Il 12 gennaio il sindaco di Trino ha infatti spedito una PEC al Ministero per l’Ambiente con cui ha autocandidato il paese che amministra a essere sede del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.
Una lunga vicenda quella di questo deposito, ricostruita oggi dal Presidente nazionale di Legambiente Ciafani. Una storia che partì dalle mobilitazioni di Scanzano Jonico, dove l’allora governo decise di realizzarlo. Era il 2003 e anche quello era un luogo inidoneo e venne difeso da una fortissima mobilitazione. Da allora si è intrapresa una strada più corretta per individuare il sito, un percorso basato su dati e criteri scientifici. Ne è uscita prima la CNAPI, ovvero la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il deposito nazionale. Da quella discende la CNAI, la Carta Nazionale Aree Idonee, dove sono elencate le aree individuate con criteri oggettivi per stoccare le scorie.
Stefano Ciafani l’ha ripetuto più volte, stamattina, prima al Principato di Lucedio, poi lo ha ribadito tre volte a Trino: “E’ necessario trovare il luogo idoneo”. Trino non lo è e infatti non compare neanche nell’elenco.
Con questa consapevolezza Legambiente ha convocato i circoli, gli attivisti e i cittadini alla mobilitazione di oggi.
Abbiamo risposto prontamente, contenti che l’associazione ambientalista abbia preso coraggio e sia stata la promotrice di questa prima iniziativa pubblica. Eravamo in tanti perché il pericolo che passi questa modalità anomala di autocandidatura, derogando dalla procedura corretta, è concreto.
Il Decreto Energia, votato anche dal Senato, permette di aggirare i vincoli tecnico scientifici e apre la possibilità di deroghe.
Tanti gli interventi che si sono susseguiti in piazza a Trino Vercellese. Fausto Cognasso del Comitato Tri – No ha spiegato che “non si deve accettare la logica secondo cui là dove c’è il problema c’è anche la soluzione”. Non è che in quanto la cittadina piemontese è uno dei siti in cui vi è una centrale nucleare dismessa, allora vuol dire che è adatta a ospitare il deposito di scorie. Soprattutto ha invitato i conterranei a liberarsi dal cliché dei bravi piemontesi pronti ad abbassare la testa di fronte al padrone di turno. “Bisogna ribellarsi” ha detto al microfono davanti alle centinaia di persone riunite “perché in questa vicenda è in gioco la democrazia e la partecipazione”. Ha poi ricordato le cose che già ora si possono fare per esprimere la propria contrarietà. Tra queste si possono già firmare la petizione cartacea e quella online .
La capogruppo di minoranza del Consiglio Comunale della cittadina ha spiegato che non è Trino a essersi autocandidata, ma sono stati il sindaco e la sua giunta. “Bisogna fermarli adesso” ha chiuso così il suo intervento.
Elena, cittadina di Trino, ha chiesto di non lasciarsi andare alla passività, di smetterla di delegare o addirittura di astenersi e ha invitato tutti a partecipare.
Enrica del Movimento Valledora ha elencato le vertenze aperte del territorio, come quella della discarica di Amianto di Salussola e dell’inceneritore di Cavaglià. “Abbiamo capito a nostre spese quanto sia importante la pianificazione pubblica”, che è da sostenere anche e proprio nel caso dell’individuazione del sito per il deposito nazionale.
Il vicesindaco di Chivasso ha mostrato la fascia tricolore che non ha indossato, constatando che non vi fossero altri rappresentanti istituzionali a portarla. Ha spiegato che le ragioni per cui è stato escluso Chivasso valgono anche per Trino e perciò la mossa del sindaco Pane non ha senso.
Andrea del Parco del Po ha ricordato che lo scorso novembre la Regione ha ridotto le aree protette della zone delle risaie vercellesi, frammentandole. Sembra una mossa che prepara l’accettazione del deposito, sacrificando la biodiversità sull’altare delle scorie radioattive.
Insomma, tante persone, tanti interventi, molta voglia di partecipare e di farsi sentire.
Ringraziamo il circolo vercellese di Legambiente, il direttivo regionale e la direzione nazionale per questa occasione di partecipazione.
