Il cittadino è ripiombato nella solitudine.

di Marcello Veneziani. La solitudine del cittadino. Italiano, europeo, contemporaneo. Vorrei sbagliarmi ma siamo piombati nella fase più acuta della solitudine globale di massa. Lo dico avvertendo lo stato d’animo serpeggiante e forse prevalente dei nostri giorni; il clima civile, politico, esistenziale che si respira. E lo dico dopo quel che è successo negli ultimi tre anni.

Tre disgrazie hanno funestato il mondo, modificando le nostre teste e arrivando ossessivamente nelle nostre case tramite i media: la pandemia, la guerra in Ucraina e, ora, i genocidi in Israele, più contorno di crisi climatica, crisi economica e flussi migratori. Il mondo esterno è percepito dalla gente come minaccia e terrore, e questo di più sospinge verso la solitudine domestica, ritirandosi dagli spazi pubblici. Da qui una nuova accezione di ius soli: il diritto di essere soli.

Tre governi si sono succeduti in questi ultimi tre anni in Italia, in cui tutti sono stati al governo in tutte le formule possibili: sinistra, destra, centro, 5stelle, tecnici, antipolitica e politicanti, fino alla novità assoluta di una donna di destra-destra alla guida del governo. Mai abbiamo così nettamente cambiato scenari politici in così breve tempo ma allo stesso tempo non abbiamo mai cambiato prospettive, linee di fondo e programmi. Viviamo in una specie di mobilità immobile. Ruotiamo vorticosamente restando sempre nello stesso punto. Il disco è rotto, e si ripete all’infinito. E se accendi il video, danno sempre lo stesso film. O devi accontentarti di piccole sfumature.

Così, al compiersi del giro di giostra, il risultato principale è che ci sentiamo in totale solitudine. Lontani, estranei, se non ostili al quadro generale e ai suoi punti cardinali. Nessuno sembra rappresentarci e dar voce al nostro pensiero e al nostro sconforto; non ci rispecchiamo, non ci ritroviamo e non ci riconosciamo in nessun riferimento alto, istituzionale, politico, sociale, spirituale; in nessun linguaggio e nessuna retorica mediatico-istituzionale. Non parlo naturalmente della totalità della popolazione, parlo però di una parte significativa, direi la maggioranza, almeno relativa, dei cittadini. Che non si riconoscono nelle figure istituzionali, a partire dalle prime due: questo Papa e questo Presidente della Repubblica, poi i grandi leader internazionali ed europei, quindi la classe politico-parlamentare, i pescecani del grande capitale, questa magistratura. È prematuro dirlo, ma la gente si sente abbandonata anche dal governo in carica, a cui pure ha dato fiducia, ma che appare loro allineato al mainstream e ai percorsi obbligati, a Biden e alla van Der Leyen, alle direttive eurocratiche ed atlantiche, al racconto di sempre e ai suoi feticci passati e presenti. Con realismo non potevamo aspettarci altrimenti, questa è la situazione, questo è il ferreo quadro entro ci muoversi, questi gli uomini.

Troppi cittadini sono nauseati dal persistere delle narrazioni dominanti a senso unico che ci vengono propinate dai media pubblici e privati da almeno tre anni a questa parte, dal tempo della pandemia ad oggi, passando per guerre, orientamenti generali, celebrazioni di sempre e allineamenti senza possibilità di divergenza. Se sei contro l’Opinione Prefabbricata, sei bandito e insultato; ma vieni silenziato ed emarginato anche se hai un pensiero più articolato, non appiattito come una sogliola decerebrata sul menu fisso imposto dalla Ditta e nemmeno sul suo contrario. E’ facile appiattirsi come tappetini al mainstream, recepire tutto passivamente, come carte assorbenti; ma è semplicistico pure attribuire tutto al Grande Complotto, additare il Demiurgo Malvagio, e sbrigarsela dicendo che tutto il male ha una sola fonte.

Alla fine la sensazione più diffusa per i cittadini è sentirsi esclusi, non rappresentati dai poteri in carica. Sentirsi largamente fuori dal perimetro del consenso e della legittimazione. Altro che società dell’inclusione. Ci sono ormai due mondi irreparabilmente incomunicanti, nonostante i massicci flussi informativi (a senso unico): un mondo di sopra e un mondo di sotto. Il primo ha linguaggi, rituali, celebrazioni e rappresentazioni che non si rispecchiano affatto nella vita, nelle opinioni, negli umori del mondo inferiore. E questo, fino a qualche tempo fa, dava luogo alla mobilitazione dello scontento, i dissensi s’incanalavano in una direzione, un movimento, una forza d’opposizione, un noi collettivo, un leader, un partito o una coalizione. Ora no, quella percezione di solitudine non trova sbocchi, non si coalizza, non si socializza e non si trasforma in pressione e orientamento. Ha perso fiducia ed energia, vaga inespressa, o resta allo stato latente.

Vorrei sbagliarmi, ripeto, o vorrei attribuire questa sensazione a un personale senso di solitudine e scoramento, che spinge ogni giorno di più a chiamarsi fuori, a smettere di dire, lasciare gli spazi pubblici. Ma poi mi accorgo che questo stato d’animo non è personale e non riguarda solo le proprie motivazioni; ma s’intreccia e s’incontra con altre solitudini che compongono oggi la cittadinanza. Una specie di anarchia per necessità, di autarchia per carenza oggettiva di sinergie e aspettative; una specie di solitudine affettiva e percettiva che non trova adeguato riparo nei social e ancor meno nelle forme consuete di socialità.

Eppure, anche nella solitudine si avverte un destino corale, diffuso, che riguarda tanti cittadini – italiani, europei, contemporanei. E’ una solitudine che si allarga per cerchi concentrici: rionale, urbana, metropolitana, nazionale, culturale, religiosa; una specie di migrazione interiore rispetto alla propria città, alla propria religione, alla propria patria, al comune linguaggio. E mentre il mondo di sopra si allontana sempre più, si avvicinano i nuovi barbari, di dentro e di fuori.

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com

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