Il libro che ha ricreato le fiabe. Recensione “Il Mago di Oz”.

di Riccardo Fici. Molti conoscono “Il mago di Oz”, ma quanti lo hanno effettivamente letto?

Siamo onesti… quando si parla di opere così classiche adesso è sempre più difficile trovare persone in grado di parlarne adeguatamente. Noto ormai come ci si stia dimenticato delle storie che hanno creato gli stilemi narrativi che vediamo tutti i giorni in serie tv, film, nuovi libri e tanto altro. Noto anche di come certi libri, al solo nominarli, già danno fastidio o fanno puntar gli occhi al cielo e sussurrare alla mente questa frase: “che palle”.

Essendo curioso e amante di tutto ciò che è “original”, è stato per me emozionante approcciarmi a questo prodotto a dir poco storico e davvero poco considerato nei giorni nostri. Direi che è giunto il momento di raccontare per bene, almeno secondo il mio punto di vista, cosa è “Il mago di Oz” e cosa rappresenta per la storia della letteratura mondiale e non solo.

Tutto parte dalla mente geniale di Lyman Frank Baum, un uomo americano dalla fantasia incredibile. Baum voleva raccontare fiabe, ma in maniera diversa da come lui le aveva conosciute. Dovete sapere che il suo periodo storico era invaso dai fratelli Grimm e Andersen i quali lasciavano poco spazio ad ambientazioni e temi più attuali. Certo, molte fiabe sono nate nel passato ed è giusto che narrino quei periodi; alcuni di questi scritti sono addirittura perfettamente metaforizzabili e reinterpretabili. Ma non tutti.

O almeno, quasi nessuna di quelle fiabe riusciva già a descrivere in maniera un po’ più contemporanea l’inizio di un nuovo millenio in cui Frank Baum stava vivendo. Potrebbero sembrare delle sciocchezze, tutte piccolezze, ma se ci pensiamo bene, è decisamente più impattante il raccontare una fiaba dove uomini di metallo vivono in un mondo in cui fate e leoni parlanti hanno a che fare con mongolfiere, carne in scatola e occhiali da sole. Baum sentiva che c’era il bisogno di una fiaba nuova che fosse un mix perfetto di verità e bugia, un mondo fittizio e avventuroso dove poter sognare agli occhi aperti, pur mantenendo i piedi per terra; un mondo dove la realtà e la fantasia avrebbero potuto coesistere non solo per dare un messaggio, ma anche per appassionare.

E così che decise che la sua fiaba sarebbe stata diversa, che si sarebbe ambientata inizialmente non in un regno lontano dopo il classico “C’era un volta…”, ma in Kansas, nell’entroterra più povero e realistico dove una catastrofe naturale assolutamente plausibile, colpisce la protagonista e la catapulta in un mondo fantastico tutto da scoprire. Un po’ come Alice, Dorothy, la sua protagonista, deve avventurarsi tra personaggi strani e luoghi incredibili, tutti però utili alla trama la quale è, in modo sublime e perfettamente ben gestito, un connubio di fantasy e “fabula” con regole ben precise e uno sviluppo degno di un romanzo. Conserva tuttavia la dolcezza, la leggerezza e la semplicità di una fiaba; in poche parole è un esperimento azzardatissimo e più che riuscito, uscito in un anno imponente: il 1900.

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Parlare delle trama è davvero complesso perché ogni cosa che viene raccontata è delineata al punto di funzionare alle dirette conseguenze. Posso soltanto dirvi che, dopo l’introduzione che vi ho fatto, Dorothy conosce tre personaggi chiave del libro che l’aiuteranno nell’avventura: uno è un boscaiolo di latta (una sorta di proto-robot) a cui manca il cuore, un altro è uno spaventapasseri che dice di non avere cervello e si denigra di continuo, e l’altro è un leone a cui manca il coraggio e si definisce un vero e proprio vigliacco.

Ci sarebbero altri personaggi di cui parlare, ad esempio lo stesso Oz il quale rappresenta il perfetto aggiornamento che Baum aveva osato creare per rompere alcuni stilemi sacri della fiaba. Ma il leone, il boscaiolo e lo spaventapasseri, insieme a Dorothy, sono i veri e principali protagonisti a cui succede, ve lo giuro, di tutto e di più. Come in un nuova “compagnia dell’anello”, tutti e quattro hanno il loro da fare, devono affrontare molti ostacoli, fidarsi l’uno dell’altro malgrado le mancanze di cui soffrono. Il passato del boscaiolo, dello spaventapasseri e del leone sono raccontati e sviscerati, creando così una sotto-storia del mondo davvero atipica per una fiaba di quel tempo. Tra colpi di scena fantastici, gesta eroiche e momenti drammatici, un “happy end” è presente, ma ben sperato perché dopo tutte le cose che vediamo succedere al gruppo, è un piacere arrivare alla conclusione di un finale che chiude il libro in modo molto rilassato, con ogni cosa messa nel suo giusto posto.

