Recovery: ultimatum Ue a Polonia e Ungheria.

di Attilio Runello. “Si avvicina l’ora della verità sul veto che Polonia e Ungheria hanno imposto sul Bilancio Ue ed il Recovery fund. Budapest e Varsavia sono stati sollecitati dalla presidenza di turno tedesca ad indicare, entro mercoledì, in quale direzione intendano muoversi. Se i due Paesi resteranno sulle loro posizioni, gli altri Stati sono pronti ad andare avanti col piano B a 25. Si apprende da fonti diplomatiche europee. L’intento è evitare uno showdown con Viktor Orban e Mateusz Morawiecki al vertice di questa settimana. Il piano B potrebbe basarsi su una cooperazione rafforzata, un accordo tra governi, o sul modello del programma SURE.”

Questo è quanto riportato da un comunicato Ansa.

Alla rottura del metodo dell’unanimità esiste infatti una sola alternativa, dentro i Trattati: una ritrovata unanimità. L’altra, esterna, è trasformare il Recovery Fund in strumento intergovernativo, ma è una strada lunga, e comunque i fondi strutturali rimarrebbero ostaggio del veto magiaro-polacco.

L’accordo trovato da Consiglio e Parlamento “non si tocca, ora sta a Polonia e Ungheria sciogliere il nodo del loro consenso, se non avvenisse è evidente che si andrà avanti lo stesso, sul Recovery e sullo stato di diritto”: lo ha detto il presidente del Parlamento Ue David Sassoli, intervenendo al programma-evento ‘Skytg24 live in’. “Indietro non si torna, gli strumenti entreranno in vigore”, ha aggiunto.

Tuttavia appare veramente strano che in un momento come questo da una parte e dall’altra non si sia disposti ad abbandonare delle posizioni rigide. Un momento in cui l’Unione anziché rafforzarsi ha perso un pezzo importante: il Regno Unito.

Un momento in cui ha registrato un altro veto: quello della Bulgaria sull’ingresso della Macedonia.

Dall’altra parte sia la Polonia che l’Ungheria hanno reso moderno il proprio sistema di infrastrutture e attratto investimenti, tedeschi in particolare, proprio grazie ai fondi europei.

Nonostante si alzino i toni tutto lascia immaginare che si troverà un compromesso. A meno che non siano proprio i paesi frugali ad alzare la posta insistendo sul rispetto dei diritti nella speranza che il Recovery Fund venga ridimensionato.

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