alti vertici di letteratura. Dunque è il digitare per il digitare che, quasi sempre, la fa da padrone. Sull’altare del mezzo mediatico individuale, così freneticamente gestito, vengono immolati quotidianamente: ragionamento, ponderazione, galateo, evoluzione naturale del linguaggio. E fin qui abbiamo considerato una comunicazione velocizzata di tipo individuale (one-to-one), in quanto attivazione di una singola fonte trasmittente ed una singola parte ricevente.
Ma ciò che ha collettivizzato in progressione accelerata grandi e piccoli sono i “social network”. Più della buona novella, più dei sermoni di fratellanza, ecco che il nuovo vangelo di questo inizio secolo porta diversi nomi. Il primo e più famoso di tutti è quello di facebook. Siamo al punto di rendere virale sulla rete uno sbadiglio della zia, cui mancano quattro denti. E per virale si intende che quell’immagine veicolata, da chi ha fatto click col telefonino, può raggiungere in un secondo 100 utenti, che a loro volta ne possono raggiungere 10.000 e poi 100.000! Quindi ne scaturisce il merito di aver attratto interesse su una sdentatura. Ecco l’obiettivo, il sogno emulabile di tantissimi “smart-artists”.
Quale e quanta differenza rispetto ad altre fascinazioni di fatti, di bellezza e di umanità veicolabili proprio con lo stesso mezzo, ma ponderati, scelti e proposti con creatività e buon gusto. Diversamente le cose parrebbero dover andare con un altro mezzo mediatico: la TV. Un mezzo fatto di tempistica precisa al secondo, senza alcuna accelerazione, senza alcun rallentamento. D’accordo. Ma le reti sono tante e la sete di vedere quante più programmazioni possibili non mette al riparo l’utente dalla frenesia dello zapping. Eccoci di nuovo a digitare e stradigitare. Alla ricerca di un qualcosa che difficilmente si trova. Per ritrovarci a considerare che quello scatolo luminoso, un tempo, ora detto display 16/9 LCD, di fronte a noi è in nostro potere. Invece siamo stati risucchiati da un altro vortice involutivo, che avallerà, con tanto di nostra firma di garanzia, produzioni sempre più scadenti e programmi sempre più insignificanti; dove l’urlo, il televoto ed il premietto scorreranno a fiumi, sempre meno contenibili negli argini della qualità e sempre più gonfiati da una pioggia di scopiazzature, di “ospitate”, di inopportune trasgressioni.
Le varie emittenti, pubbliche e private, si danno un gran da fare per inseguire l’audience. Inseguire. Lo spiega la parola stessa: procedere con velocità. Andare a confrontarsi non sulla qualità, bensì sulla omogeneità della produzione ha significato in questi ultimi anni la mortificazione della creatività, il tradimento culturale del ruolo del palcoscenico. Via via è andato stratificandosi un paesaggio di stalattiti pubblicitarie e di stalagmiti televenditrici che hanno finito con l’impedire la libera circolazione della fantasia e della cultura. Per velocità non si fa più teatro in Tv. Per velocità si toglie la parola ad uno scienziato che parla, perchè ci sono pronti i consigli per gli acquisti. Con velocità si confeziona un palinsesto, che dovrà soltanto profetizzare l’entrata in scena e poi sul mercato dello sponsor. Fa niente se poi si parla di TV spazzatura, perchè tanto la maleodorante definizione viene smentita dagli investimenti pubblicitari, concentrati proprio su quella cosiddetta programmazione. Tanto c’è omologazione ed anche con dieci o cento colpi di frenetico zapping, ormai, lo spot te lo becchi ugualmente su tutte le reti.
Ma noi continuiamo a zompettare senza meta e, forse, senza volontà di intervenire. Troppo lungo un percorso di mobilitazione da teleutenti, meglio correre sul telecomando e poi sulle pay tv e poi su internet e poi… e poi! Fra telefonini sempre roventi e telecomandi sempre più digitati, l’uso sbagliato dei più moderni mezzi di comunicazione (e ancora internet non è proprio “di massa”!!!) sta consentendo di autorinchiuderci in una bolla tecnologica di isolamento comunicazionale. Un’ampolla meno resistente di una bolla di sapone, pronta a dissolvere un grande patrimonio di conquiste scientifiche al servizio delle relazioni umane, per lasciare il posto ad una società sempre più robottizzata, in cui la velocità sarà un merito ed a comunicare ci penserà una spia luminosa, una faccina, un pittogramma.
Ma questo forse non accadrà tanto presto, almeno finchè ci sarà un giornale-giornale ed un libro-libro.

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