Violenza sulle donne. Storie come quella di Anna danneggiano le vere vittime!

di Antonello Laiso. Anna è una ragazza dall’aspetto angelico e dolce, ma incarna come nessuna il detto “l’acqua cheta rompe i ponti”. In realtà dietro al suo aspetto dolce si nasconde una furbetta che verrà infine incastrata solo dalla sua ignoranza dei meccanismi processuali.

Anna è sposata ad un professionista serio e lavora solo part-time da un amico del marito che fa l’avvocato.

Il suo tallone d’Achille sono gli uomini, le piacciono e molto e non tanto i noiosi amici del marito e di famiglia, rispettabili e ingessati, quanto i tipi alla Marlon Brando in Fronte del Porto.
Sfortunatamente nello studio in cui lavora ha modo di conoscere alcuni soggetti, clienti dell’avvocato appunto, che hanno caratteristiche che ad Anna piacciono molto. Scherza con loro, con alcuni flirta ma talvolta non si limita a flirtare.

Sfortunatamente un giorno un “gioco” troppo spinto viene scoperto da un’altra impiegata dello studio: qual è il lampo di genio di Anna? Sostenere che il bello e ombroso cliente la stava violentando.
L’accusa pare sostenibile: l’impiegata, l’avvocato, il marito si stringono intorno ad Anna spingendola a querelare, ovviamente in buona fede, credendo ad Anna, essendoci al momento solo la parola di lei contro quella di lui, un pluripregiudicato.

Anna cede ai consigli e sporge querela, preoccupata più di far reggere la sua messinscena che della sorte del suo ormai ex-amante. Questi, incredulo, si rivolge a vari avvocati che gli consigliano il patteggiamento finché ne incontra uno che si mette a svolgere indagini difensive, cercando di trovare riscontri a quanto sostenuto dal querelato, ovvero che fra lui e Anna c’era una relazione che durava già da un anno al momento della “presunta” violenza sessuale.

L’avvocato in effetti trova vari riscontri alla tesi del denunciato, primo fra tutti gli sms che Anna aveva mandato allo stesso e che lui, romanticamente, conservava, nonché le innumerevoli chiamate giornaliere fra i cellulari dei due protagonisti, che non si potevano giustificare se non con una relazione adulterina, non potendosi pensare ad altro tipo di amicizia di una donna con un soggetto simile.

Al processo l’avvocato giocò bene le sue carte e dopo aver interrogato Anna sui suoi rapporti con l’imputato, che essa disse limitarsi alla conoscenza dovuta alla frequentazione dello stesso allo studio, le chiese conto delle telefonate e degli sms, minando completamente la credibilità della stessa, in modo da ingenerare un dubbio tale da far assolvere l’imputato.

Superfluo ribadire quanto il comportamento di Anna abbia creato precedenti che possono danneggiare le vittime vere, quelle che la violenza la subiscono ma non hanno prove, quelle che si sentono aggredire in dibattimento da chi si fa forte dell’esistenza delle false denunce e cerca di sostenere che le violenze sessuali non si possono provare in quanto le vittime non sono credibili.

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