Viviamo nella paura e vediamo terroristi ovunque!

di Grazia Nonis. L’unico posto dove potremmo sentirci al sicuro potrebbe essere il cucuzzolo della montagna. Peccato che di cocuzzoli a disposizione ce ne siano pochi, e che oramai si sia tutti circondati da pazzi esaltati e invasati che vogliono farci saltare per aria, gioendo alla vista del nostro sangue che lascia a terra piastrine a forma di croce. La strage di Tunisi non ha fatto altro che acuire quel senso d’incertezza e di paura col quale siamo costretti a convivere tutti i giorni: quando prendiamo un autobus, entriamo in una chiesa, in un centro commerciale o facciamo due passi al mercato.
I nostri occhi indagano in mezzo alla folla, pronti ad individuare l’eventuale cellula impazzita, l’emulatore sociopatico pronto a farsi saltare in aria. Così, prima di posare lo sguardo sul cespo di lattuga del fruttivendolo o sul pesce da mettere in tavola il venerdì di magro, utilizziamo il nostro scanner visivo alla ricerca dei possessori di zainetti con eventuale tritolo al seguito, uomini barbuti dall’espressione infoiata, donne dal lungo vestito che potrebbe celare un fucile a canne mozze o un più moderno kalashnikov, oppure lo zoppo con la stampella imbottita di esplosivo. Questo futuro di paura e di terrore è già nostro, e sarà il nostro compagno di vita per parecchio tempo, forse per sempre. La Farnesina si preoccupa di dare lo sconsiglio lì, là, giù e su, mentre il veto su qui, lassù e quaggiù varia a seconda delle bandierine nere infilate su cartine geografiche che, ancora per poco, segnalano i nomi di città e Stati che stanno già cambiando nome, volto, cultura e “padrone”. Il “luogo sicuro” non esiste più, facciamocene una ragione. Varcheremo la soglia dell’Expo con un pizzico di terrore e un grammo di paura recitando quattro Ave Maria ed un Padre Nostro rivolti a Dio, pregandolo di non incappare nel kamikaze cinturato al tritolo o nella mitragliata improvvisa accompagnata dall’urlo delirante di “Allah akbar”. La paura. Saliremo sugli aerei dopo estenuanti e paranoici controlli di sicurezza. Ci vedranno sfilare scalzati, in canottiera e mutande o col calzino bucato, tirando in dentro la pancia sotto gli sguardi curiosi dei nostri sconosciuti e futuri compagni di viaggio. Poi in fila indiana fino al nostro posto, seduti e tesi come statue di marmo, pronti a slacciare le cintura e saltare addosso al primo folle che il nostro cervello reputerà tale. Una corsa e gli saremo alle spalle, corpi avvinghiati a terra nello stretto corridoio dell’aereo. Pugni, calci e morsi all’ignaro passeggero, colpevole soltanto di voler visitare la cabina di pilotaggio e chiacchierare col comandante. Liquidato con poche scuse e cerotti di circostanza. Eletto dirottatore ad honorem dalla nostra stessa paura. Quella che dirigerà le nostre gambe e quelle dei nostri figli lontano da possibili luoghi di attentato. Aumenteranno le fobie e le angosce dello stare tra la folla, perché la folla è il bersaglio preferito dei pazzi, quelli che non sprecano le loro vite per uccidere pochi singoli.

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