Trovo inoltre molto interessante da discutere il mondo fantastico immaginato dall’autore. È innegabile che si sia ispirato, nella parte più figurativa, alle campagne del Kansas, con quelle immense praterie, campi di grano e villaggi di contadini. Tutto ciò lo trovo estremamente curioso: fino ad allora non si era mai visto un regno incantato così simile ad un luogo realmente esistente. Poi, se andassimo a fare la punta agli spilli, sono davvero pochi i luoghi “fiabeschi” visitati da Dorothy e la sua compagnia. Eppure quel poco di fantastico che troviamo lascia davvero a bocca aperta. Se non mi credete, sappiate solo che il lavoro immaginifico di Baum ha portato alla creazione di un fan club attivo tutt’ora chiamato “Internetional Wizard of Oz Club”, fondato nel lontano 1957. Ci sono davvero milioni di persone ancora affezionate alle creazioni dell’autore che, a quanto pare, non si è spinto solo ad un romanzo, ma a molti di questi, approfondendo e delineando sempre più la “lore” della sua immensa, semplice e unica creazione.

A mio modesto parere, fin troppo degno di nota rimane il primo libro, il capostipite, colui che grazie alle sue, e neanche, duecento pagine ha fondato la base della nuova fiaba, una formula che adesso è ormai assodata e fin troppo abusata. La vedo personalmente di continuo nei film d’animazione, oltre che in libri nuovi per ragazzi. Possiamo dire che lo stesso Walt Disney sarà stato ispirato da Baum per il modo con il quale ha saputo reinventare un concetto di narrazione vecchio di secoli. Dopotutto possiamo dire che “Biancaneve e i Sette Nani” di Disney a suo tempo ha fatto la stessa cosa de “Il mago di Oz”, solo in chiave cinematografica.

Ma tutto… è partito da Oz, un personaggio che ha dato lustro ad un mondo incantato, lontano da tutto e tutti. Il mondo di Oz è un non-luogo dove poter vivere per sempre in allegria, ma rimpiangendo ciò che eri un tempo o che era il tuo passato. Si tratta di una terra caratteristica dove non proprio tutto è possibile, ma dove molte cose dipendono dalla tua volontà.

Degne di nota sono le parole di Antonio Faeti che nell’edizione italiana del 1999 ha scritto un bellissimo resoconto di cui vi riporto un estratto:

Splendente, stimolante, divertente, sempre nuovo, il mondo di Oz non sembra nato per caso nel 1900 […] Chi ama la fantasia, chi vuole davvero essere creativo, chi ammira le invenzioni, chi ride di fronte agli accostamenti più strani trova nel mago e nel mondo di Oz qualcosa che non c’è in nessun altro libro. Si tratta, ovviamente, di magia: ma, mentre il secolo finisce, sappiamo che questa magia fatta di leoni timidi, di latta e di infinite stranezze, può solo sorprendere ancora.”.

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Ora, non posso però fare a meno di notare come tutte le innovazioni portate dall’autore nel corso di tempo si siano verificate in modi molto discutibili. Il concetto di “fabula” è stato sì reinventato, ma troppe volte utilizzato. In certe occasioni abbiamo assistito ad un modo davvero intelligente di utilizzare questi stilemi, basti vedere (oltre al già citato Disney e altri grandi dell’animazione) un “Le Cronache di Narnia” o un “Harry Potter” per renderci conto che la realtà e la finzione possono coesistere in un equilibrio ben gestito. Ma non posso esimermi nel dire che questa ricetta è affascinante quanto solo apparentemente semplice.

In verità noto che è estremamente complessa perché ci si ritrova, da scrittori intendo, su un filo di rasoio: se ci si spinge un po’ troppo da una parte, che sia il lato realistico o fantastico, si rischia di approfondire più aspetti invece di altri. Lo stesso vale se viceversa; è una strada ostica quella da intraprendere se ci si vuole approcciare alla scrittura di un libro del genere perché si contano sul palmo delle dita le tipologie di opere, con questo schema, davvero riuscite. Vi confesso che, mentre leggevo “Il mago di Oz”, ho rivisto “Harry Potter”, ho rivisto molti altri libri simili dove si parla di tematiche vere, attuali, reali e concrete, con l’ausilio della fantasia avventurosa a metà strada tra una fiaba classica e un fantasy degno di questo titolo, come un “Signore degli Anelli” e altri.

Bisogna conoscere a menadito opere come quella di Baum per studiare nei dettagli i trucchetti del mestiere, per riconoscere quella maestria di raccontare storie sempre attuali, ma allo stesso tempo senza tempo, in grado di immergere il lettore in un mondo comprensibile, originale e soprattutto… indimenticabile.

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