Quel volto sigillato dal burqa.

di Grazia Nonis. La vidi entrare in sala da pranzo sorretta da due donne. Il corpo magro, coperto dalla tunica, il volto sigillato dal burqa. Camminava a stento, rigida. Dava l’idea di non riuscire nemmeno a piegare le gambe. Zoppa, forse pesta di botte, malata. La mia mente proponeva ipotesi e domande, alle quali sapevo non avrei mai dato risposte. Pur non potendo vederla in viso, le diedi vent’anni.
Istinto di donna, materno. Chissà. La misero a sedere ad un tavolo, dove pian piano una decina di persone prese posto accanto a lei. Uomini, o forse è meglio dire “padroni”, e donne insaccate in vestiti neri ed informi, avvolte nei veli, in qualche burqa, un paio di visi scoperti. Ricordo che dovetti impormi di volgere lo sguardo altrove, per non apparire maleducata, sfacciata, troppo europea. Mi fu difficile. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. E pur non potendo vederne il volto, o distinguerne i lineamenti, ne percepivo il malessere, il dolore. Non mangiò nulla, e non rivolse la parola a nessuno. O forse, è meglio dire, nessuno si rivolse a lei. Pareva una prigioniera, scortata dalle guardie, per un cambio di cella, per la mezz’ora d’aria. In ogni caso, da controllare a vista. Le altre donne cominciarono a cenare, facendo slalom tra tende facciali che nascondevano bocche e ruminanti mascelle. Mani colme di cibo che sparivano dietro ignobili sipari di stoffa, che celavano volti di donne, sudori, umori, macchie e patacche impossibili da evitare. Restai immobile, imbambolata, arrabbiata, disgustata. Impotente. Incrociai gli occhi della poveretta, ma li abbassammo entrambe, all’unisono, come in un tacito accordo. Vidi le sue sbarre, la sua prigione, la sua protesta. Lei non era come le altre, non accettava, non si piegava. Restò al tavolo molto poco. Se ne andò, così com’era arrivata, sorretta da due donne, camminando a stento. Forse non aveva fame, o molto più probabilmente era malata, inappetente. Io preferisco credere che il suo rifiuto fosse invece l’inizio di una ribellione. Il suo opporsi alla sottomissione. Un grido, un assolo, verso la libertà.

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