Statali in pensione con 42 anni e 3 mesi di contributi.

Matteo Renzi archivia così i primi 100 giorni di governo, chiedendo altro tempo: altri mille giorni! Intanto la riforma della Pubblica Amministrazione è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, dopo la firma di Giorgio Napolitano, e i suoi “provvedimenti” sono, pertanto, in vigore già da oggi. 

Qualcosa è saltato, come la norma che vietava ai consiglieri di Stato di far parte dei gabinetti dei ministri, o l’unificazione del Pra e della Motorizzazione Civile. Qualcosa è stato riveduto e corretto, come il pensionamento anticipato di magistrati e militari, posticipato al 2016 ed il salario accessorio di tutti i dipendenti delle authority che sarà ridotto del 20%, ma da questa norma, all’ultimo momento, è stata tirata fuori – ma guarda un pò il caso – proprio la Banca d’Italia. Qualcos’altro è stato confermato, come le regole sulla mobilità, che sarà obbligatoria entro i 50 chilometri, mentre per quella volontaria non ci sarà più bisogno del nulla osta dell’amministrazione di provenienza. Ma in buona sostanza il disegno “riformatore” del governo è rimasto tale e quale, così com’era. 
Pertanto, aspettarsi che questa “riforma” possa da sola rifondare la burocrazia italiana liberando il Paese dal “mal di bolli, cera lacca, fascicoli e faldoni” è come sperare di curare il cancro con un’aspirina e un bicchier d’acqua! 
Ma veniamo a quello che, poi, interessa realmente i travet dello Stato: le pensioni. La famigerata “staffetta generazionale”- prepensionare i lavoratori più anziani per far posto a nuove assunzioni di giovani – non ha subito sostanziali cambiamenti. Per gli statali, da ottobre, sarà abolito il trattenimento in servizio. Non sarà possibile prolungare per altri due anni, come accade oggi, la permanenza in servizio una volta che si sono raggiunti i requisiti per il ritiro. Tale provvedimento libererà, secondo i calcoli del governo, 15 mila posti in tre anni e farà il paio con un’altra norma inserita nella riforma con l’obiettivo di “svecchiare” le pubbliche amministrazioni. Si tratta della norma che autorizza ministeri, Comuni, Regioni, e tutte le altre articolazioni della Pa, ad obbligare chi ha raggiunto il massimo dei contributi previdenziali, ossia 42 anni e 3 mesi, a lasciare il lavoro. Secondo le stime della Funzione pubblica, questa regola potrebbe liberare fino a 60 mila posti in un triennio. I tecnici, invece, che hanno scritto la relazione che accompagna il provvedimento di riforma della P. A. appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, hanno messo nero su bianco una cifra pari a un decimo di quella “reclamizzata” dal governo Renzi. Insomma, abolendo il trattenimento in servizio, quella regola che permette agli statali di rimanere al lavoro per altri due anni una volta raggiunti i requisiti per la pensione, potrebbe liberare davvero pochi posti per assumere giovani. Ma non finisce mica qui. La “staffetta generazionale” avrà comunque un costo per le casse dello Stato, la cui copertura ancora non si sa bene da dove arriverà. E se è vero che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, allora è facile intuire da dove e come arriveranno i soldi: dai soliti noti, con l’ennesima stangata!

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