Il magico mondo di Aladdin… e di come lui investe i nostri soldi.

di Luca Anedda. Se state pensando alla favola di Disney, siete fuori strada. Il nome si avvicina a quello del fortunato protagonista della fiaba, ma in realtà è un acronimo che vuol dire: “Asset, Liability, Debt, and Derivative Investment Network”. Nello stato di Washington, nell’East Wenatchee, si trova “Monolith” così è chiamato affettuosamente ALADDIN, composto da più di 6000 super computers che dialogano tra loro, e analizzano senza sosta miliardi di dati provenienti da tutto il mondo.

Lo scopo è quello di stabilire il rischio finanziario associato ad una operazione che potrebbe avvenire, oppure è già avvenuta. Dunque, avere una chiara strategia sul da farsi: investire oppure no in una determinata società, ed eventualmente disinvestire e spostare i soldi da un’altra parte.

Aladdin ha 32 anni, ed il suo papà è Larry Fink, un nome che forse ai più non dice nulla ma che, come vedremo, è uno degli uomini più potenti ed influenti del pianeta: è il Presidente di BlackRock che insieme a Vanguard e State Street controllano una enorme fetta del mercato finanziario e industriale del mondo.

Fink era il responsabile del dipartimento mutui della “First Boston bank” ed il suo nome stava crescendo tra quelli più influenti di Wall street, quando, nel 1986 però, un investimento sbagliato costò alla banca una perdita secca di 100 milioni di dollari ed a Fink il posto di lavoro, oltre che la reputazione. Da quel momento l’analisi del rischio diventò per il giovane Larry la priorità numero uno. E così che, quando due anni dopo, fondò BlackRock, aprendo un modesto ufficio in New York, il suo primo dipendente fu Charles S. Hallac, che cominciò a costruire Aladdin.

Negli anni il sistema è stato sviluppato utilizzando i software più avanzati, diventando il punto di riferimento mondiale per l’analisi del rischio finanziario. Già durante la crisi del 2008, Hank Paulson, segretario al tesoro degli Stati Uniti si rivolse a BlackRock per avere un quadro chiaro di quali società sarebbero state più a rischio durante la tempesta che si stava sviluppando. Così fece anche Ben Bernanke capo della FED, e banchieri del calibro di Jamie Dimon, amministratore delegato di J.P. Morgan Chase Bank.

Oggi Il “Monolith” è colui che detiene, in maniera indiscussa, la palla di cristallo per prevedere il futuro. A modo suo. BlackRock vende i servigi di Aladdin a molte società e banche in tutto il mondo, personalizzando le proprie previsioni e analisi in base alla necessità del cliente. Uno tra gli ultimi importanti clienti è la banca centrale di Israele che dal 2019 si serve delle sue preziose analisi.
Ma perché BlackRock, insieme al suo “genio nella lampada”, è così importante nel panorama della finanza mondiale?
La ragione è che il volume di denaro che BlackRock controlla insieme alle altre due società, Vanguard e State Street, strettamente interconnesse da forti partecipazioni azionarie, è enorme.

È necessario mettere in prospettiva alcuni numeri. I dati del Fondo Monetario Internazionale ci dicono che:

– il Pil mondiale è di circa 95.000 miliardi di dollari
– quello degli Usa è di 23.000 miliardi.
– Europa: 18.000
– Cina: 16.000
– Germania: 4.000
– Italia: 2.000

Ebbene BlackRock da sola controlla 10.000 miliardi di investimenti mentre Vanguard si attesta su 8.000 miliardi di dollari. State Street, la meno nota, 4.000 miliardi. Facile fare la somma: circa 22.000 miliardi di dollari di investimenti nelle maggiori banche, industrie, società assicurative del mondo. Da un recente studio della Università di Boston è stato calcolato che nel prossimo decennio le “Big Three” controlleranno oltre il 40% dei voti degli azionisti presenti nel listino di Wall Street dello S&P 500, che raggruppa le più importanti compagnie e società americane come: Apple, Microsoft Corp, Amazon, Berkshire Hathaway, Johnson & Johnson, JP Morgan Chase, Facebook, Exxon Mobil, Alphabet C e Alphabet A.

Come si vede il potere di Fink è enorme accresciuto anno dopo anno grazie alla sua capacità di saper prevedere i rischi e dunque fare investimenti profittevoli per i clienti, che affidano i loro soldi a BlackRock.
Ecco che, quando nei nostri dibattiti nostrani, si parla generalmente di “mercati” a cui ad esempio, il debito italiano può più o meno essere appetibile, a questi cosiddetti mercati possiamo associare il nome delle “Big Three” e la faccia di Larry Fink. E soprattutto l’intelligenza artificiale che sta dietro le sue scelte.
Che effetti può avere una tale concentrazione di potere e soprattutto la unicità di analisi che scaturisce dalla dilagante capacità di ALADDIN di prevedere il rischio. Cosa succede ad uno Stato se il “Monolith” stabilisce improvvisamente che è troppo rischioso detenere quote del debito di questo Stato medesimo, perché incapace a suo giudizio di sollevarsi da una crisi che per vari motivi lo ha colpito? “Business are business”, gli affari sono affari e dunque gli investimenti vanno dove vi è il maggiore profitto, e quando la capacità di investire o disinvestire da parte di un unico operatore è così grande, le conseguenze possono essere letali.

Inoltre, visto che queste analisi vengono vendute anche a terzi il rischio è che la visione della situazione sia unica; senza nemmeno sfumature diverse. Se si considera che queste tre società controllano anche le società di rating che emettono giudizi insindacabili, si intuisce come questa concentrazione di potere possa preoccupare. Davvero senza voler fare nessuna dietrologia o agitare nessuna tesi cospirazionista, ma solo analizzando il meccanismo che si è negli anni sviluppato, si può dire che vi sono più elementi che destano preoccupazione.
In Italia Larry Fink ha significative partecipazioni in società quali: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Enel e Snam e attraverso un altro importante fondo americano, Blackstone, controllato da BlackRock e Vanguard, sta trattando per l’acquisizione di Atlantia, la società di Benetton.

Si può fare qualche cosa per limitare queste concentrazioni di potere? È la questione che si pongono alcuni analisti, ma sembra che la risposta non sia così semplice ed in realtà quasi impossibile. Il potere lobbystico di questi “poteri forti” rende molto complicato il nascere di qualunque tipo di legislazione che possa frenare la concentrazione in poche mani anche di attività cruciali per la sicurezza nazionale dei paesi.

Un primo passo significativo sarebbe quello di riconoscere che esiste un problema; già, perché al momento, questa questione non sembra disturbare i sonni di nessuno.

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