Siamo i nuovi inquilini, abbiamo dei bambini, andate a farvi fottere!

di Grazia Nonis. Dopo un mese d’ospedale, io e i miei acciacchi torniamo finalmente a casa. Arranco col deambulatore, mentre mio nipote mi sostiene per il gomito, mi porta la valigia, rallenta il passo per adeguarlo al mio. Lo guardo mentre armeggia con la serratura. La chiave non entra. Ci guardiamo in silenzio trattenendo il respiro, mentre brividi di paura cominciano a corrermi giù per la schiena.
Il mio vecchio cuore perde un battito, comincio a pregare: Dio mio, no, fa’ che non sia ciò che penso. Dall’interno, qualcuno ci urla di andare via, che quella non è più la mia casa. “Siamo i nuovi inquilini, abbiamo dei bambini, andate a farvi fottere!”. Mi appoggio col corpo al deambulatore, e tempesto di pugni la porta, armato di poca forza e di tanta disperazione. Poi m’affloscio a terra come un fantoccio, un cumulo di vecchie ossa poggiato alla porta, come una sacco di spazzatura da buttare. Mio nipote chiama i carabinieri: “Non piangere, nonno, stanno arrivando. Vedrai, tutto s’aggiusta”. Ma io so che non sarà così. Mi si strazia il cuore al pensiero di mani sconosciute che sfiorano, toccano e magari ridono dei miei ricordi, ora in ostaggio aldilà del muro. Corpi di estranei sdraiati sul mio divano, che fan l’amore nel mio letto rotolandosi tra le mie lenzuola, bevono dai miei bicchieri, mangiano nei miei piatti, fanno il bagno nella mia vasca, si radono sul mio lavabo, pisciano nel mio gabinetto. Chissà che fine han fatto fare alle mie foto, appese in corridoio o poggiate sul tavolino del soggiorno. Quella di me con la Lina il giorno del nostro matrimonio; la nascita di nostro figlio; la laurea di nostro nipote. Occhi di carta gettati alla rinfusa in un cassetto. Forse buttati via, insieme al mio passato ed alle lunghe parentesi della mia vita. Mi riscuoto dai miei pensieri, ed assisto all’andirivieni delle Forze dell’Ordine che entrano ed escono dalla mia casa, accompagnati da altre persone in borghese; forse l’assistente sociale, il sindaco, il magistrato. Sento urla, imprecazioni. Nemmeno le bestie al macello farebbero tanto casino. Un carabiniere si siede vicino a me, sullo scalino dove m’hanno parcheggiato in attesa di conoscere il mio destino. Mi consiglia di andare da qualche parente per qualche giorno, m’invita ad essere paziente. Mi spiega che questi maledetti abusivi hanno tre bambini, e per questo motivo non possono cacciarli. Mi domando quale altro paese al mondo possa permettere un’ingiustizia simile. Quale altro paese al mondo lascerebbe un cittadino fuori dalla sua casa e dalle sue cose, legittimando, pur temporaneamente, l’occupazione abusiva, lo stupro abitativo, l’appropriazione indebita della mia mobilia, dei miei ricordi custoditi negli oggetti che ora sono in mano ai barbari che vigliaccamente si fanno scudo dei propri bambini. Se io fossi più giovane, in mio aiuto, non chiamerei né polizia né carabinieri. Non perché non siano all’altezza, anzi. Anche loro sono vittime di leggi fatte male ed applicate peggio. So ben io cosa avrei fatto. Sarei entrato buttando giù la porta, e a pedate li avrei fatti sloggiare, a costo di buscarle e sanguinare sopra e sotto. All’arrivo delle Forze dell’Ordine, allertate da qualche vicino, mi sarei inventato ch’ero in casa, che avevo aperto la porta e dei brutti ceffi m’avevano scaraventato a terra con l’intenzione di rapinarmi: “Razza di delinquenti… quante botte! Signor Giudice, mi creda, per difendermi ho dovuto fare altrettanto, e loro son scappati a gambe levate per non buscarle ancora!”. E se gli impudenti m’avessero denunciato e raccontato la loro furba e malvagia verità, io avrei continuato a mentire. Avrei beffato la legge al solo scopo d’avere giustizia.

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