Le Rivoluzioni non si fanno più con i forconi, ma andando a votare!

Chi di speranza vive, disperato muore. A forza di sperare in un futuro migliore, l’Italia sta morendo. Appena qualche anno fa eravamo la quinta o sesta potenza industriale. Oggi siamo diventati i camerieri serventi della Germania, il bancomat della Troika, lo sbarco sicuro e accogliente per migliaia di migranti. I salari e le pensioni sono stati falcidiati dall’euro e messi nel dimenticatoio senza mai essere perequati al costo della vita.
Le tasse, sempre più numerose e pesanti, continuano ad essere evase dai “soliti noti” e pagate fino all’ultimo centesimo dai “soliti fessi”. Il mondo del lavoro è stato umiliato, depresso, violentato, svalutato e svenduto al libero mercato, denudato dei suoi fondamentali diritti e lasciato all’oblio del reddito minimo garantito o di cittadinanza per coloro che un’occupazione non la trovano ma neppure la vanno a cercare. Ospedali, scuole, tribunali, beni architettonici, infrastrutture e interi territori cadono a pezzi. In un Paese che frana, sfasciato com’è dalla corruzione e dal malaffare, altro che ripresa, l’unica cosa che continua ancora a crescere è solo il debito pubblico. La moneta unica si è rivelata un fallimento. L’Europa, quella che conta e detta legge, è ad egemonia tedesca e gioca di sponda coi francesi, quando proprio non può farne a meno. E noi, dopo aver provato ogni specie di governo, oggi ci ritroviamo peggio di ieri. La gente, fino a che non avrà dato fondo agli ultimi risparmi, sta zitta e buona, e ogni governo continua a mungerla, perché sa bene fino a che punto spremerla senza oltrepassare quella soglia di sicurezza oltre la quale scatterebbe la rivolta popolare. Ma la rivoluzione fatta coi forconi non è auspicabile. La rivoluzione va fatta con il voto, per riconsegnare il Paese ai cittadini, e la sovranità al popolo italiano. Ma il tempo scorre via inesorabile. Passano i berlusconi, i monti, i letta e passeranno pure i renzi, ma questa classe dirigente inetta e opportunista, incapace e corrotta, resta lì dov’è e usa ogni attimo per difendere i suoi privilegi, per chiudere ogni spiraglio alla ripresa del Paese e per arraffare tutto quello che c’è rimasto. Ma non tutto è perduto. Forse ci resta ancora una possibilità che non si chiama certo speranza, ma coraggio, partecipazione, consapevolezza delle coscienze oneste. Mettiamoci in gioco ognuno di noi nel proprio ambito, battiamo i pugni sul tavolo quando pensiamo di avere ragione, riprendiamoci l’Italia, ma oggi stesso, adesso, subito, o tacciamo per sempre senza lagne e piagnistei.

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