Zorro è andato in pensione.

di Marcello Veneziani. Chi rappresenta oggi, nel corrente settembre del 2023, la novità, il cambiamento, l’alternativa? Nessuno. A un anno dalla vittoria di Giorgia Meloni alle elezioni politiche non c’è nessuna forza in campo che rappresenti l’alternativa per il cambiamento. Anzi la parola cambiamento è stata bandita dal gergo politico ma anche dalle attese della gente. L’unico cambiamento di cui si parla è climatico.

Da una parte chi governa ha i piedi di piombo, per timore di sbagliare e di essere trafitto o spiazzato, e vuol farsi accreditare negli assetti interni e internazionali; dall’altra ci sono solo forze che rimpiangono quando c’erano loro al governo: la sinistra, i grillini, i renziani, i tecnocrati. Nel giro di pochissimi anni li abbiamo provati tutti, siamo stati sulla giostra del cambiamento su tutti i cavalli: c’era sempre qualcuno che rappresentava ora l’antipolitica populista, ora l’antipolitica tecnocratica, ora l’opposizione radicale, nazionale e sociale, comunque l’alternativa al potere vigente. E tutti a turno o insieme sono andati al governo.

Adesso non c’è più nessuno. Dopo che l’ultima oppositrice è andata a Palazzo Chigi, ovvero l’ultima forza di opposizione al governo-establishment che comprendeva tutti, dalla Lega al Pd, da Berlusconi ai 5 stelle, dai tecnici ai populisti, nessuno interpreta più il cambiamento. Le forze in campo si sono tutte “mattarellizzate”. Non sono le scarpette ginniche di Elly Schlein a interpretare il cambiamento, le sue idee da sardina e nemmeno le sue battaglie filo-gender, antifasciste e pro-migranti. Anche perché parla a nome di un Partito-Establishment che è stato negli ultimi dieci anni quasi ininterrottamente al potere e al governo con Letta, Renzi, Conte e Draghi. E tutto può rappresentare meno che il cambiamento. Infine i 5Stelle di Conte. Le battaglie dei grillini sono tutte rivolte alla restaurazione, al rimpianto o alla difesa dei loro governi passati, e delle loro leggi sul reddito di cittadinanza e il superbonus. Peraltro i grillini, nati come forza antisistema, hanno ballato guancia-a-guancia con tutte le forze in campo, ad eccezione della Meloni: hanno infatti governato con Salvini e la Lega, con il Pd e la sinistra radicale, con Draghi, i tecnici, i centristi e Berlusconi, accucciati all’ombra dei poteri sovranazionali. Altro che antipolitica.

Insomma non ci sono più vergini in campo, tutti sono stati nel Palazzo, si sono sporcati le mani e non hanno più alibi di sorta. Per tanti anni l’Italia ha coltivato una tresca più o meno segreta, una relazione costante e adulterina con chi ai suoi occhi voleva rappresentare El Zorro, il cavaliere mascherato che combatte per il popolo contro le élite, per i poveri e gli outsider contro i privilegiati di Palazzo e gli insider. Succedeva già ai tempi in cui stava tramontando la Prima Repubblica, poi accadde ai tempi della Seconda, ancor più si evidenziò la tentazione zorro-populista negli ultimi anni, in sintonia con quel che accadeva anche nel resto dell’Occidente. Il populismo, il sovranismo, l’antipolitica furono i nomi d’arte di questa tendenza filo-Zorro. Ora, invece, dopo tanti anni, non c’è più un aspirante Zorro sui nostri schermi o nei trailer politici delle programmazioni future; non è più d’uso la parola stessa cambiamento, si vagheggia solo di assestamenti, arretramenti, ripristini, correzioni e restaurazioni.

E’ segno che siamo diventati finalmente maturi, non aspettiamo più favolosi salvatori e tenaci tribuni della plebe? No, semplicemente li abbiamo provati tutti, nessuno è stato riconosciuto nella figura di Zorro, una volta che si sono tolti la maschera; comunque non rappresentano più la novità. Così oggi nessuno impugna la bandiera del cambiamento, agita il tema della svolta. Né s’intravedono popoli disposti a seguire nuovi capipopolo in questa avventura. Siamo nella fase del disincanto, della spoliticizzazione, anzi della fuga dalla politica. Nessuno più spera che dalla politica possa arrivare qualche mutamento importante o addirittura una rivoluzione. La politica, lo insegna infine la linea sposata dalla Meloni, è manutenzione. E in politica estera non ne parliamo.

Alla caduta verticale dei populismi e dei radicalismi innovatori corrisponde anche la neutralizzazione totale delle motivazioni ideali, storiche e politiche. Ci sono solo schermaglie ai bordi della politica, per esempio nei margini della biopolitica, sulle questioni relative ai sessi, alla nascita, alla morte, ai diritti civili. O qualche stanco revival di polemiche trapassate, come quella sul fascismo, le stragi di oltre quarant’anni fa, le strade da dedicare ad Almirante e/o a Berlinguer. Ma non c’è un vero tema politico d’attualità che realmente attraversi e divida la società civile e generi mobilitazione, interesse, schieramenti. E anche le riforme istituzionali di cui si parla da svariati decenni interessano poco e motivano poco: l’ultima questione, peraltro giusta, sul premierato è caduta in un distratto silenzio, con un leggero senso di nausea e un evidente disinteresse.

Ormai la gente ha percepito che la politica decide poco, deve attenersi agli indirizzi altrove stabiliti e dunque non si aspetta più cambiamenti sostanziali dalla politica, avendo già sperimentato al governo tutte le forze in campo. I fattori di cambiamento oggi sono i tassi d’interesse, i barconi dei migranti, l’intelligenza artificiale. E i leader, pure eletti dal popolo, non sono uomini della provvidenza ma materiali in transito, con brevi parabole politiche, poteri effimeri e raggi assai limitati d’azione. Perciò Zorro si è tolto la mascherina, ha deposto la spada ed è andato in pensione, nel disinteresse generale.

 

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/zorro-e-andato-in-pensione/

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