Articolo 53 della Costituzione: ‘Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva’.

di Pier Giorgio Tomatis. Su Facebook mi capita spesso, in quest’ultimo periodo, di leggere post e commenti su quanto sta avvenendo in Catalogna con la volontà d’indipendenza della maggioranza dei catalani e la reazione del Governo e dei cittadini dell’altra Spagna. Un minimo comun denominatore tra tutti è il fatto che la Costituzione è il Giudice maggiore, il guardiano, il supremo difensore dai torti, dagli abusi e dai soprusi. La nostra Società si regge sui valori che questa Carta redatta da esperti politici che possiamo definire come i Padri fondatori della Patria hanno pensato fossero Umani e capaci di unire i cittadini di una Nazione devastata dagli esiti nefasti di una guerra mondiale. Se ritenete che quello che ho appena scritto sia vero debbo avvertirvi che siete abbondantemente in torto. La nostra Costituzione viene costantemente violata o disattesa
proprio dai discendenti di coloro che l’hanno concepita con gli stessi riguardi e la stessa cura che si deve ad un neonato. Vi faccio un esempio ma ne potrei fare (purtroppo) molti di più. L’articolo 53 della Costituzione recita che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ognuno paga tasse in funzione della sua capacità economica di sopportarne il peso. Il fondo, si tratta del comunissimo concetto di progressività delle imposte (che è un vero paletto fondante della democrazia). In realtà, così non è. Oggi in Italia chi deve pagare poco ma incassa anche poco è costretto a contribuire spesso e volentieri in maniera superiore a quanto è dovuto secondo la Costituzione e, di contraltare, coloro che possono (perché più ricchi) dare di più sono sgravati di questa naturale imposizione. Il Fisco si è trasformato in una figura di redistributore del reddito al contrario, favorendo chi è agiato e sfavorendo chi naviga in cattive acque. Una delle nefandezze più grandi perpetrate in questo senso è stata l’approvazione del cosiddetto regime dei minimi che, in buona sostanza, afferma che a prescindere dalla capacità reddituale è stata calcolata una somma di denaro che ogni imprenditore deve pagare all’Inps per la propria pensione. Questo artifizio sarebbe inutile, se ci pensate, considerando il fatto che il sistema pensionistico è stato riformato passando da un regime reddituale ad uno di tipo contributivo. Sostanzialmente, significa che mentre in passato per calcolare la somma che spettava ad ognuno di noi l’Ente usava come unità di misura l’ultima busta paga corrisposta, adesso non fa altro che suddividere mensilmente quanto il cittadino ha versato in precedenza alle casse dell’Erario. Cioè, più si è versato più si incassa, meno si è fatto meno si riceve. Nonostante questa riforma sia diventata pratica corrente col regime dei minimi si è obbligati alla corresponsione anche se non si è in grado di farlo. In teoria, questo comportamento coercitivo è tenuto per il nostro bene. In pratica, si uccide il cittadino oggi in nome di una pensione “ipotetica” che si riceverà domani. Se mai la riceverà, ovviamente. L’età pensionabile si innalza in continuazione e i servizi, per cui il cittadino paga lo Stato, diminuiscono sempre di più. La cosa si potrebbe configurare come un furto ma questo non è materia per la Costituzione ma del settimo Comandamento del decalogo che di violazioni…

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