Il lavoro come questione esistenziale e democratica.

di Gerardo Lisco. L’ammissibilità da parte della Corte Costituzionale di due dei tre referendum richiesti dalla CGIL porta alla ribalta in modo forte la questione lavoro. Il lavoro anticamente era un’attività riservata gli schiavi e agli appartenenti alle classi subalterne. Ai ceti sociali dominanti le attività di competenza erano la politica e la guerra. Una tale idea ha dominato i sistemi sociali fino all’ascesa al potere politico della borghesia.
L’idea che appannaggio dei ceti dominati fossero solo la politica e la guerra inizia ad essere messa in discussione nel Basso Medio Evo con l’affermazione della civiltà comunale e con l’ascesa. Per tutto il Basso Medio Evo mercanti e banchieri utilizzeranno il lavoro per acquisire ricchezza e con essa potere politico. La nobilitazione completa del lavoro avverrà ad opera del Protestantesimo e in modo particolare con Calvino come ha ben evidenziato Max Weber in “L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo”. Si può affermare che la nobilitazione del lavoro è uno delle caratteristiche della modernità. A partire dal XVI secolo lavoro e accumulo della ricchezza diventano, addirittura, indicatori della benevolenza divina. Il lavoro da quel momento diventa uno degli elementi chiave dell’Occidente. Colui che attraverso il lavoro accresce la propria ricchezza legittimamente può aspirare a cariche politiche. Il lavoro, grazie anche al trionfo della cultura Liberale, diventa fattore di promozione sociale, di redenzione. Basta rifarsi alla letteratura ottocentesca per rendersene conto. Lo stesso Socialismo pone al centro dei rapporti sociali il lavoro. La solidarietà di classe nasce dall’essere tutti egualmente lavoratori. I processi di ristrutturazione del sistema economico e sociale, cioè le tre rivoluzioni industriali che dal XVIII secolo hanno preceduto quella in corso hanno sempre e comunque prodotto una quantità maggiore di lavoro. Dato verificabile empiricamente dalla comparazione del tempo di lavoro di un servo della gleba con quello di un operaio del XIX secolo, il primo non lavorava 12/14 ore al giorno per tutti i giorni dell’anno, oltre all’impiego, nei processi produttivi, di un numero di persone sempre più grande. Fino ad oggi le innovazioni tecnologiche, intervenute nelle precedenti rivoluzioni industriali hanno sempre creato lavoro aggiuntivo. La disoccupazione è dipesa dalle crisi economiche e da fatti congiunturali o dalle logiche di mercato. Il tema di oggi scaturisce dalla c.d. quarta rivoluzione industriale che prende il nome di “Industria 4.0.”. Con la creazione di sistemi Cyber – fisici (C.F.S.) il lavoro umano viene semplicemente sostituito dalla tecnologia. Secondo alcuni studi, non tra mezzo secolo, ma nel giro di un decennio, nella sola UE scompariranno milioni di posti di lavoro. Intere categorie di figure professionali scompariranno sia dal mondo della produzione industriale che da quella del commercio e delle libere professioni. In sostanza il lavoro che scomparirà non verrà sostituito da altro lavoro.

Rifkin anticipava questa tendenza in un saggio del 1995 dal titolo già di per sé significativo “The End of work”. Le culture politiche, sociali ed economiche, sia di destra che di sinistra, hanno sempre posto al centro dell’attività umana il lavoro. Non è un caso che l’attività politica, non ritenuta un lavoro, un tempo attività d’eccellenza appannaggio del solo ceto dominante ha perso il valore di un tempo. L’attività politica, dalla vulgata comune viene declinata come secondaria e in molti casi squalificante per chi la pratica. Dal contesto si evincono, rispetto al lavoro, comportamenti schizofrenici. Da una parte assistiamo alla riduzione del bene lavoro, alla sua precarizzazione, alla sua flessibilità, dall’altra alla richiesta di prestazioni sempre maggiori al singolo lavoratore. Ne sono prova: benefit, detassazione delle maggiori prestazioni, un’etica e una organizzazione del lavoro sempre più asfissiante e pervasiva che riduce la sfera privata. In sostanza quanto più la quantità di lavoro si riduce tanto più acquista valore sociale. Il lavoro diventa sempre di più il vero bene posizionale che attribuisce status al ceto dominante. E’ sempre di più un vezzo poter dimostrare di essere sempre a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo impegnato nel proprio lavoro. Pensate solo per un attimo a Marchionne. I referendum promossi dalla CGIL, oltre a porre la questione lavoro sul piano giuridico, dovrebbero servire ad affrontare il tema in termini culturali e antropologici. Per trattare complessivamente la questione dovremmo allargare il campo oltre l’idea del lavoro in relazione al reddito. Come dimostra il dibattito su reddito minimo, integrativo, di cittadinanza, ecc. è già un tema all’ordine del giorno. Ciò che mancano sono una riflessione sul lavoro per ciò che attiene la sfera pubblica, ossia la qualità della Democrazia, e una riflessione che riguarda la sfera privata cioè la dimensione esistenziale della persona.

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