Contro l’ideologismo della teoria queer.

di Gerardo Lisco. Per aver espresso alcune riflessioni sul Gay Pride tenuto a Potenza, sono stato tacciato di essere un fascista, addirittura di aver promosso il referendum a difesa della Costituzione in modo strumentale; la cosa, oltre ad offendermi, denota un livello di scarsa conoscenza di ciò che sono stati il Fascismo e il Nazismo. Chi mi ha mosso queste critiche ignora, ad esempio, che l’omosessualità era una pratica diffusa sia nel Fascismo che nel Nazismo.
Passando ad obiezioni più concrete pongo, di seguito, alcuni spunti utili per il confronto e la discussione rispetto ad alcune questioni che pone il movimento LGBT. Necessariamente dobbiamo parlare di tendenze sessuali e non di altro, infatti, è lo stesso acronimo che circoscrive il tema. La questione è sicuramente complessa e non può essere esaurita in questo scritto. Gli approcci sono diversi sia dal punto di vista psicologico che storico e antropologico. Lo stesso termine omosessuale è stato oggetto di analisi e di differenziazione all’interno del movimento LGBT. Per sviluppare il mio ragionamento parto dall’analisi di tipo storico condotta da Foucault. Sul piano storico egli sosteneva che l’omosessualità fosse un’elaborazione culturale recente. Nel ‘700, ad esempio sempre secondo Foucault, si parlava di sodomia riferendosi al solo atto sessuale. Il ‘700 è stato un secolo con una propria specificità riferita al recupero della razionalità e della materialità. Non è un caso che è stato anche il secolo del Marchese De Sade. Sodomia, sadismo, coprofagia e altre pratiche più o meno simili erano ritenute come elementi di modernizzazione e di destrutturazione dei vincoli morali imposti dalla Religione ai Lumi della Ragione. La letteratura in merito è ampia, va da opere di narrativa a saggi di filosofia ad altro ancora. Preciso che ho citato Sade solo per evidenziare come il riferimento di Foucault al ‘700, a mio modesto parere, sia anch’esso solo una costruzione culturale, un giudizio di valore sul quale, comunque, si fondano alcune tesi del movimento LGBT. In particolare mi riferisco alla Teoria queer e cioè a quella teoria che sostiene che la scelta sessuale dipenda dal condizionamento sociale e quindi dall’educazione. La Teoria queer è appunto una “teoria”, né più e né meno di tante altre elaborazioni culturali che interpretano la realtà cercando di rintracciarne un significato per spiegarla e indirizzarla. A partire da Foucault, passando per Derrida fino a Butler e Hatarawey siamo in presenza di teorie, giudizi di valore, che sostengono che non esiste la naturale differenza di genere. In sostanza se in natura siamo differenti dal punto di vista biologico altra cosa è il genere che dipende da condizionamenti culturali. Da tali argomentazioni evinco una visione che tende annullare le differenze individuali in nome di una presunta uguaglianza che è, di fatto, anch’essa un condizionamento culturale. Una tale teoria è portatrice di una visione di omologazione delle specificità naturali in nome di una libertà individuale che è comunque socialmente condizionata dall’esercizio del potere (Foucault). Questa teoria ha in sé i germi di una visione totalitaria della società che mira, attraverso l’annullamento delle differenze biologiche sessuali a condizionare gli individui in funzione del mercato. La diversità è un dato naturale. Riguarda il sesso come altri aspetti della persona. Si è maschi, femmine, eterosessuali o omosessuali non per condizionamento sociale ma perché naturalmente si è portati verso una scelta del piacere sessuale che determina una realizzazione maggiore. Ciò che sostiene il movimento LGBT è soltanto un punto di vista, una propria filosofia politica che non ha fondamenti scientifici o, quanto meno, non è una teoria supportata da argomentazioni più valide di altre. Il nodo della questione è che il movimento LGBT ha la pretesa di trasformare una teoria in una visione ideologica da imporre alla società nel suo complesso al fine di legittimare la propria specificità e le proprie preferenze sessuali. Una tale posizione mi spinge a pensare che siano in molti a vivere la propria scelta sessuale non liberamente ma come una sorta di disagio. Per cui si cerca d’imporre che il genere sia un condizionamento culturale ed educativo nel tentativo di rendere lecito e accettabile ogni comportamento. Tale tesi è molto debole sia sul piano teorico che culturale. La legittimazione delle preferenze sessuali non sta nell’imporre la propria idea di piacere ma nel diritto sacrosanto alla libertà individuale e quindi a non essere discriminati per le proprie preferenze sessuali. La questione delle mie critiche a certe prese di posizioni è che il movimento LGBT ha la pretesa di andare oltre e di voler imporre una propria visione del mondo e una propria filosofia della storia. Per fare questo pone questioni che attengono, tra tante altre cose, all’educazione e alla sfera riproduttiva. Mi riferisco alla questione dell’utero in affitto e alla cosiddetta educazione all’affettività. Chiarisco immediatamente il secondo punto. Se essa viene intesa come rispetto dell’altro sono pienamente d’accordo; se viene utilizzata come strumento attraverso il quale far veicolare la Teoria queer non sono affatto d’accordo e, per quanto mi sarà possibile, mi opporrò ad essa. Il cosiddetto utero in affitto è un istituto di una violenza senza pari. Esso rappresenta il trionfo della mercificazione del corpo della donna e non solo. E’ il presupposto per la creazione della professione delle fattrici. Rispetto all’introduzione di un tale istituto siamo lontani anni luce dall’idea di emancipazione della donna. Con l’utero in affitto siamo in presenza dei presupposti per l’introduzione di forme di eugenetica. La legislazione della California in merito, per esempio, consente di scegliere la fattrice da un catalogo. Sia chiaro le cose che ho scritto sono solo spunti di riflessione, il tema, come dicevo è molto complesso ed ha una molteplicità di sfaccettature e posizioni diverse all’interno sia del movimento LGBT e soprattutto del movimento femminista. Ciò premesso, infine, passo alla questione Costituzionale e alle critiche che mi sono state mosse circa il mio impegno in sua difesa. L’art. 3 della Costituzione recita: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono la realizzazione della persona.” Il tema della realizzazione della persona attiene la sfera economica e sociale. Per chi come me è di sinistra, i diritti sociali quali welfare, giusta retribuzione, equa redistribuzione delle risorse, istruzione, ecc. sono la premessa fondamentale perché una persona possa realizzarsi. Il passaggio successivo sono i diritti civili e di libertà individuale. Tra questi rientra sicuramente il riconoscimento dell’altro per ciò che esso è. In un sistema Democratico nessuno può essere discriminato a causa delle preferenze sessuali, di razza, di religione o di sesso. Il limite alla realizzazione della persona non deve essere di tipo economico o sociale ma di tipo etico e cioè il riconoscimento dell’altro. In un sistema sociale sempre più complesso se ci si ricordasse di quanto scriveva il buon Immanuel Kant nella Critica della Ragion Pratica e nei Fondamenti per una metafisica dei costumi non sarebbe male. A Potenza questo dibattito non è ancora arrivato, nel resto del Mondo sì, e tiene banco. In conclusione la mia riflessione non è dettata da omofobia, dall’essere bigotto o oscurantista, ma da questioni di tipo culturale che scaturiscono dalla infondatezza di talune teorie e, cosa ancora più grave, dal tentativo di volerle imporre alla società aprendo la strada ad un sistema totalitario in nome di una presunta libertà individuale.

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