Fonte: https://www.pressenza.com
Pfas anche nell’acqua di Torino, ma il Piemonte li cerca solo intorno alla Solvay di Alessandria. Greenpeace Italia pubblica un nuovo dossier sui composti cancerogeni Pfas nelle acque potabili, questa volta dopo il caso della Lombardia tocca al Piemonte. Dal report emerge l’immagine parziale della contaminazione nella regione: la presenza dei composti è monitorata solo nel territorio alessandrino, ma l’indagine indipendente li rintraccia anche nel capoluogo. Greenpeace Italia pubblica un nuovo dossier sui composti cancerogeni Pfas nelle acque potabili del Piemonte, con dati prodotti dagli enti e un campionamento indipendente. Trovando, ad esempio, nella fontana pubblica nel parco giochi Guazzora – un parco destinato ai più piccoli – in provincia di Alessandria, concentrazioni di Pfoa in quantità pari a 70 ng/l. Parliamo di un composto chimico che lo scorso novembre è statIn Piemonte, inoltre, ha sede l’unica produzione ancora attiva di questi composti in Italia, il polo chimico di Solvay Specialty Polymers a Spinetta Marengo, nel comune di Alessandria. Mentre è noto da tempo che l’azienda rilasci ingenti quantità di Pfas nell’ambiente (acqua, aria e suolo) il report di Greenpeace evidenzia come il composto attualmente in produzione, il C6O4, si trovi anche oltre i confini di Alessandria: nell’acqua potabile di Torino e 77 comuni della provincia.o classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) come cancerogeno. E in questo senso stupisce il comportamento della Regione Piemonte, che per anni ha ordinato il monitoraggio della sola zona in cui insiste lo stabilimento evitando così di monitorare il resto del territorio. Come emerge dal report di Greenpeace, infatti, tramite l’agenzia di protezione ambientale, Arpa, ha indicato agli altri enti pubblici di non eseguire analisi per ricercare la presenza degli inquinanti nelle acque potabili. Per questo motivo, quando l’associazione ambientalista a fine luglio 2023 invia le richieste alle Asl della regione, alla direzione generale di Regione Piemonte e ai gestori del servizio idrico integrato, solo 10 enti – pari al 23% del totale – risponde positivamente.
I Pfas sono un gruppo di molecole di sintesi (oltre 10 mila), non presenti in natura, utilizzate in numerosi processi industriali – difesa e automotive – e per la realizzazione di una quantità infinita di prodotti di uso comune, dalle padelle antiaderenti alle giacche di goretex. La loro stabilità chimica le rende impossibili da degradare nell’ambiente: per tale ragione sono definite inquinanti eterni. Oltre a essere interferenti endocrini, molte di esse si accumulano negli organismi e nel corpo umano e sono associate a numerose patologie, anche gravi, tra cui alcune forme tumorali.I COMUNI LUNGO IL FIUME SCRIVIA
Dei 671 campioni di acqua a uso potabile di cui gli enti locali piemontesi hanno condiviso i dati con Greenpeace Italia – analizzati tra il 2019 e il 2023 – nel 51% è stata riscontrata la presenza di Pfas, con le maggiori positività riscontrate nella provincia di Alessandria. In questa area cinque comuni, ubicati lungo il fiume Scrivia, hanno evidenziato la presenza degli inquinanti in tutti i prelievi effettuati in questi anni: Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino dei Torti, Guazzora e Tortona. Nel 2020 quando vennero trovate concentrazioni preoccupanti di Pfas nel pozzo del paese di Montecastello, l’amministrazione lo chiuse immediatamente. Nel caso invece degli altri comuni lungo lo Scrivia non solo il comune non ha mai fatto alcuna comunicazione ai cittadini, ma ha cambiato fonte di approvvigionamento per l’acqua potabile solo a partire da questo agosto. Proprio in corrispondenza della richiesta agli atti fatta dall’associazione ambientalista. Greenpeace ha chiesto, inoltre, tutta la corrispondenza tra enti per ricostruire le azioni a tutela della popolazione, senza ricevere nulla da comuni come Alzano Scrivia che ad aprile 2023 arriva ad avere 180 nanogrammi per litro di Pfoa.In Italia, manca una legge nazionale che limiti la presenza di Pfas nelle acque potabili. L’estesa contaminazione provocata dalla Miteni di Trissino ha portato nel 2014 a delle raccomandazioni che indicano un valore di riferimento pari a 500 nanogrammi per litro per somma di Pfas, applicabile alla sola regione, ridotto a 300 nanogrammi per litro nel 2017 grazie a un ulteriore provvedimento regionale. Per la somma di Pfoa e Pfos la Regione Veneto con il Dgr 1591/2017 ha indicato un valore limite pari a 40 nanogrammi per litro. Molto al di sotto quindi dei 180 nanogrammi per litro trovati da Greenpeace ad Alzano Scrivia. A riempiere il vuoto normativo ci dovrebbe pensare a partire da gennaio 2026 la direttiva comunitaria 2184/2020, che prevede un limite di 100 nanogrammi per litro per l’acqua potabile, per la somma di 24 molecole appartenenti al gruppo dei Pfas, tra cui anche Pfoa e C6O4.