La politica delle ‘porte aperte’ non premia!

di Attilio Runello. La preoccupazione c’è: «È inutile girarci intorno – spiega Nicola Molteni, sottosegretario leghista all’Interno – quello che accade in Francia è la certificazione di un fallimento, quello dell’immigrazione incontrollata, ma anche un monito per l’Europa».
E stata pubblicata da Il giornale una intervista di Stefano Zurlo al deputato in forza Lega su quanto sta avvenendo in Francia a proposito delle rivolte di migliaia di giovani emigranti di seconda generazione dopo l’uccisione ingiustificata a quanto sembra di uno di loro da parte di un agente di polizia.
Siamo al quinto giorno di queste rivolte che si sono manifestate con saccheggi.
Così dopo le tante manifestazioni poco pacifiche avvenute negli Stati Uniti da parte di afroamericani a seguito di uccisioni da parte di agenti di polizia dalla pistola facile le abbiamo ritrovate anche in Francia a dimostrazione che forse questo progetto di melting pot non è così facile da realizzare.
La politica delle porte aperte non premia
I genitori fanno tanti sacrifici per trasferirsi nell’agognata Europa e i figli in questa caso adolescenti per protesta si danno ai saccheggi. Bisogna interrogarsi dunque sulle politiche da adottare. In questo momento in realtà molti governi hanno espresso il loro progetto di blindare i confini.
La difficoltà concerne il modo  in cui farlo anche perché si finisce con l’essere ostacolati da una magistratura internazionale e nazionale oltre che da tanta stampa e televisione che ancora insiste sulla politica dei porti aperti sostenendo almeno in Italia che l’Europa è per l’accoglienza.
l’Unione europea però ha dimostrato sempre di più di esserlo soltanto nelle dichiarazioni della politica di sinistra.
Le normative Schengen sul rilascio dei visti, la costruzione di muri da parte di quasi tutti i paesi che confinano con paesi extraeuropei, i respingimenti alle frontiere esterne ed interne, i miliardi concessi alla Turchia per bloccare il grande esodo del 2015 attraverso i Balcani non fanno pensare a una politica delle porte aperte.
Gli accordi raggiunti in Europa vanno nella direzione di ampliare il numero dei paesi considerati porti sicuri.
Anche in quella di risolvere in una settimana le richieste di asilo di quegli emigranti che sono chiaramente economici. E poterli rimpatriare subito.
Sino ad oggi per altro sono rimasti inascoltati i richiami del governatore del Friuli Fedriga a un maggior controllo dei confini orientali da cui si stima arrivino in Italia alcune decine di migliaia di immigrati.
È evidente che la differenza fra le condizioni di vita in Europa e molti paesi asiatici e africani è notevole. Nel secolo scorso tendevamo ad addossarcene la colpa per essere stati paesi colonialisti.
Oggi a distanza di settanta anni dalla fine dell’epoca colonialista è evidente che i governi di molti paesi, repubbliche di solo di nome, non sono in grado di creare quel minimo di benessere sociale che porti le persone a rimanere in patria.
Negli Stati Uniti è stata solo da poco abrogata una legge sconosciuta in Europa per la quale le università dovevano accettare fra i propri iscritti quote di studenti appartenenti a minoranze. Sicuramente per favorire gli afroamericani e i latinoamericani nell’ascesa sociale. Negli Stati Uniti il numero delle persone di queste minoranze detenute è altissimo, in particolare la prima. È un problema sociale che non può essere risolto solo con le quote.
Non va nemmeno sottovalutato in Europa il numero di paesi in cui si stanno affermando governi di destra. La Grecia lo ha riconfermato. Svezia e Finlandia li hanno da poco eletti. E un chiaro segnale di una richiesta da parte degli elettori di una inversione di tendenza.
Le recenti affermazioni da parte di un commissario del Consiglio d’Europa sulla gestione dell’emigrazione da parte dell’Italia non fanno altro che confermare la distanza fra gli elettorati e una élite potente, influente, che può attingere a lauti finanziamenti, molto presente nei media, che si dichiara paladina dei diritti, distanza che tende sempre di più ad aumentare.

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2 Responses

  1. paolino ha detto:

    La Francia non è più uno Stato-nazione, ma uno Stato meticcio. Il meticciato a quanto pare non funziona e la rivolta esplode. Prima o poi toccherà anche a noi. Un fatto è difficilmente contestabile: la rivolta che molti auspicavano in Russia è scoppiata in Francia.

  2. marco v. ha detto:

    Ghetti e società parallele: 40 anni di errori sui migranti! La Francia ha sempre coltivato l’idea di poter importare manodopera a basso costo. Dimenticando l’integrazione. Bruciano le macchine, bruciano i negozi, bruciano le scuole, le biblioteche, i commissariati, i municipi, le banche. Un disastro annunciato e prevedibile!

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