di Vittorio Feltri. Se è vero, come non dubitiamo, che l’acciaieria di Taranto – la più importante d’Europa – inquinava (inquina) al punto da incrementare il numero di morti per cancro, ovvio che fosse (sia) indispensabile e urgente intervenire. Ma da qui a chiudere lo stabilimento per consentire di renderlo innocuo e di bonificare la zona, c’erano in mezzo altre soluzioni meno drastiche e più vantaggiose. Anche perché, fermare un impianto simile, significa porre le premesse affinché non riprenda mai più a funzionare (esperienza docet) e, quindi, privare la città, la Puglia e l’Italia di una delle poche realtà produttive d’eccellenza (se non altro quantitativa), infine favorire la concorrenza internazionale e precludersi la possibilità di recuperare le quote di mercato cedute ad altri. Chiunque comprende che siamo di fronte a un guaio serio. D’altronde, prendersela con la magistratura che ha ordinato la sospensione dell’attività è un esercizio gratuito. Essa infatti applica (male o bene) le leggi, e se queste le consentono di assumere certe decisioni, la responsabilità non è sua ma di chi – il Parlamento – ha approvato tali leggi ovvero non le ha riformate allo scopo di evitare situazioni assurde come quella in cui si trovano ora l’Ilva e le migliaia di persone che vi lavorano. L’unica speranza è che nei prossimi giorni prevalga sulle questioni di diritto (troppo spesso affidate ad azzeccagarbugli) il senso comune se non il buonsenso. La fabbrica emette sostanze tossiche? Da quando? Da sempre. E le autorità se ne accorgono solo ora? Fino al 1996 la proprietà era statale, e nessuno aveva mai fiatato. Adesso invece si arrestano i dirigenti e gli amministratori, solo perché la gestione è privata. Assurdo. Per fare giustizia si commette una grave ingiustizia. A parte ciò, chi ha detto che non si possono modificare gli impianti senza bloccarli? Non è vero. Intervenire mentre essi girano a pieno regime ne facilita il perfezionamento, applicando il metodo empirico. Per concludere, si tenga conto del pensiero della gente del luogo: se l’Ilva si paralizza, oltre diecimila operai restano disoccupati e oltre diecimila famiglie non mangiano più. Morale: meglio che qualcuno muoia lentamente di tumore o che tutti crepino velocemente di fame? Qual è il minor danno? Sia chiaro. Entro un anno, se ci si impegna, lo stabilimento può essere a norma. Non saranno dodici mesi in più o in meno a salvare la vita di chi si è già ammalato. Ciò che è stato è stato. Pensare al futuro vuol dire agire subito ma senza trascurare il presente. Qualcuno ha detto: per prevenire gli incidenti stradali, o ridurne il numero, non è indispensabile chiudere le strade. Lo stesso discorso vale per le fabbriche.
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