L’integrazione non è un diritto nè tanto meno un obbligo.

di Guido Occelli. Capita di litigare per ore con un parente, o con un coniuge, fidanzato/a, compagno/a che sia, accorgendosi dopo un pò che si è persa la ragione per cui si litiga. Così mi sembrano i tanti dibattiti ed esternazioni sul fenomeno dell’immigrazione. Indubbiamente ci sono due fronti contrapposti tra favorevoli e contrari, ma da nessuna delle due parti sembrano emergere ragioni razionali e logiche nell’esprimere le proprie opinioni. Non mi riferisco alla “non gestione” dell’emergenza, le cui ragioni sono palesemente intrinsecate
a una totale e strumentale incapacità collusa e interessata agli affari connessi al fenomeno.Basterebbe considerare che l’integrazione non può essere considerato un diritto, ma un’opportunità ben disciplinata e condizionata che viene, se è possibile, concessa e chi ne vuole usufruire, è tenuto a rispettarne termini e modalità di concessione, qualora ci sia disponibilità di integrazione, i richiedenti dovrebbero sottomettercisi obbligatoriamente, senza riserve, senza pretendere di essere integrati in un tessuto sociale con regole e usanze che difformono completamente dal tessuto stesso, stravolgendolo, contrapponendosi come un cancro fatto di auto ghetti. L’opportunità di integrare non può essere un diritto, ma un elemento che va considerato principalmente su due precise analisi e considerazioni: principalmente la disponibilità del singolo di essere integrato alle condizioni poste da chi intende integrare, è inutile pensare di integrare chi non vuole esserlo, ma intende essere diverso e restare diverso in una società diversa dai suoi valori, comportandosi ed emarginandosi dalla stessa. Il secondo punto di considerazione è la necessità, la reale capacità, sostenibilità e impatto a corto, medio e lungo termine, da ciò verrebbe generato il volume di sostenibilità, oltre il quale sarebbe un suicidio sociale andare. Considerando che i volumi a cui siamo sottoposti, la necessità, la capacità, la sostenibilità del nostro Paese è ben al di sotto della richiesta, invito a riflettere chi ritiene che l’integrazione sia un diritto, che ciò non può esserlo per ovvie condizioni. Ho avuto modo di ascoltare illuminati e fantasiosi pensatori trovare soluzioni creative per integrare l’integrabile, proponendo di ripopolare i tanti borghi abbandonati nel nostro bel Paese. A tal proposito vorrei soffermarmi un attimo di fronte a tanto intelletto facendo presente le ragioni che hanno portato tali borghi all’abbandono. La storia dei borghi abbandonati ricorda che in assenza di inclusione sociale, rete di servizi, opportunità economiche e lavorative, hanno portato gli stessi all’abbandono. Si vuole replicare una realtà che per sua natura è fallimentare? Faccio i miei complimenti ai geni. Altri illuminati attingere ragioni nel calo demografico, rispondo che il nostro Paese non produce risorse sufficienti a sfamare se stesso e che non mi sembra il caso di incrementare la povertà con nuovi poveri senza prospettive. Diverso è per chi avrebbe diritto a una forma di accoglienza, a questi vorrei solo dire che tale diritto è una concessione che la nostra società mette a disposizione e non un qualcosa da pretendere con arroganza e violenza e tale diritto non può essere usato come strumento contro chi lo concede. Concediamo protezione a chi riteniamo in pericolo perchè lo consideriamo un diritto, ma le condizioni non possono prescindere dalle regole dell’integrazione (che non è un diritto), quindi secondo le nostre capacità cercheremo di proteggere chi ne avesse diritto, integreremo chi potremo integrare e chi ne sarà degno e chi veramente sia intenzionato a farlo, ma decadute le ragioni per cui è necessaria la protezione, se i numeri dovessero superare la sostenibilità o semplicemente l’opportunità, decaderebbe il diritto di protezione e tutti a casa propria.

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