Eutanasia, aborto e… dintorni.
di Luciana Piddiu. L’assolutizzazione dei diritti, che sembra il segno distintivo della nostra epoca inquieta, pare aver toccato il punto di non ritorno. Con la morte della giovane Shanti De Corte comminata da medici in Belgio – paese che ammette l’eutanasia dal 2002 – siamo arrivati a giustificare tutto e il suo contrario.
Come si può tenere insieme l’articolo 2 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che pone al centro la vita come diritto incondizionato, inderogabile e indisponibile e contemporaneamente consentire l’eutanasia, a domanda del richiedente, in nome del principio dell’autodeterminazione?
Come si può sostenere la campagna mondiale contro la pena capitale con argomenti stringenti e insieme consentire a dare la morte in strutture pubbliche finanziate dallo stato?
L’obbligo che avevamo nei confronti della giovane Shanti De Corte era quello di prenderci cura di lei, del suo immenso dolore. Dovevamo mettere in campo tutte le risorse di cui la medicina oggi dispone, starle accanto per farle superare il trauma subito e non accettare la decisione di mettere fine alla sua giovane vita.
Può davvero considerarsi libera una scelta fatta quando si è in preda a un grave dolore psichico?
Come non vedere la faciloneria con cui si è deciso di esaudire la sua volontà, senza tener conto che la giovane donna non era in grado di scegliere davvero perché era ossessionata dal trauma vissuto?
Il principio dell’autodeterminazione non può diventare un feticcio, ma deve sempre misurarsi con il senso del limite. La consapevolezza che non siamo onnipotenti, padroni assoluti delle nostre vite, e dunque liberi da ogni vincolo, dovrebbe farci riflettere anche per quel che riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza.
Negli anni in cui le donne morivano come mosche sul tavolo delle mammane, ci siamo battute come tigri perché ciò non accadesse e con fatica siamo riuscite a strappare la legge 194 (22 Maggio 1978) sull’interruzione di gravidanza. Ma né allora, né in occasione del referendum abrogativo del 1981 abbiamo mai parlato di diritto di aborto!
“Noi partivamo dal principio fondamentale di libertà femminile: una donna non può essere obbligata a diventare madre, la maternità inizia con un sì. Tendevamo a sottolineare che l’aborto non è un diritto. Un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto è un rifiuto, un ripiego, una necessità.’’ (Luisa Muraro).
Per questo siamo rimaste senza parole davanti alla proposta dell’allora Governatore democratico di New York, Andrew Cuomo, che nel suo Reproductive Health Act (22 gennaio 2019) consentiva l’interruzione volontaria di gravidanza fino alla 24 esima settimana e persino oltre nel caso di rischi per la salute, in senso lato, della gestante.
“La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita” (Luisa Muraro). Ma anche l’embrione, che sia o meno senziente e provi dolore, subisce una violenza. Perciò, per il rispetto che dobbiamo a ogni forma vivente, non si può dilatare ad libitum il tempo in cui è consentito intervenire.
L’aborto non è in ogni caso un ‘diritto’ come qualcuno pretende di definirlo, ma la scelta di un male minore che sarebbe opportuno – per il bene di tutti – prevenire attraverso la contraccezione responsabile di uomini e donne.
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