Il custode.
di Marina Serafini. La grande quercia che custodisce la mia casa da lassù, dalla sua alta postazione da cui domina il territorio che pure mi accoglie, oggi mi aiuta, invocata, a sostenere il peso della mia situazione.
La ammiro nella sua fierezza, stabile nella sua scura corazza rugosa, fatta di scorza e di foglie, arricchita di ghiande, che elargisce con zelo nello spazio d’intorno, e in questo posto quaggiù, ad offrire del brio a questi miei deboli passi.
Mi sento fragile e piccola, e lei troneggia severa sopra di me, e col suo stare rimprovera la mia debolezza, e mi spinge ad avere un atteggiamento diverso. Lei ha lottato, per anni e per anni, quanti mai un uomo potrebbe eguagliare. Ha resistito alle ingiurie del tempo e del cielo, sopravvissuta alla violenza dell’uomo e all’invadenza dei parassiti di varia natura.
É lì, maestosa e ferma, con aspetto severo sembra rivolgersi alla mia persona, a suggerire che la forza é anche dentro di me: devo solo scoprirla e avere il coraggio di usarla.
Piango con gli occhi e con tutto il mio corpo, piango e cammino respirando il vento che, noncurante dei miei sentimenti, continua il suo viaggio, così come il sole e la luna, cosi come tutto ciò che incontro viaggiando.
Un passo e uno ancora, con moto pesante e aggravato: la vita continua mentre io resto indietro, piegata e sola, e mi sento una esclusa, e avrei voglia di urlare. Ma non ci riesco, obbligata a portare con me quel groppo pesante alla gola, resisto, e cerco conforto in quell’albero antico. Lo invoco e gli chiedo di darmi una mano, gli chiedo di trasmettere la forza che ha, gli chiedo di aiutarmi ad essere quercia.
E il freddo che é dentro di me sembra racchiuso e fermato, incapace di espandersi oltre. Riesco a star calma e a prestare il mio braccio a chi ora ne ha davvero bisogno ed è parte di me, una parte così radicata.
Resisto e resto, ferma, circondata da suoni e colori, sferzata dalle pioggia copiose che insultano i rami e mi strappano via le foglie leggere. Anche io ora sono lassù, piantata sulla terra abitata, ben salda sulle forti radici. Le fronde scomposte a riparare il tronco ferito, annidato nella ruvida scorza che mi protegge dalla violenza del mondo.
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